Venezia 2024.”Joker – Folie à deux”: il sequel che non si doveva fare
Era il film più atteso di questa edizione della Mostra del Cinema: Joaquin Phoenix e Lady Gaga sono arrivati a Venezia per presentare “Joker: Folie à Deux“.
Quale posto migliore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per presentare il sequel di “Joker“, dove il primo capolavoro fu presentato cinque anni fa?
In realtà nel 2019 il regista Todd Phillips e Warner Bros. avevano dichiarato che “Joker” sarebbe stato un film unico e indipendente da ogni universo condiviso. Condizione necessaria anche per convincere Joaquin Phoenix che, come Paganini, “non ripete”: precedentemente il suo scetticismo nei confronti dei sequel lo aveva portato ha rifiutare il ruolo di Wolverine.
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Evidentemente interprete e regista si son fatti convincere dal Leone d’Oro a Venezia nel 2019, dall’Oscar come Miglior attore protagonista vinto da Phoenix e da qualcosa come un miliardo di incassi. “Joker” è diventato un fenomeno di culto a tutti gli effetti: basti pensare a quante persone abbiano emulato il metaforico e disperato grido di Arthur Fleck che si rifugia nel suo alterego omicida o a chi invece, seppur non forzatamente avendo compreso il messaggio di denuncia sociale del film, abbia riprodotto il celeberrimo trucco del Principe Pagliaccio, i suoi capelli verdi e il suo intero costume. O ancora a come la scena della sua sgangherata “danza” sulle scale – che esistono davvero e si trovano a New York, a Highbridge, nel Bronx – sia diventata talmente iconica da essere inserita nel poster del film e essere continuamente riprodotta sui social.
Possiamo affermare che “Joker – Folie à deux” si concentri proprio sullo sviluppo di questi due elementi: l’emulazione della “maschera” di Joker e l’iconico ballo sgangherato. Ma Phillips li sviluppa al punto da cambiarne drasticamente la percezione. Vediamo come.
La “maschera” di Joker
Il sequel entra nella psiche di Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) dopo l’incredibile successo del “suo” Joker: approfondisce così il complicato e usurante rapporto tra queste due identità che condividono un solo corpo – quello di Phoenix che per l’occasione appare emaciato, consumato quasi anoressico -, visibile vittima di questo estremo dualismo.
Dove inizia Joker e dove finisce Arthur? Dopo un incipit in stile cartoon che ricorda i Looney Tunes, scopriamo che l’uomo si trova nel manicomio di Arkham, in attesa di un’udienza in tribunale, nel caso in cui venga ritenuto mentalmente idoneo a sostenere un processo per i cinque omicidi commessi (le autorità non sanno che è stato proprio lui a soffocare sua madre malata con un cuscino). Il protagonista è ormai diventato una sorta di dead-man-walking, sembra aver perso la sua arguzia e la sua inquietante risata che ci aveva conquistati.
Il mondo fuori è impazzito per Joker, per la sua rabbia anti-istituzionale assurta a simbolo dell’esaurimento che la società provoca nell’uomo comune, trasformandolo in un folle omicida. Mentre è stato persino realizzato un film su di lui – ma non potrà vederlo -, Arthur è rimasto completamente solo con i suoi mostri, con il suo Joker che non appartiene più solo a lui.
Essere o meno Joker è diventata una responsabilità verso quella folla che, come Arthur afferma in tribunale, fino ad allora nemmeno sapeva della sua esistenza. Secondo la difesa, l’unica soluzione attuabile per evitare la sedia elettrica è dimostrare l’infermità mentale: convincere una giuria del fatto che non sia stato Arthur Fleck a commettere gli efferati omicidi ma questo suo alterego latente, folle, dovuto ad anni di abusi e torture psicologiche da parte della madre e della società che lo ha consumato ed emarginato.
L’unico modo per salvare Arthur è quindi lasciare che Arthur scompaia, venendo completamente assorbito dal Joker, dalla sua rabbia e dal suo tormento. Non cercare più una via d’uscita, perdere completamente quel dualismo che lo rende ancora un essere umano seviziato e fragile, ma fragile come una bomba – che sostanzialmente lo rende un personaggio così profondo e apprezzato dal grande pubblico. Tutto il mondo fuori alimenta la follia e misantropia del Principe Pagliaccio per il proprio bisogno di un antieroe, di un simbolo della rivoluzione che nessuno ha il coraggio di mettere in atto, con la rabbia e la sofferenza di Joker. Ma Arthur si ritrova completamente solo a fare i conti con questi stessi sentimenti che lo stanno visibilmente consumando all’interno delle quattro mura del manicomio.
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Anche se una buona fetta di pubblico probabilmente non approverà, Arthur sceglie – quasi involontariamente – di salvare (in qualche modo) se stesso dalla follia divoratrice del Joker. Può farlo solo dimenticando tutto il mondo fuori (che a sua volta, di nuovo, sta dimenticando Arthur per emulare Joker) per ritrovare se stesso e i propri sentimenti.
Nel manicomio di Arkham Arthur si libera della rabbia e trova, con sua stessa sorpresa, l’amore in Harleen “Lee” Quinzel (Lady Gaga), la futura Harley Quinn, che conosce la sua storia e ne è a dir poco esaltata. Quando Arthur e Lee si incontrano durante le sedute del corso di musicoterapia – offerto dalla struttura – tra i due c’è un colpo di fulmine.
Contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare guardando per il film nel 2019, in “Joker – Folie à deux“, Arthur Fleck si innamora, scoprendo un intero mondo e la possibilità di essere amato. Esplora i suoi sentimenti – ma anche la sua passione – vivendo una storia d’amore con la particolarissima Lee, che entra completamente in simbiosi con lui . La “follia a due” del titolo rappresenta infatti una rara forma di psicosi in cui due persone distinte condividono lo stesso stato alterato.
La musica dentro
L’introduzione del personaggio di Lee ci permette di rivelare in che modo come viene approfondito il secondo elemento del primo film divenuto iconico: il ballo sulle scale ci mostra come ci sia sempre stata musica in Arthur/Joker.
Con il corso di musicoterapia e aprendosi all’amore, Arthur si concede semplicemente la possibilità di approfondire il suo rapporto con la musica, insito nella sua personalità. Paradossalmente è solo quando l’uomo è rinchiuso in un manicomio che trova la libertà di fare uscire fuori una parte di sé.
La storia d’amore con Lee/Gaga si manifesta e concretizza così nelle canzoni: più precisamente nei duetti che i due eseguono durante il corso e nelle esibizioni degne di Broadway che troviamo in una sorta di fase onirica e simboleggiano l’esplosione del forte legame che li unisce.
Se nel primo film Arthur aveva una musica in testa che si esplicava in qualche solitario balletto, in “Joker: Folie à Deux“, le note e le voci si trasfigurano in una sinfonia, in una coreografia, in un autentico show. La musica diventa una sorta di personaggio aggiunto, come il coro nel teatro greco. Ma anche queste canzoni in realtà facevano già parte della storia di Joker: con ogni probabilità si tratta delle canzoni che Arthur ascoltava da piccolo con la madre. Joaquin Phoenix e Lady Gaga reinterpretano grandi classici in maniera originale e divina: da “That’s Entertainment“ a “Gonna built a Mountain“, passando per le spensierate hit di Judy Garland, Sammy Davis jr e Frank Sinatra.
Il sequel di “Joker” è dunque molto più vicino al musical che ad altri generi cinematografici. La presenza di Lady Gaga, astro nascente del cinema, sembra perfetta per una svolta di questo tipo: la regina del pop canta in un modo che rende quasi impossibile non apprezzarla – sia a un ritmo controllato nelle sequenze dei sogni, sia in modo graffiante quando Lee e Arthur sono più vicini alla lucidità. Non solo: Gaga è un personaggio di forte richiamo e la sua presenza attira anche chi si era tenuto lontano dalla visione cupa della rabbia solitaria di un uomo abbandonato dalla società, proposta da Joker. Eppure la scelta di Phillips è stata criticata: non per l’indiscutibile talento della cantante, ma per aver tristemente sottoutilizzato il suo potenziale, al punto che a qualcuno è apparsa addirittura “spenta“.
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La critica si divide – così come molto probabilmente farà il grande pubblico – tra chi ha amato la scelta di far rifugiare il disperato e solo Arthur in una realtà di sogno, passione e musica e chi disprezza la conseguente perdita dell’essenza stessa di Joker.
Effettivamente il sequel non aggiunge molto alla trama: in tribunale e con il suo difensore, Joker ripercorre quanto successo nel primo film attraverso le testimonianze del processo nei confronti di Arthur Fleck, ma questa volta lo fa cantando. Ma il mondo intorno a lui non sembra condividere il suo percorso evolutivo, ha solo bisogno del suo (anti)eroe. Effettivamente, mentre i sentimenti del protagonista sembrano sempre più sinceri, anche Lee sembra innamorarsi più di Joker che di Arthur…
“Joker – Folie à Deux” non è dunque un’appassionante storia d’amore criminale, tantomeno offre un film che approfondisce la malattia mentale o la tendenza criminale. Inoltre il finale anticlimatico e di gran lunga inatteso sembra escludere anche che si tratti di un film su un amore ossessivo.
Nonostante la lodevole (indubbiamente) prestazione di Joaquin Phoenix e la perfetta chimica con Lady Gaga, quello realizzato da Todd Phillips sembra essere un vero e proprio anti-sequel. Come se volesse distruggere l’intero castello del franchise “Joker” che fa allontanare dalla dura verità del suo primo film.
Come se a Joker avesse preferito Arthur.