Due anni fa l’indulgenza plenaria di Papa Francesco: i precedenti storici
L’indulgenza plenaria concessa da papa Francesco il 27 marzo di due anni fa passerà alla storia per l’assenza fisica dei penitenti a causa del covid. Il pontefice la elargì a tutti coloro che si fossero uniti “spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa o della Divina Liturgia, alla recita del Santo Rosario o dell’Inno Akàthistos alla Madre di Dio, alla pia pratica della Via Crucis o dell’Ufficio della Paràklisis alla Madre di Dio oppure ad altre preghiere delle rispettive tradizioni orientali, ad altre forme di devozione, o se almeno reciteranno il Credo, il Padre Nostro e una pia invocazione alla Beata Vergine Maria, offrendo questa prova in spirito di fede in Dio e di carità verso i fratelli, con la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile”.
Nonostante la pandemia mondiale che da neanche un mese costringeva l’Italia e gran parte del mondo ad un serrato lockdown, milioni di persone si strinsero ancora di più intorno alla fede. Il virus, la cui potenza di fuoco era ancora semi sconosciuta, costrinse papa Bergoglio da solo in Piazza San Pietro mentre le TV di tutto il mondo trasmisero in diretta la speciale benedizione urbi et orbi. Il tutto in un’atmosfera cupa con una pioggia battente a rappresentare perfettamente il momento storico.
La storia delle indulgenze
L’indulgenza plenaria, come specifica Avvenire è “l’assoluzione sacramentale”– che- “cancella i peccati, mentre l’indulgenza cancella la pena temporale, che non significa terrena, ma con una durata di tempo non senza fine: terrena, oppure da scontare in Purgatorio”.
Nella storia, in particolare quella europea, le indulgenze da parte della Chiesa hanno sempre avuto un ruolo di prim’ordine nella vita dei fedeli. Nel VII sec. la redenzione consisteva nella commutazione delle pene canoniche imposte dalla disciplina penitenziale della Chiesa ai peccatori con opere suppletorie, meno gravose, e in particolare con riscatti in danaro.
A partire dall’VIII sec. la si poteva ottenere tramite le suppliche dei martiri che in punto di morte, tramite gli scritti “Supplices belli Martyrum”, concedevano lo sconto della pena canonica a determinate persone.
In questi due secoli la tipica penitenza pubblica scomparve facendo posto ad un’espiazione privata e nascosta, decisa dal confessore. Questa doveva essere eseguita dopo e non prima aver ricevuto l’assoluzione dei peccati commessi. Nel corso dei sec. XI e XII. la Spagna e la Francia furono i primi Stati europei nei quali si affermò l’uso della concessione della longanimità in occasione dell’erezione di chiese, monasteri e ospedali. Era questo il periodo delle Crociate e dei primi scontri con il mondo del vicino Oriente. Nel 1063 il papa Alessandro II stabilì un’indulgenza plenaria per chi avesse combattuto i Saraceni in Spagna.
Papa Urbano II invece la concesse ai partecipanti alla I Crociata (1095). In seguito fu ottenuta anche dai partecipanti alle guerre contro popolazioni pagane, contro gli eretici o contro avversari politici dello Stato della Chiesa. Anche chi, pur non potendo partecipare fisicamente alle crociate, equipaggiasse sostituti o finanziasse le spedizioni poteva essere destinatario della cancellazione dei peccati.
La sempre più crescente importanza del ruolo del denaro fece degenerare la prassi indulgenziale, provocata anche dalla formula absolutio ab omni et a culpa che dal XIII sec. usava definire l’indulgenza. Ma fu con il primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII nel 1300 che la pratica riscosse moltissimi consensi da parte di tutti i fedeli cristiani. Veniva difatti offerta a chi andava in pellegrinaggio a Roma. L’indulgenza plenaria veniva concessa a quanti, pentiti o confessati, avevano visitato le Basiliche di San Pietro e San Paolo per 30 giorni se romani o di 15 giorni per chi veniva da fuori Roma.
Solo pochi anni prima, Papa Celestino V, il pontefice predecessore famoso per aver rinunciato al soglio di San Pietro aveva istituito qualcosa di molto simile: la Perdonanza. Il 29 settembre 1294 con la Bolla del Perdono egli stabilì che recandosi nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell’Aquila, tra il 28 ed il 29 agosto, veniva concessa l’indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti. La Perdonanza, che si ripete tuttora, è stata di recente iscritta nella lista Unesco come Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità. Di fatto questo evento è considerato come precursore del Giubileo e come primo nella storia.
Il Giubileo
Il Giubileo è l’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della penitenza sacramentale. Per remissione si intende la rinuncia a quanto è dovuto (nel caso specifico: la pena per avere peccato). L’indulgenza è dunque la remissione della pena temporale per i peccati già “perdonati” attraverso la confessione.
Il Giubileo del 1300 per la sua importanza viene ricordato da Dante, che nella Divina Commedia narra l’enorme flusso di pellegrini che giungevano nell’Urbe:
“Come i Roman per l’essercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,
che da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ‘l monte” (Inferno XVIII, 28-33)
In realtà,
Successivamente papa Clemente VI nel 1343 fissò il Giubileo ogni 50 anni. Urbano VI nel 1378 ogni 33 anni, per commemorare gli anni di Gesù Cristo. Paolo III nel 1475 ogni 25 anni. Gregorio XIII nel 1575 estese per la prima volta alla Chiesa universale il perdono, solo per 6 mesi, in favore di chi non aveva potuto recarsi a Roma. Nel 1925 Pio XI ampliò questo beneficio a un anno intero.
A cavallo tra Medioevo ed età Moderna, tra XIV al XVI sec., l’uso di concedere l’indulgenza si diffonde. Si introdusse la possibilità di ottenerle con offerte in denaro, definite oblationes, che servivano a sovvenzionare opere di apostolato.
Il popolo cominciò a pensare che l’indulgenza non liberasse solo dalla pena temporale, ma anche dalla colpa. Come se bastasse pagare per ottenere la remissione dei peccati. Questa errata convinzione contribuì a moltiplicare gli abusi. Si arrivò a ridurre la distribuzione delle indulgenze a un’operazione finanziaria. Questi abusi diedero a Martin Lutero un pretesto per la sua ribellione contro la Santa Sede. Tra le sue 95 tesi affisse a Wittenberg compariva questa “Sbagliano pertanto quei predicatori d’indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l’uomo è sciolto e salvato da ogni pena”.
Con il Concilio di Trento (1545 – 1563) si cercò di correggere gli abusi stabilendo che il tesoro delle indulgenze sia offerto ai fedeli piamente, santamente e integralmente, “affinché tutti possano veramente comprendere che teli tesori celesti della Chiesa vengono dispensati non per trarne guadagno ma per devozione”.
L’ultimo macro periodo in cui si è soliti dividere la storia delle indulgenze è quello che va dal XVI sec. ai nostri giorni. In questi secoli i Papi hanno regolato la concessione delle indulgenze, stabilendone il numero e l’autenticità. L’ultima riforma è di Paolo VI che abolì, per quelle parziali, la determinazione temporale.
La Chiesa dunque ritorna verso l’aspetto del pentimento e della conversione del fedele. Il Vaticano precisa che non esiste processo che permetta di ottenere l’indulgenza senza una vera conversione. Occorre anche un sincero distacco dal peccato e un vero pentimento dei peccati commessi e confessati. “Il perdono concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un rinnovamento della propria esistenza” ( Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, 1998). L’indulgenza plenaria “esige il totale ripudio di ogni affetto al peccato, anche semplicemente veniale: è quindi incitamento ad impegnarsi nel modo migliore per fuggire il peccato. Essa esige inoltre l’uso fruttuoso della Penitenza e della Santissima Eucarestia” ( Luigi De Magistris, ” Il dono dell’indulgenza”, in “L’Osservatore Romano”, 24 febbraio 1999).
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