Woody Allen e l’11 settembre: la condanna a Bush e l’amore per New York
L’11 settembre 2001 è stato l’evento spartiacque del nostro secolo. Esiste un prima e un dopo gli attentati terroristici operati da militanti di Al Qaida che costarono la vita a tremila persone e ne ferirono più del doppio. Alcuni di loro morirono nei giorni e nelle settimane successive, altri a distanza di pochi anni. Le Twin Towers di New York, simbolo dello skyline della Grande Male e centro di potere economico di Manhattan furono colpite da due aerei di linea dirottati dai terroristi islamici; crollarono cambiando per sempre il volto dell’isola ma, soprattutto, minando le nostre sicurezze e rivoluzionando definitivamente il modo di vivere nella società civile. La storia la conosciamo bene.
Nel 2001 Woody Allen, che ha sempre descritto New York come la sua unica, vera, amante, si apprestava a pubblicare sul grande schermo “La maledizione dello scorpione di Giada“, film da lui scritto e diretto, con Helen Hunt, Dan Aykroyd, Charlize Theron e David Ogden Stiers nel cast. Una commedia che ebbe un discreto successo, cresciuto ulteriormente negli anni a venire. L’11 settembre del 2001 Allen si trovava a New York. Durante il tour europeo di presentazione della pellicola rilasciò diverse dichiarazioni sugli attentati e sulla politica estera dell’allora Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.
A Venezia affermò che, sebbene fosse scioccato dall’accaduto, anche perché colpiva la sua amata città, non si riteneva del tutto sorpreso. “Sapevamo che nessun paese al mondo, nessuna città al mondo fosse immune dal terrorismo. Non ci aspettavamo che New York lo fosse. Ma siamo scioccati dall’irrazionalità dell’atto stesso, per la morte insensata di 5.000 persone”. In occasione del San Sebastian festival in Spagna, invece affermò ironicamente: “Se osservi Bush è piuttosto divertente. Se lo ascolti mentre parla, se lo segui da vicino, ti faresti moltissime risate”, aggiungendo che, qualora sarebbe stato rieletto (cosa poi avvenuta), sarebbe stato un evento “estremamente tragico”.
Alcuni mesi dopo, a Parigi, altra città amata da Allen, condannò fermamente l’agire di Bush, cassando come “scarsamente convincenti” le motivazioni che portarono gli Stati Uniti a dichiarare guerra all’Iraq. Al giornale francese Journal Du Dimanche spiegò che: “Come la maggioranza degli americani, penso che Bush non abbia avanzato ragioni convincenti per la guerra. Si ha quindi l’inquietante impressione che egli insista per ragioni personali e politiche”
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Manhattan (1979)
Capitolo primo: “Adorava New York. La idolatrava smisuratamente…” No, è meglio “la mitizzava smisuratamente”, ecco. “Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin” No, fammi cominciare da capo…
Capitolo primo: “era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto: trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione” Eh no, stantio, roba stantia, di gusto… insomma, dai, impegnati un po’ di più… da capo.
Capitolo primo. “Adorava New York. Per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea: la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in una…” Non sarà troppo predicatorio? Insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere.
Capitolo primo. “Adorava New York, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com’era difficile esistere, in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia…” Troppo arrabbiato. Non devo essere arrabbiato.
Capitolo primo. “Era duro e romantico come la città che amava. Dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre…” No, aspetta, ci sono: “New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata”.