“Unplugged in Monti”: l’intervista all’organizzatore Emanuele Chiti
Alla vigilia del concerto della leggendaria ex bassista e co-fondatrice dei seminali Sonic Youth Kim Gordon, che questa sera si esibirà nella cornice unica del Teatro Antico di Ostia, abbiamo raggiunto telefonicamente Emanuele Chiti, che insieme a Alessio Pomponi e
ad Emanuele Minuz, è l’anima di “Unplugged in Monti”, solida e ormai storica realtà indipendente nell’ambito dell’organizzazione
dei concerti su Roma, che dell’evento è co-promoter.
Ecco cosa ci ha raccontato della loro attività sul territorio che da anni porta all’Ombra del Cupolone molti nomi eccellenti della scena
rock alternativa.
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Il prossimo live a Ostia Antica di Kim Gordon è un’autentica chicca. Puoi raccontarci come siete riusciti ad agganciare un mostro sacro della musica alternativa come l’ex bassista e co-fondatrice dei Sonic Youth e a portarla in una location di eccezione come il Teatro di Ostia Antica?
Siamo stati contattati tempo fa dall’agenzia di booking italiana che cura gli interessi di Kim Gordon ed è venuta fuori la possibilità di
lavorare a questo concerto, per il quale siamo impegnati come co-promoter supportando Arci Roma. Non potevamo certo lasciarcela
sfuggire! Tanto più che, pur essendo lei venuta diverse volte a suonare in questa splendida venue con i Sonic Youth in due circostanze (nel 2001 e nel 2007), da solista ci tornerà per la prima volta. È davvero una grande soddisfazione per chi, come noi, mette
sempre una grande cura nella scelta dei posti dove allestire un concerto.
Facciamo un salto indietro (e facciamolo con “intenti scaramantici”): quando i divieti organizzativi dovuti al Covid hanno
bloccato di fatto la musica live per così tanto tempo, avete temuto che una rassegna indipendente come “Unplugged in Monti” potesse non sopravvivere? Che cambiamenti avete rilevato dopo la ripresa delle attività rispetto al passato?
Appena l’epidemia del Covid ha preso il sopravvento, cancellando di fatto la musica live in ogni parte del mondo, ci siamo preoccupati non poco, perché eravamo nel pieno dell’attività, da poco avevamo organizzato un concerto di Robyn Hitchcock con Emma Tricca che era andato molto bene e tanto entusiasmo per il futuro (pensa che eravamo in trattativa per ospitare una data solista di “Buzz” Osbourne dei Melvins!). Per fortuna, non appena si è potuto riprendere con un po’ di continuità e soprattutto di prospettiva, le cose sono andate subito abbastanza bene. Ufficialmente abbiamo ripreso la nostra programmazione la scorsa estate al Teatro Garbatella con Andy Bell e ci siamo subito rimessi in moto, non era facile. Una cosa che invece mi sento di sottolineare è che, fin da subito, non sono mancate proposte e opportunità di organizzare eventi, un fattore per niente scontato per chi, come noi, opera in una città in qualche modo “lontana” dal resto dell’Europa in termini di programmazione delle tournée. Naturalmente, alcune cose sono cambiate, di sicuro i costi sono lievitati, ragion per cui anche noi siamo stati spesso costretti ad un minimo restyling sui prezzi dei biglietti per sostenere tutte le spese e rimanere a galla, mantenendo comunque dei prezzi sopportabili per il nostro pubblico.
Lasciaci entrare un po’ nel dietro le quinte della vostra rassegna: come viene sviluppata la programmazione, a quali criteri, musicali e “filosofici”, vi attenete? E, già che ci siamo, puoi fornirci qualche numero su quanta gente è coinvolta nella realizzazione dei vari eventi?
La linea, nella stragrande maggioranza dei casi, è dettata dalle nostre coordinate di ascoltatori e appassionati e ti posso dire che, anche se ci dovesse arrivare un’offerta vantaggiosa che andasse fuori dalle nostre corde, non la accetteremmo. Detto ciò, noi contattiamo agenti e promoter locali e internazionali (sono quattro o cinque, di solito) con i quali lavoriamo da tempo e poi ci mettiamo in moto per tirar su il nostro cartellone. Per quanto riguarda lo staff, abbiamo ausili vari in produzione, in cassa o in altre settori, tipo service o grafiche (Luca Morello c’è da sempre per esempio). Però, fondamentalmente, siamo noi tre (nella prima edizione del 2012 c’era anche Vieri Santucci), anche da un punto di vista come dire “manuale”.
Nel corso degli anni, avete utilizzato un certo numero di venues, tutte a loro modo molto suggestive. Ce n’è una alla quale sei più affezionato e che, secondo te, meglio si sposa a quello che è il vostro progetto artistico e, uso un parolone, “ideologico”? Ah, visto che stiamo provando a farti sbottonare, c’è un concerto che più degli altri ti rende orgoglioso di aver regalato al pubblico romano?
Penso di parlare anche a nome di Alessio Pomponi e Emanuele Minuz: le Chiese Evangeliche Valdesi dove abbiamo organizzato i concerti più rappresentativi stilisticamente di UIM, sono certamente i nostri “luoghi dell’anima”. Quando loro hanno deciso di cominciare ad organizzare eventi al di fuori del contesto del Blackmarket di Rione Monti (Unplugged In Monti è anzitutto una idea e creazione di Alessio e Emanuele Minuz, tutto questo c’è grazie alla loro visione) dove tutto è nato, questi due posti hanno assunto subito un’importanza decisiva nell’immaginare un certo tipo di allestimento per i nostri live. In ogni caso, Roma è talmente piena di locations spettacolari che non si finisce mai di trovare posti dall’altissimo potenziale emotivo.
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Penso agli eventi che abbiamo organizzato quest’anno al Teatro Basilica nel quartiere San Giovanni: è senza dubbio favoloso, come si fa a non amarlo? Per quanto riguarda il concerto che più di tutti sono stato orgoglioso di organizzare, non posso che risponderti quello di Greg Dulli con il supporto di Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo, tenutosi nella Chiesa Evangelica il 22 febbraio 2016. Gli Afghan Whigs sono una colonna portante della mia formazione e sono ancora oggi una delle mie band preferite. Mi sono sentito davvero al settimo cielo.
Sempre a proposito di Roma: per voi che da anni operate in questa città, quali sono le difficoltà più rilevanti da dover affrontare? E quali, invece, i plus che considerate fondamentali per andare avanti?
Le difficoltà sono innanzitutto legate alla posizione periferica di Roma alla quale accennavo prima. È molto più facile in termini di
organizzazione lavorare su Milano o anche Bologna perché sono più vicine al resto dell’Europa e i costi sono decisamente inferiori. A questo si aggiunga, mi dispiace dirlo, una certa cecità da parte delle istituzioni che non supportano quasi mai adeguatamente certe
realtà o, se lo fanno, dopo un po’ di tempo smettono condannandole sostanzialmente a morte (pensiamo a quello che è successo con un festival bellissimo come “Enzimi” ormai tanto tempo fa). Di contro, invece, l’incredibile ricchezza di fascino della nostra città continua ad attrarre praticamente tutti, anche perché Roma, soprattutto per quanto concerne la capacità suggestionante di certe “ambientazioni concertistiche” non ha eguali al mondo. I musicisti la amano, davvero!
Avete mai pensato di esportare in qualche altra città il “format” di “Unplugged in Monti” o è nato per restare per sempre romano? Vi piacerebbe fare del proselitismo per coinvolgere realtà magari più provinciali, sfruttando il vostro patrocinio?
Siamo usciti da Rione Monti ma non da Roma, è vero. Quello di stasera si può considerare il più “periferico” dei nostri concerti. Ti confesso che, sì, qualche proposta di farlo in passato c’è stata, ma non si è concretizzata. Comunque ti dico anche che siamo possibilisti in materia, soprattutto per quel che concerne futuri eventi nella provincia di Roma. Certo, pensare di esportare “Unplugged in Monti” oltre il Centro Italia non credo che avrebbe un grande senso.
Da ormai un quarto di secolo (il tempo vola!) sei nella “scena” musicale romana nella doppia veste di fan, oltre che di
organizzatore. Al di là dei problemi legati ai costi, pensi che la crescente diminuzione di tappe capitoline nelle tournée degli artisti internazionali sia dovuto anche ad altro? Quali pensi possano essere gli ingredienti giusti per migliorare la situazione in un futuro molto prossimo?
Innanzitutto bisogna lavorare sulla costruzione, anzi, sulla ricostruzione di una scena propriamente detta. Per farlo ci devono essere dei locali che abbiano il coraggio di puntare tutto su un certo tipo di musica. Sappiamo bene che, al giorno d’oggi, non è una cosa facile e che spesso chi ha un’attività per sopravvivere ha quasi sempre bisogno di “mischiare” eventi di vario genere, ma io ritengo che questo ritorno ad una sorta di quasi “purismo” sia fondamentale. C’è bisogno di locali che, come il Circolo degli Artisti e il vecchio Init (che da poco ha ripreso le sue attività e si sta “ri-rodando) qualche anno fa, si ergano quasi a fortezze di un movimento rinnovato. Non dovrebbe essere tutto solo un “lavoro”, ecco! Anche se, mi rendo conto, non è una cosa semplice da dire. Certo, se ci fosse un po’ più di sostegno delle istituzioni che già abbiamo chiamato in causa le cose andrebbero certo meglio. Pensiamo, che so, a quello che succede a Barcellona con il “Primavera Festival”: ecco, quello è un modello da seguire, tanto più che non si limita a esistere soltanto quando c’è l’evento vero e proprio, ma ha attività e spin off nel corso di tutto l’anno. In ogni caso, bisogna lavorare dal basso, ridare un senso a un certo concetto di identità. Soltanto così si potrà preservare la sacralità (perché di questo stiamo parlando) del live e sperare in un futuro migliore. Noi ce la metteremo tutta per contribuire alla causa, puoi esserne certo.
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Leggendo il calendario estivo dei concerti in Italia questa estate, si nota, come forse non mai, il proliferare in quasi tutte le regioni dello Stivale di festival all’aperto grandi e piccini, alcuni dei quali con un cartellone a dir poco di tutto rispetto. Come mai, secondo te, passata la bella stagione sembra non esserci mai la possibilità di organizzare certi eventi anche al chiuso? Solo una questione di opportunità o lo ritieni un problema imputabile anche ad altre ragioni?
Innanzitutto in Italia, in tutta Italia, c’è una certa carenza di strutture al chiuso sulle quali lavorare con continuità. Poi, se prendiamo lo specifico romano, c’è da scoraggiarsi: da noi, per dirne una, mancano locali dalla capienza intermedia, quelli da 2000-3000 posti. Tolto il Pala Atlantico (con tutti i recenti problemi che ha avuto, tra l’altro) o la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium, non ci sono proprio spazi. E, se ci pensi bene, anche per i grandi concerti non si può stare troppo tranquilli: il Pala Lottomatica, che è lo spazio al chiuso più grande, al netto dei problemi di audio, non consente comunque di ospitare certi show. Esempio: un tour invernale di una band come i Depeche Mode non potrebbe facilmente farci tappa, a meno che non si preveda una doppia data, che non sempre possibile tirare su. Non è facile trovare una soluzione, anche perché mentre l’estate si riesce a legare l’attività musicale ad altre cose (pensiamo alla ristorazione o ad altre arti performative), in inverno dalle nostre parti, parlo di tutta Italia, nessuno si prende il rischio di osare, con qualche minima eccezione, forse, per la musica elettronica. Sarebbe davvero una grande scommessa!
Lo so che non ci risponderai, ma il tentativo è d’obbligo: che cosa e chi dobbiamo aspettarci per la programmazione autunno-inverno-primavera 2023-24 di “Unplugged in Monti”? E confessacelo: qual è l’artista (quantomeno il tuo) che più di tutti ti piacerebbe inserire nel vostro cartellone un giorno?
Beh, una prima data già è stata annunciata: Nina Persson e James Yorkston alle Industrie Fluviali il 7 settembre. Sarà un gran bell’appuntamento! Altre cose sono in via di definizione e, no, più di tanto non posso sbottonarmi. Però ti posso anticipare che presto forse ospiteremo una giovane artista emergente che sta riscuotendo grande apprezzamento. Saprete, saprete… Il concerto che vorrei inserire di più nel nostro cartellone? Sognando, ti direi Damon Albarn, un artista che mi ha sempre accompagnato e che ho sempre stimato moltissimo.