‘O famo sstrano? 25 anni fa usciva “Viaggi di nozze” di Verdone
“ ’O famo sstrano”. Sono passati ben 25 anni dall’uscita di “Viaggi di nozze”, film in cui Carlo Verdone, regista e pluriprotagonista, fa citare a Ivano questa famosa frase. Il coatto romano, neo marito di Jessica interpretata da Claudia Gerini, regala perle su perle. Non solo cinematografiche. Ma anche linguistiche.
“Nun riesco a individuà o sstadio”. Dove la T di “stadio” non viene praticamente pronunciata subendo una lezione e un assorbimento da parte della S, la sibilante in alfabeto fonetico, pronunciata lungamente. E’ sicuramente un’ipercaratterizzazione che difficilmente si può ritrovare tra i vicoli della capitale. Ma l’intento di Verdone è ben chiaro oltre che riuscito. Ha voluto portare all’estremo un tipico personaggio romano. Coatto per vocazione ma complementare con la compagna, con la quale condivide passioni musicali, discotecare, alcoliche, sessuali. La lenizione di T è presente anche nella famosa frase citata all’inizio e diventata un must, un abitudine linguistica non solo dei romani.
La grandezza di Verdone è proprio in questo. L’aver saputo far entrare nel gergo comune degli italiani, senza distinzione regionale, le battute romanesche sue o degli attori dei suoi film.
L’erede di Alberto Sordi con “Viaggi di nozze” dimostrò, una volta ancora, di conoscere le varietà di registro del romanesco. Il dialetto di Roma difatti non è uno. Varia a seconda del parlante, della situazione, se scritto o parlato. Cambia in base all’anno in cui viene parlato (o in questo caso recitato). Nei secoli infatti ha subito varie trasformazioni.
Le variazioni del romanesco
Da un romanesco trecentesco, attestato per esempio nella Cronica di Anonimo Romano, appartenente alla famiglia dei dialetti centro-meridionali e simile al napoletano, si passa tra 1400 e 1500 ad un romanesco smeridionalizzato, toscaneggiante. Si perdono quei tratti come la dittongazione metafonetica, il perfetto in -AO o i pronomi personali tonici Mi, Ti, Si, per accogliere quelle forme tipiche del fiorentino come l’articolo EL, che per rotacismo della laterale L in romanesco diventerà ER il quale fino ad oggi è un tratto tipico del vernacolo di Roma riconosciuto in tutta Italia.
Se per un linguista come Migliorini, negli anni ’30, questa trasformazione fu dovuta ad un “disfacimento” del romanesco, per Mancini, più recentemente, bisogna considerare alcuni decenni di trasformazione linguistica. Periodo coincidente con la forte immigrazione toscana a Roma nel XVI secolo e culminato con il Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi nel 1527 che comportò la spopolazione dell’Urbe e la seguente ripopolazione dovuta ad una nuova massiccia immigrazione da regioni come la Toscana e Umbria. I nuovi parlanti ovviamente contribuirono all’evoluzione in senso toscano del romanesco.
Ivano e Jessica non sono sicuramente a conoscenza di questa evoluzione del romanesco. Ma parlano una lingua che gli viene da dentro. E’ innata in loro. Così come in Verdone, romano doc. Ma altrettanto conoscitore della storia di Roma e della sua lingua.
Roma raccontata dai personaggi di Verdone
“Viaggi di Nozze” è l’ennesimo modo di raccontare Roma, dei suoi abitanti, della realtà composita della Capitale. E lo fa anche attraverso la lingua. Dal romano medio Giovannino De Berardi, che mostra qualche tratto tipico ma non marcato del romanesco, al professor Raniero Cotti Borroni, che parla un italiano aulico e tecnico ma che ha qualche rara scivolata dialettale in particolari momenti.
Nella storia di Verdone sono innumerevoli gli usi del romanesco in base alle diverse scene e ai personaggi.
Indimenticabile ad esempio la scena di “Acqua e sapone” in cui il protagonista cerca di convincere la nonna, interpretata dalla Sora Lella (al secolo Elena Fabrizi), a rispondere in italiano corretto. I tentativi risultano vani e la donna continua ancora oggi a rappresentare una Roma, linguistica e non, che piano piano sta andando scomparendo.
Venticinque anni fa usciva nelle sale cinematografiche un modo alternativo di raccontare Roma e i romani da parte di Carlo Verdone. Un modo “sstrano”. Ma riuscitissimo.