Woodstock, il più grande raduno della storia del Rock
Esattamente 54 anni fa, in questi giorni, era nel pieno del suo corso quello che diventò l’evento musicale più importante della storia. Il 15 agosto 1969 ebbe inizio la Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock, meglio conosciuto con il più semplice Festival di Woodstock.
Una manifestazione che, in realtà, si svolse a Bethel, una cittadina dello Stato di New York, e che durò tre giorni, fino al 18 agosto. Protagonista assoluto dell’evento fu il movimento Hippie, simbolo della controcultura dell’epoca e ispiratore di alcune delle conquiste sociali che hanno caratterizzato quell’irripetibile decennio che furono gli anni 60-70.
Da qui deriva anche il nome del festival che ha origine dalla Città di Woodstock, nella Contea di Ulster, conosciuta per le sue attività artistiche e dove vengono organizzati ancora oggi festival riguardanti ogni tipo di espressione artistica.
A organizzare l’evento che accolse più di 500.000 persone, anche se c’è chi dice che si arrivò a 1 milione di presenze, furono quattro giovani Hippie, ricchi di famiglia e ripudiati dai genitori a causa dei loro progetti fallimentari prima del festival.
Michael Lang, Artie Kornfeld, John P. Roberts e Joel Rosenman. Sono questi i padri dell’idea leggendaria che ha contribuito ad iniziare una rivoluzione che metteva al centro l’amore, la pace e la libertà. Una rivoluzione iniziata e mai portata al termine.
Secondo Michael Lang, l’idea era quella di «creare un evento innanzitutto pacifico, un raduno che fosse a misura d’uomo, che fosse in grado di dare alla gente quello che si aspettava, se non qualcosa di più».
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Le spese per poter organizzare il festival furono notevoli. Circa 100 mila dollari per affittare i terreni, almeno 180 mila dollari per i compensi dei musicisti che si sarebbero esibiti durante la manifestazione,. Gli introiti derivanti dai biglietti furono molto pochi. Questo perché gran parte del pubblico entrò senza pagare il biglietto, seguendo il motto delle leggende del rock “L’arte non si paga”.
Tutto quello che era stato perso fu però recuperato con gli interessi negli anni successivi, grazie al lancio del film documentario e la pubblicazione di ben 5 album contenenti le migliori esibizioni della manifestazione.
Grande impatto ebbe il cast d’eccezione che si esibì e altrettanto discussi furono i grandi assenti, che per motivi diversi non hanno preso parte al festival. Primi fra tutti i Beatles, criticati aspramente per la loro mancanza. John Lennon si incontrò con gli organizzatori ma non riuscì a trovare un accordo a causa del veto sulla possibile esibizione di Yoko Ono.
Tanti i momenti emblematici della tre giorni di Rock, tra i quali l’incredibile prova di Janis Joplin che, nonostante il mix di eroina, tequila e vodka, regalò una performance canora da lasciare senza fiato. E ancora l’indimenticabile assolo di Jimi Hendrix. Due ore di concerto caratterizzate da una critica aperta e sfacciata al governo americano dove, grazie ad un anello applicato sul dito, il chitarrista riprodusse il suono delle bombe che intanto stavano cadendo sul Vietnam.
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Ricordate con altrettanta enfasi le esibizioni di gruppi come gli Who, che si esibirono alle 4 del mattino a causa dei problemi riguardanti il loro compenso e degli allora poco conosciuti Joe Cocker e Carlos Santana, che dopo Woodstock entrarono di diritto nell’Olimpo musicale dell’epoca.
Woodstock fu l’ultima grande manifestazione del movimento Hippie, che da allora si diffuse in tutto il mondo. Anche se senza la coesione e l’originalità che avevano permesso negli anni ’60 eventi come il Monterey Pop Festival, la Summer of Love a San Francisco. E lo stesso revival di Woodstock, di cui si tennero altre tre edizioni, anche se nessuna raggiunse il successo di quella originale, fino ad arrivare al grande flop di quella del 1999.
In un mondo in cui i giovani sono assuefatti dai social e in cui la musica sta perdendo il potere di aggregare le masse e creare rivoluzioni, questi eventi riemergono dal passato ponendo l’interrogativo se davvero sia giusto che tutto questo rimanga solo un ricordo o se c’è ancora una speranza per quella coscienza collettiva che in passato ha oltrepassato i limiti e creato nuovi mondi.
Usando le parole di Ernesto Assante e Gino Castaldo dal loro libro Il tempo di Woodstock, vera bibbia per quanti volessero approfondire la storia del festival, «un’intera generazione aveva oltrepassato lo specchio di Alice, e la vecchia generazione era rimasta al di là. Tra i due mondi c’era la separazione netta, e Woodstock fu, tra le altre cose, la trionfale rappresentazione di questa separazione, una festa della diversità, dell’appartenenza a una nuova dimensione del vivere».