Valerio Lundini è un genio perculante e tiene a ribadircelo
Cosa sia il “Il Mansplaining spiegato a mia figlia” nessuno lo sa e, francamente, a pochi interessa. Perché i titoli sono importanti, ma non sono l’unica cosa che conta, come sosterrebbero gli appassionati tifosi juventini. Tolta l’apparenza, ciò che resta è la sostanza, e se anche “Le Parole” di Gramellini non destano curiosità con riferimento al nome del programma, perché tanto lo si guarda prescindere dal titolo, allora a noi, cosa potrà mai fregarcene di come quel geniaccio perculante di Valerio Lundini intitola i propri spettacoli?
Niente, appunto. Quanto sopra descritto è figlio delle convinzioni del comico capitolino che noi ci limitiamo a segnalare e, perché no, a condividere. Anche lui la pensa come noi, lo dice apertamente. Tolta la patina che avvolge e confeziona la creativa espressione linguistica a latere del concetto, resta l’attenzione su cosa abbia da dire questo contenitore.
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Il Mansplaining è un’essenza di dissacrazione e ironia, di satira pungente e di trovate spassose.
Fin qui ci siamo ma, per chi non lo avesse ancora compreso, basteranno le prime battute del sopra citato spettacolo per capirlo in maniera più netta. Nei due appuntamenti al Ridotto comunale dell’Aquila, andati in scena martedì 18 e mercoledì 19 gennaio, Lundini ha esibito un repertorio ampio e colmo di sketch surreali, canzoni, giochi satirici di parole ed effetti speciali multimediali.
Nelle circa due ore di divertimento e comicità, che di questi tempi servono come l’ossigeno, si sono alternate battute al fulmicotone e provocazioni esilaranti, sempre giocate nel perfetto equilibrio tra il sacro e profano, tra il detto e il non detto, tra il “lo penso, ma lo dico?”.
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La satira è scorretta, lo sappiamo bene. E’ la sua natura, deve esserlo. Ma è anche un’arma a doppio taglio difficile da dosare.
Ed è lì che si attanaglia la bravura di Lundini nel saperla maneggiare con maestria, distribuendola nelle giuste proporzioni e con la dovuta irriverenza, dosandola quando serve e facendola strabordare quando il piede sull’acceleratore è ormai pigiato.
Mattatore del suo one man show, ne ha per tutti, compresi gli stand up comedian che vogliono fare i “tosti” a suon di parolacce e frasi incazzate ma che poi si rivelano essere tutto fuorché originali o pungenti. Anzi, esprimono una tale impersonalità da fare impallidire anche gli stereotipi più sofisticati.
Da Roma a Napoli, da “quella cosa che viene fatta tipo focaccia dove mettono sopra una cosa chiamata passata di pomodoro, stendono una mozzarella e la fanno cuocere in una fornace” a quelle espressioni gergali romanesche tipo “Biboje” (“mia moglie”) passando per l’incredibile superficialità delle locandine preconfezionate per vendere fumo. O anche ghiaccio agli eschimesi.
C’è la giusta e inevitabile miscela di sesso e cliché annessi che viene coniugata con le nevrosi tipiche e paradigmatiche degli italiani (quindi una quantità industriale) che spiana la strada al finale dove descrive – letteralmente – la scena più famosa del musical Grease, quella nella quale John Travolta e Olivia Newton John cantano e ballano sulle note di “You’re the one that i want“.
La comicità italiana non dorme mai, è parte dell’essenza del nostro popolo.
Forse pecca di autoreferenzialità ed è stantia, vocata all’ordinario e alla tradizione. Ma va anche bene così, finché piace non si discute e niente esclude il resto.
Ma Valerio Lundini non si omologa, va avanti per la propria strada e non ci sarà da stupirsi se lui, assieme a pochi altri che stanno rapidamente scalando le classifiche di gradimento del pubblico tricolore, rappresenteranno il futuro comico del Bel Paese.
La società civile evolve. Il modo di ridere anche.
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