Villalago e il Lago di San Domenico – Storie e leggende racchiuse in uno scrigno d’acqua
Terra, aria, acqua e fuoco sono i pilastri eterni e incrollabili sui quali si è creata ed evoluta la nostra esistenza, è vero. Ma ce n’è uno che, per noi umani (come per tutte le altre forme di vita) è più importante degli altri: l’acqua. Senza acqua la vita non sarebbe possibile. E pur essendo un argomento di così vitale importanza, viene spesso sottostimato o trascurato del tutto. Per questo oggi noi vogliamo portarvi in un posto in cui l’acqua, oltre al suo originario ed innato significato, è simbolo, radice e fusto allo stesso tempo. Oggi vi accompagnamo in Abruzzo, presso il piccolo borgo medievale di Villalago (Aq), per salpare sulle acque ricche di storia del suo splendido lago di San Domenico.
“Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris“, ovvero: Ricordati, uomo, che cenere eri, e cenere ritornerai.
Così recita un passo della Genesi della bibbia, che molto verosimilmente tutti abbiamo sentito almeno una volta, anche solo per errore. A distanza di qualche migliaio di anni dalla Genesi, con le attuali scoperte in campo biologico/evoluzionistico, noi possiamo invece affermare che: acqua eravamo, ed acqua ritorneremo. Poiché tutto era acqua, prima di essere. Noi compresi, nel grembo materno, e lo siamo ancora, ma in forma più evoluta.
Probabilmente è per questo motivo che amiamo così tanto passare una giornata in riva al mare, o ad un lago, e respirare profondamente la brezza che dalle acque delicatamente si solleva: ci ricorda le nostre origini. Ci riporta inconsciamente a casa.
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Perché vi raccontiamo tutto ciò? Perché non tutte le acque sono uguali, e non tutte hanno le medesime storie da raccontare. E se siete delle persone a cui piace vagare senza meta nella bellezza senza senso della natura, se siete delle persone spirituali (ed anche un po’ superstiziose), e se adorate staccare la mente dai mille impegni e dal frastuono inutile ed assordante della città… Non potete non conoscere la storia del Lago di San Domenico, il quale non solo prende il nome dall’omonimo abate, ma è anche situato tra i floridi monti di quel piccolo ma stupendo, coloratissimo lembo di terra chiamato Villalago, nella più selvaggia regione d’Italia che da secoli viene chiamata Abruzzo.
Volendo fare un po’ di storia, possiamo con discreta certezza dirvi che San Domenico abate, conosciuto anche tra i locali come San Domenico di Sora, era un monaco benedettino nato a Foligno nel 951, a cavallo di un’era in cui era in fase di gestazione la (non molto) futura contrapposizione Guelfi contra Ghibellini. Era ben conosciuto ed apprezzato dal clero dell’epoca come obbediente devoto ed instancabile stakanovista cristiano, dedito sia alla predicazione che all’impegno civile nell’area centro-meridionale della penisola italiana, nonché autore di vari miracoli, prerequisito fondamentale ai fini della canonizzazione.
Seguendo la sua naturale e spirituale inclinazione alla predicazione e all’eremitaggio, approdó naturalmente in Abruzzo attorno al primo decennio dell’anno mille, dopo un lungo ed arduo cammino. Precisamente nell’attuale comune di Villalago, in località Prato Cardoso.
Rimasto estasiato dalla bellezza della natura, dalla purezza delle acque del fiume Sagittario e dalla silenziosità del luogo, si ritirò in solitudine, in preghiera e in meditazione, per diffondere la parola di San Benedetto. Questo nobile quanto arduo lavoro spirituale lo svolse principalmente in una grotta naturale da lui casualmente scoperta, mentre stava risalendo la valle del Sagittario. Altre fonti invece raccontano invece che fu lui stesso a scavarla manualmente nella pietra calcarea. Tale grotta è tuttora visitabile, ed è una tappa che non deve assolutamente mancare a voi che vi addentrerete nella storia con i vostri occhi.
Perché non può mancare? Perché noi ci lamentiamo spesso di tante cose, ma siamo i primi non far nulla per cambiarle. Perché predichiamo spesso bene, e razzoliamo male. Perché ci lamentiamo dei nostri materassi, e ci lasciamo abbindolare dalla pubblicità che tenta inesorabilmente di annullare la nostra capacità di giudizio, provando a convincerci che abbiamo assolutamente bisogno di un nuovo materasso, senza chiederci prima se ne sentiamo davvero l’esigenza. San Domenico, al contrario, viveva in fredda ed umida grotta, senza riscaldamento centralizzato, senza corrente elettrica, senza gas, e riposava la notte su di un letto di travi di legno: less is more. Avere meno è sinonimo di libertà, e l’umile monaco questo lo sapeva bene.
C’era quindi decisamente dell’attitudine in ciò che predicava, e non si riempiva perciò la bocca di belle parole da dare in pasto al popolo, mentre nelle retrovie ci si abbandona allo sfarzo e al lusso più sfrenato, come gli esempi che abbiamo oggi. Dalla politica, passando perfino per l’arte, per finire al comune cittadino. Perfino un non credente oggi non può mettere in discussione il suo carattere forte ed esemplare, grazie al quale a suo tempo si guadagnò il rispetto, la benevolenza e l’ammirazione della popolazione locale.
Queste travi lignee furono purtroppo quasi del tutto bruciate da un incendio nel 1988, anche se già da molto tempo prima i devoti erano soliti staccarne dei pezzi per tenerli con sé come reliquie. Ciò che ne rimane è attualmente conservato in una teca nella cappella di San Domenico Abbate, la chiesa parrocchiale di Villalago, facilmente visitabile.
Secondo la tradizione, in questa terra d’abruzzo San Domenico rimase per sei o sette anni, finché fu rintracciato dai Conti di Valva i quali, a seguito di forti pressioni di molti fedeli che chiedevano di diventare monaci, chiesero a loro volta al monaco di costruire un monastero. Qui, in questo piccolo eremo denominato “Eremo di prato Cardoso” (altresì conosciuto come “Eremo di San Domenico” come da tradizione), il futuro santo fondò attorno all’anno 1017 il monastero di San Pietro del lago, di cui oggi rimangono solo dei ruderi, ma al tempo era molto florido e prospero. Fu infatti a seguito di questo evento che il paese antistante iniziò a densamente popolarsi, con l’arrivo di molti contadini Valvensi che bonificarono e resero coltivabile l’intera valle, rimasta fino ad allora bella quanto inutilizzata e disabitata.
L’abbazia venne negli anni a seguire lentamente svuotata di ogni potere e presenza umana fino alla metà del XV secolo, quando con il completo abbandono da parte dei monaci benedettini fu totalmente abbandonata.
La chiesetta attualmente visitabile venne invece costruita nel XVI secolo, e solo in seguito ristrutturata e resa fruibile agli appassionati di storia, di arte, o semplici turisti. Ad essa è possibile accedervi attraverso un piccolo portico, dentro il quale sulla destra si trova una bifora che offre davvero una splendida visuale sul lago, mentre in alto si trovano degli affreschi in cui vengono raffigurati alcuni dei miracoli del santo: il bambino restituito dal lupo, il miracolo delle fave, la trasformazione dei pesci dell’ingordo in serpi e il ragazzo caduto dalla quercia.
È proprio salendo dei piccoli gradini dal di dentro di questa chiesetta che si giunge alla suddetta grotta, e non si può non restarne subito colpiti dalla differenza di condizioni in cui noi attualmente viviamo, e soprattutto nel rivivere mentalmente le leggende che nacquero a proposito di tale grotta. Si dice infatti che qui siano avvenuti diversi miracoli in riguardo all’acqua: uno di essi ci racconta che, mentre il monaco era ancora in vita un ragazzo, assalito da una febbre parossistica, guarì immediatamente dopo aver bevuto dell’acqua in cui il santo aveva lavato le sue mani. Un’altra ancora, di una donna che, con la stessa metodica del ragazzo, guarì miracolosamente da una non meglio specificata malattia del sangue. Ancora: i devoti, fino a non molto tempo fa, erano soliti strofinare degli oggetti sulle pareti umide della grotta, per raccoglierne le acque e servirle in seguito agli ammalati, poiché capaci di guarire da ogni male. Vale dunque sicuramente la pena salire qualche gradino più in alto non solo per meravigliarsi, ma anche per riflettere e trovare il modo di riempire il GAP che separa la realtà dalla leggenda.
Parlando delle origini del lago invece, purtroppo la sua genesi non è ricca di sacralità e di mistero come quella che vi abbiamo raccontato finora, ma è molto più interessante dal punto di vista naturalistico. Il lago è di origine artificiale, e venne creato in un bacino a seguito dello sbarramento del fiume Sagittario, le cui acque vennero perciò convogliate per realizzare, di fatto, una diga idroelettrica. Quest’ultima fu ultimata nel 1929 per conto di Ferrovie dello stato, che si serviva dell’energia idroelettrica per alimentare la linea Roma – Sulmona, e tuttora le acque del lago alimentano la centrale idroelettrica del Sagittario. Venne creato quindi per una mera funzione utile ad un ben preciso scopo, ma ciò non lo rende meno affascinante. Dopotutto, venne realizzato in tempi in cui, al contrario di oggi, c’era ancora tempo per buttare l’occhio alla qualità, piuttosto che alla sola “quantità”, e di conseguenza bellezza ed utilità potevano ancora convivere nello stesso ideale.
La particolarità del lago consiste nella limpidezza e trasparenza delle sue acque, sulle quali sembra galleggiare un verde smeraldo intenso, dato dalla flora sottostante e circostante il lago, che si riflettono dunque sulla sua superficie.
Oltre al fiume Sagittario, abbiamo anche altri due piccoli immissari che vanno ad alimentare la portata del lago: sono le cascatelle della sorgente Sega ed il fiumiciattolo Rio Cardoso. Quest’ultimo è solo un piccolo rivolo d’acqua che si crea autonomamente nei periodi sia di piogge incessanti, sia nei periodi di scioglimento delle nevi. Tuttavia, fa la sua modesta, utile parte. L’unico emissario del lago è invece lo stesso Sagittario, che scorre tra le omonime gole da tempo immemorabile. Tutto intorno al lago la fauna pullula di biodiversità, così come la flora. Tra tutti, è possibile qui ammirare con relativa facilità il germano reale, in tutta la sua varietà di colori e di bellezza.
Villalago, per concludere, è uno splendido borgo incastonato su di un promontorio roccioso, il quale regala una vista mozzafiato sulle acque del suo lago, le quali custodiscono storie e leggende secolari di tempi tanto lontani quanto intriganti. Un luogo paradisiaco, che non ha nulla da invidiare alle più blasonate mete turistiche Altoatesine a livello di estetica naturalistica. Un posto nel quale è possibile (ed auspicabile) deliziare gli occhi e distendere lo spirito, perdendosi tra le decine di sentieri che si diramano attorno al lago, e tra le montagne selvagge.
Vi lasciamo oggi con una piccola bomba atomica, per quanti di voi non ne fossero già a conoscenza: a questa terra (come del resto all’intero Abruzzo) era particolarmente legato nientemeno che il più grande incisore e grafico del Novecento, l’olandese Maurits Cornelis Escher, come dimostrano le sue numerose litografie sparse per i musei di tutto il mondo. In particolare, “l’arco del vicinato di mezzo” è la testimonianza trasposta su litografia del suo passaggio a Villalago. Tale arco è possibile vederlo nel cuore del centro storico del borgo.
Autre Temps… forse migliori, forse peggiori. Sta di fatto che qui, le lancette dell’orologio di quei tempi, sembrano essersi realmente fermate.
Bon vojage!