Parole & Suoni, Vecchioni e la leggenda di Samarcanda
“Oh oh cavallo oh oh cavallo oh oh”. Chi, soprattutto da bambino, non ha mai cantato questo ritornello? La voce di Roberto Vecchioni accompagnata dal violino di Angelo Branduardi crearono un capolavoro apprezzato ancora oggi. Merito di una musicalità e di un ritmo coinvolgente dall’inizio alla fine.
Ma quanti si sono mai soffermati a studiare le parole di “Samarcanda”?
Nonostante la musica il testo è tutt’altro che allegro. Il cavallo era infatti il mezzo donato da un re orientale ad un soldato appena tornato dalla guerra per scappare alla morta. La “nera signora”, apparsa durante i festeggiamenti per la fine del conflitto, era infatti la Morte. Colei che non era riuscito a prenderlo in battaglia lo aspettava a casa sua. Almeno questo era quello che credeva il soldato che fuggì verso Samarcanda. E lì trovò ancora lei che lo attendeva.
“T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda
Eri lontanissimo due giorni fa,
Ho temuto che per ascoltar la banda
Non facessi in tempo ad arrivare qua”.
In pratica la figura retorica utilizzata dal Professore, che personifica la morte, indica l’impossibilità di sfuggire al proprio destino. L’inevitabilità del trapasso. Nonostante il cavallo “figlio del lampo, degno di un re” per scappare a Samarcanda.
La città è l’attuale capitale dell’Uzbekistan, che da millenni si trova lungo la via della seta. Fondata quasi 2700 anni fa l’etimologia riporta ad una “fortezza di pietra” che richiama l’antico uso militare del luogo.
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Qui vi passarono e governarono Alessandro Magno, Tamerlano, Ulugh Beg. Fu un centro in cui confluì la cultura persiana, iranica, araba, europea, mongola. Un mix culturale che ne fece patria di letteratura e leggende tutt’oggi in circolazione.
Come quella a cui si ispirò Vecchioni per la sua canzone. Portata in Occidente da John O’Hara la storia era probabilmente di origine araba. O comunque del vicino Oriente.
Si narra che l’angelo della Morte e un servo si incontrarono nel mercato di un villaggio. Quest’ultimo per sfuggirgli chiese al padrone un cavallo per scappare. Proprio come il soldato protagonista di “Samarcanda“. Ma è proprio quella città la destinazione dello schiavo della leggenda. Correndo sul suo cavallo costui andava incontro alla Morte. Lei, anche qui personificata, fu cercata all’interno del mercato dal signore, curioso di sapere cosa avesse spinto il suo servitore a chiedergli un cavallo e scappare. L’angelo si disse stupito. Perché lo aspettava la sera stessa a Samarcanda.
Ma perché la scelta di quella città? La spiegazione probabilmente è da ricercare nella cultura islamica. Nell’idea che quell’antico avamposto militare era divenuto inizialmente l’estremo confine dell’espansione araba. Come se fosse divenuta la frontiera tra la vita e la morte. Tra il mondo terrestre e quello dei morti. Tra la materia e lo spirito.
C’è chi invece parla delle origini ebraiche di questa leggenda rifacendosi al Talmud babilonese dove si narra l’incontro del re Salomone con l’Angelo della Morte.
“Perché sei così triste?” gli chiese. “Perché mi hanno ordinato di prendere quei due etiopi” rispose l’Angelo riferendosi a due scribi del re. Salomone volle salvare i suoi uomini e li fece scappare nella città di Luz, ma, appena arrivarono, morirono. Rivedendo l’Angelo, il re gli chiese “Perché sei così felice?”. “Perché hai mandato i due etiopi proprio nel posto in cui li aspettavo”.
In ogni caso dal destino non si scappa.
La “città turchese” è da millenni al centro di rotte di mercanti, viaggiatori, architetti, pellegrini, guerrieri, conquistatori. Luogo ideale in cui ambientare storie e leggende tramandate oralmente e attraverso manoscritti. E un paroliere come Vecchioni ha perfettamente colto il centro dell’anima di Samarcanda. Non solo una città, ma rappresentante terrena di un’idea. Raggiungerla significa andare avanti. Un viaggio per andare oltre.