Zelensky e lo show-biz: la ricetta (im)perfetta delle sue apparizioni
Una carriera da attore e filmmaker prima di diventare presidente dell’Ucraina, ma Volodymir Zelensky conquista gli schermi dei più grandi eventi dello spettacolo internazionale con lo scoppio della guerra. Il leader ucraino è un abile stratega comunicativo e non perde occasione per promuovere all’estero la causa del suo Paese, anche a costo di irrompere con i suoi videomessaggi in mimetica sui palchi più importanti dello show-biz.
Partiamo da aprile 2022, quando il capo del governo era intervenuto alla cerimonia di premiazione dei Grammy Awards salendo virtualmente sul palco di Las Vegas tra gli artisti della scena musicale internazionale. “Riempite il silenzio con la vostra musica. Riempitela oggi, raccontate la nostra storia. Sosteneteci in tutti i modi che potete. In qualsiasi modo, ma non il silenzio. E allora la pace arriverà“
A fine agosto Zelensky è invece sbarcato virtualmente al Lido di Venezia. L’irruzione è avvenuta a metà della cerimonia in Sala Grande del Festival del Cinema in laguna con un videomessaggio drammatico: l’appello con nomi, città di origine, città del martirio ed età, uno ad uno, delle 358 vittime innocenti a quella data. “Essere stanchi di quei nomi – ha detto ancora il presidente ucraino a proposito della tragica lista delle vittime – significa cancellare quei nomi. Sono sicuro che tutto il mondo civile non lo farà mai e rimarrà al fianco dell’Ucraina fino a che la vittoria e la giustizia saranno accolte da un applauso“.
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L’11 gennaio 2023 è stata la volta dei Golden Globes: un messaggio recapitato a Beverly Hills (“È chiaro chi vincerà“) anche grazie all’intercessione di Sean Penn, l’attore che aveva invano provato a portarlo anche agli Oscar. Durante la cerimonia dello scorso marzo infatti l’Academy ha preferito concedere alla causa un minuto di silenzio e poi un messaggio che invitava a donare aiuti umanitari al paese, piuttosto che trasmettere il collegamento con Zelensky. Proprio Sean Penn – che si trovava in Ucraina per le riprese di un documentario all’inizio degli attacchi e a cui è stata intitolata una piazza a Kiev -, di fronte del diniego di Hollywood, ha fatto dono al presidente della statuetta che ha vinto in ben due occasioni.
A Zelensky è andata meglio a Cannes: con un blitz mediatico si è collegato a sorpresa alla cerimonia di apertura della 75° edizione della kermesse transalpina citando due capolavori della storia del cinema, Il Grande Dittatore e Apocalypse Now, e rendendo omaggio al regista lituano Kvedaravicius, scomparso in aprile. “Il cinema non dovrebbe restare in silenzio […] L’odio alla fine scomparirà e i dittatori moriranno“, ha detto al pubblico della Croisette invocando l’arrivo di “un nuovo Chaplin che dimostri che il cinema di oggi non è muto” e citando Apocalypse Now (“Mi piace l’odore del napalm al mattino“).
Tra tante polemiche le parole del presidente ucraino sono approdate anche al Festival di Sanremo ma in maniera ancor più indiretta: durante l’ultima serata, il suo discorso è stato letto da Amadeus. Dopo le critiche che hanno spaccato in due pubblico e governo italiani, le parole di Zelensky vengono lette dal conduttore a tarda serata – una scelta che sembra giustificata “ufficialmente” dalla volontà di non interferire sulla competizione canora. “Ogni anno sulle rive del Mar Ligure vince la canzone. Vincono la cultura e l’arte. La Musica vince! E questa è una delle migliori creazioni della civiltà umana.” – si complimenta il leader per poi aggiungere: “Ma l’Ucraina sicuramente vincerà questa guerra. Vincerà insieme al mondo libero. Vincerà grazie alla voce della libertà, della democrazia e, certamente, della cultura. Ringrazio il popolo italiano e i suoi leader che insieme all’Ucraina avvicinate questa vittoria. Auguro successo a tutti i finalisti e dal profondo del mio cuore voglio invitare i vincitori di quest’anno a Kyiv, in Ucraina, nel Giorno della Vittoria. Nel Giorno della nostra Vittoria!”. Nei giorni successivi, Zelenzki ha comunque rilasciato interviste a varie testate italiane, tra cui TG1 e Corriere della sera.
L’ultimo (per ora) discorso è arrivato al Festival di Berlino appena qualche giorno fa: “dove prima a Berlino c’era un muro e il vuoto, ora la vita cresce“, oggi con uno “stesso muro” la Russia vuole dividere l’Ucraina “dalla sua scelta, dal suo futuro“, con un muro “tra la libertà e la schiavitù, tra il diritto di vivere e gli attacchi missilistici, tra il progresso e le macerie che la Russia lascia dietro di sé“. Secondo il presidente ucraino, cultura e cinema non possono stare fuori dalla politica quando ci sono “crimini di massa, omicidi, terrore, il desiderio di distruggere altre culture“, come sta facendo la Russia. Ha continuato dicendo che nella “lotta dell’umanità contro il male ci sono sempre due vie: verità e propaganda” e che la seconda alla fine non può vincere.
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La ricetta perfetta
I discorsi di Zelensky sono scritti con un’estrema attenzione: basti pensare che uno degli autori più spesso citati è l’ex giornalista Dmytro Lytvyn. Ma altrettanta accuratezza è dedicata a tutto ciò che c’è intorno.
Fin dal primo giorno di guerra, il presidente si mostra in pubblico esclusivamente in abiti di foggia militare: non divise da cerimoniale, ma semplici tenute di fatica. Magliette verdi con il logo delle forze armate ucraine, felpe in tessuti tecnici e pantaloni con tasconi: insomma quel che indossano i soldati ucraini indossano al fronte. La sua barba, che appare sempre incolta di qualche giorno – di chi ha altro a cui pensare-, il volto quasi sempre teso e stanco e la voce naturalmente profonda sono gli ingredienti perfetti per rendere efficaci le sue performance. Sia quando parla in ucraino, sia le rare volte in cui si esprime in un ottimo inglese.
In poco meno di un anno di guerra ha parlato in due dozzine di parlamenti, dal Giappone agli Usa, è intervenuto in incontri internazionali e riunioni di affaristi e imprenditori. Per non parlare degli appuntamenti più noti dello show-biz. E quasi ovunque le sue parole sono state accolte da applausi e standing ovation. Che il suo pubblico sia costituito da parlamentari o attori e registi, la tecnica che utilizza nei suoi discorsi è sostanzialmente la stessa.
Prima di tutto: creare una connessione con la propria audience, ricordando qualcosa che le sia familiare, che magari sia emotivamente coinvolgente o che faccia sentire il pubblico orgoglioso. Vediamo qualche esempio.
Al pubblico di Venezia ha ricordato Morricone e ha raccontato la guerra con metafore cinematografiche (“un horror che non dura 120 minuti, ma 189 giorni“) mentre al più recente Festival di Berlino il fil rouge del suo discorso è stato il muro. Invece di fronte al parlamento francese ha fatto suo il motto repubblicano Liberté! égalité! fraternité! O ancora a Washington ha parlato dell’11 settembre, in Giappone del rischio di incidenti nucleari.
Colpito il cuore e la recente memoria, si stabilisce un legame di empatia e compassione: sarà più efficace la richiesta di aiuto al suo Paese. Inoltre Zelensky si mostra sempre grato al suo pubblico e quasi mai trascura di menzionare quanto l’aiuto degli alleati sia stato, sia e sarà ancora necessario.
Ma dopo aver conquistato l’attenzione e la compassione con empatia e gratitudine, arriva la paternale che non rimprovera, ma fa sentire in colpa. Per non aver fatto abbastanza, per essere seduti lì su quelle poltroncine e non al fronte a fianco ai suoi soldati. Insomma Zelensky è abile a far leva sul sentimento della vergogna, ma sempre toccandola abbastanza piano.
Anche qui abbiamo degli esempi: nei videomessaggi a Cannes e Venezia, ha accennato sapientemente alla superficialità del mondo dello spettacolo contrastandolo con la necessità di alzarsi in piedi di fronte ai mali della guerra o ha fatto sentire in colpa chi -anche inconsapevolmente- ha pensato di essere stanco di tutti i nomi e del solito intervento. Altro esempio meno velato: alla Camera dei Deputati a Roma ha redarguito i parlamentari chiedendo loro di non essere più il luogo di villeggiatura dei criminali di guerra.
Una ricetta non del tutto perfetta
Non sempre però la formula zelenskyana ha funzionato: vediamo alcuni casi.
Prima di tutto, a volte il tentativo di creare quel legame empatico e il conseguente ricatto morale di cui sopra, genera un contraccolpo imprevisto. L’incidente più grave si è verificato in Israele, quando Zelensky e il suo staff hanno accennato ad un parallelismo tra l’invasione ucraina e la Shoah, suscitando diverse reazioni indignate tra i parlamentari israeliani.
Altre volte il videomessaggio del leader ucraino è stato boicottato. Un no ben deciso è arrivato dal calcio mondiale: la richiesta di condividere un messaggio di pace prima del calcio d’inizio della finale della Coppa del Mondo è stata respinta dalla Fifa. Zelensky si era offerto di apparire in un collegamento video con i tifosi nello stadio in Qatar e il no gli ha bruciato: su un campo da calcio, aveva commentato, “il peggio che può succedere è un cartellino rosso, non un bottone rosso. Quando le persone sono unite dal calcio, le persone sono unite dalla pace“.
Inoltre abbiamo già visto come l’Academy abbia tenuto fuori il capo del governo dalla cerimonia degli Oscar, ma senza voltare le spalle alla causa e al popolo ucraini, riportando l’attenzione sulla necessità di aiuti umanitari, piuttosto che di discorsi di propaganda o inni alla vittoria. Sono seguite le polemiche intorno all’ospitata a Sanremo, che però non sono le prime da parte di organizzatori timorosi che l’impatto dei suoi discorsi renda i loro eventi troppo politici.
Ex attore, circondato da uno staff di registi, sceneggiatori e produttori televisivi, Zelensky si è rivelato uno dei principali asset della propaganda ucraina sulla scena nazionale e internazionale. Il suo è un caso che gli scienziati politici e della comunicazione hanno già iniziato a studiare.
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Esperti e analisti sono in larga parte convinti che questa particolare forma di diplomazia si sia rivelata fondamentale per l’Ucraina e uno degli elementi decisivi nel creare quella pressione dal basso che in molti Paesi ha spostando l’ago della bilancia (soprattutto nel cuore del pubblico/popolo) verso un più convinto sostegno al Paese. Ma un conflitto sempre più lungo, le sue conseguenze economiche e la stanchezza generata da qualunque schema ripetitivo di apparizioni in tv e qualsiasi ciclo di notizie che dura troppo a lungo, stanno mettendo alla prova anche il talento di Zelensky.
Come le polemiche su Sanremo dimostrano, l’inflazione della sua immagine e la sua certa tattica comunicativa, potrebbero essere il pericolo principale per il Presidente ucraino e per l’appoggio alla sua causa. Insomma le continue apparizioni e le “paternali” di Zelensky potrebbero distogliere l’attenzione da una delle più grandi tragedie a livello umanitario del ventunesimo secolo.
Ormai la domanda più ricorrente nei dibattiti in e riguardo la televisione è uno dei più vecchi dilemmi dalla nascita dei mass media: quanto la cultura può oppure deve essere impegnata politicamente?
(Foto da www.repubblica.it)