Ulisse e il cavallo di Troia: un equivoco durato millenni
E se il “cavallo di Troia” di Ulisse non fosse stato in realtà un cavallo? L’astuto mezzo ideato per far entrare gli Achei nella città di Ilio forse è figlio di un’errata traduzione. Il che, comunque, non cambia molto la narrazione e la storia.
ULISSE NELLA GUERRA DI TROIA
Il 24 aprile del 1184 a.C. i greci, impegnati da 10 anni nella guerra contro i troiani, si affidano al re di Itaca, Ulisse, per risolvere la disputa a proprio favore. La strenue difesa dei soldati arroccati nella fortezza aveva bisogno, più che della forza, della ragione. Dell’ingegno. Dell’astuzia. Il re era un ottimo atleta, primeggiava nella lotta, nella corsa e nel tiro con l’arco. Ma la sua peculiarità era l’essere in grado di dominare quella sfera che i greci chiamavano metis, l’intelligenza. Quella pragmatica in grado di adattarsi ad ogni situazione della vita, facendo scegliere il momento giusto per l’azione.
Odisseo, nome greco di Ulisse, non fu mai iracondo e precipitoso né si fece trasportare dalle emozioni. Era un ottimo oratore, in grado di sedurre donne e ipnotizzare gli uomini che lo ascoltano. In grado dunque di essere astuto, di essere polytropos (l’uomo dalle molte forme), di fingere e mentire. E un uomo così non poteva che essere protetto dalla dea Atena. Colei che ama tutte le sue qualità: il coraggio, la calma, l’intelligenza. Veglia su di lui, dice Omero, “come una madre protegge il suo bambino”.
Ulisse, dunque, partì con il suo esercito verso Troia per combattere quella guerra passata alla storia grazie al poema omerico l’Iliade. La vicenda narrata ha come protagonista greco l’eroe Achille, ma il re di Itaca ha comunque un ruolo di primaria importanza. Ha una posizione di prestigio all’interno dell’assemblea dei comandanti dell’esercito greco. Dimostrerà in più di un’occasione il suo coraggio. Come quando nell’XI libro combatte circondato da Troiani. Oppure quando, durante una spedizione notturna, uccide la spia Dolone.
LO STRATAGEMMA DEL CAVALLO DI LEGNO
Nonostante i numerosi atti di coraggio, ciò per cui tutti lo ricordano è l’inganno del famoso Cavallo di Troia. La storia trattata da Virgilio nell’Eneide, tramite Enea che la narra alla regina Didone, racconta di quel 24 aprile del 1184 a.C. in cui, secondo la tradizione, gli antichi greci entrarono a Troia (oggi Truva, in Turchia) servendosi dello stratagemma di un finto cavallo.
Ulisse, ispirato da Atena, suggerì ai Greci di fingere la resa. Fu lasciato sulla spiaggia un imponente cavallo di legno in segno propiziatorio e in offerta agli dei, per poi ripartire. Ma al suo interno vi rimasero nascosti proprio il re di Itaca e molti altri soldati. Il giovane Sinone, fingendo di aver disertato, spiegò al re troiano Priamo che quella costruzione fu lasciata dai greci in offerta ad Atena offesa dallo stesso Odisseo per la profanazione del suo tempio.Tale dono avrebbe dovuto proteggere il ritorno a casa dei Greci, ed era stato costruito in dimensioni tali che i troiani non avrebbero potuto portarlo dentro la città.
Nonostante gli avvertimenti del sacerdote Laooconte, subito divorato da serpenti marini, i troiani praticano una breccia nelle loro mura per far entrare il “cavallo” all’interno della città. Nella notte i greci uscirono dall’interno della costruzione e conquistarono Troia.
L’INTERPRETAZIONE DELLA PAROLA HYPPOS
Se l’inganno ideato da Ulisse comportò la sconfitta di Troia, bisogna però sottolineare la mala interpretazione dei testi omerici. Questa vicenda, oltre che nell’Eneide, era già presente nell’Odissea, raccontata durante il banchetto alla corte di Alcinoo.
Si pensa dunque che i poeti successivi a Omero sbagliarono nella traduzione e nell’interpretazione della parola greca “Hyppos”. L’autore greco era ben avvezzo all’argomento marinaresco tanto da immergersi nella disquisizione ricca di particolari sulla tecnologia costruttiva delle navi antiche. Elencò, infatti, tutti i particolari delle imbarcazioni dei greci descrivendo, per esempio, l’episodio della costruzione di una zattera da parte di Ulisse.
Qui spiegò con grande precisione i legni, gli utensili e le tecniche di assemblaggio utilizzati. I post-omerici che tramandarono le sue opere, ne travisarono perciò alcuni passaggi. Per Omero, parlare di un “Hippos” equivaleva a indicare la nave fenicia di questa tipologia. Per gli altri quel termine equivalse a “cavallo”. Da qui il fraintendimento che troviamo anche in Virgilio.
Il nome Hippos (cavallo) derivava però dalla polena a testa di cavallo tipica dell’imbarcazione. Questa tesi è sostenuta dall’archeologo navale Francesco Liboni.
Virgilio narrando la costruzione del cavallo fece riferimento alle antiche tecniche della cantieristica navale. Descrisse come fosse stato costruito partendo dal guscio esterno e di come le “murate” (termine del gergo marinaresco indicante i fianchi delle navi) fossero di abete. La costolatura interna di rovere. Ciò rispecchiava esattamente il modus operandi utilizzato nella costruzione delle navi antiche, in particolare quelle fenicie.
La nave del tipo “Hippos”, inoltre, era solitamente usata per trasportare beni preziosi, pagare tributi. Questo di fatto fu ciò che attirò maggiormente i Troiani, dando un carattere più credibile di voto religioso in onore della dea. Quanto al trasporto del cavallo all’interno delle mura di Troia, nell’Odissea Omero parla di “alaggio”. Ciò era il sistema di rotolamento su rulli che nell’antichità veniva usato per riportare le navi mercantili fuori dal mare al termine della stagione di navigazione.
Per questo l’interpretazione moderna dello stratagemma di Ulisse fa pensare che non fu un cavallo a contenere i soldati greci. Ma una nave. Il succo comunque non cambia. E la formula “cavallo di Troia” è comunque tutt’oggi usata per indicare un’astuzia, un inganno, un qualcosa che permette di “sfondare” le difese altrui.
ULISSE TRA CINEMA E LETTERATURA
Nonostante questa traduzione sbagliata, dunque, la vicenda è passata alla storia, tanto da essere al centro di numerose pellicole cinematografiche. Nel 1954 una produzione italiana diede alla luce “Ulisse” diretto da Mario Camerini con Kirk Douglas nei panni di Odisseo e Silvana Mangano in quelli di Penelope. E ancora “The Troian Horse” nel 1961, “The Fury of Achilles” l’anno seguente, per arrivare al 2004 con il colossal “Troy” interpretato da Sean Bean. Molte sono state anche le serie televisive. Tra le quali vale la pena ricordare “Ulysses 31” del 1981 che ambienta il mito nel futuro.
A livello letterario non si contano neanche più le scritture sul personaggio cantato da Omero. La figura di Ulisse ha avuto una fortuna alterna. Dante nel XXVI canto dell’Inferno ne riprese la storia attingendo da tre tradizioni diverse. L’età medievale diede una lettura dei miti legati alla guerra di Troia partendo dall’Eneide. Quindi tendenzialmente pro troiani. In questo caso Odisseo era visto come un ingannatore astuto. Caratteristiche peccaminose. La linea invece seguita da Cicerone, Orazio, Seneca era quella di un uomo alla continua ricerca del sapere, che dai suoi viaggi mai portò ricchezze ma solo conoscenza. Dante, inoltre, nella figura dell’eroe di Itaca legato all’albero per rifiutare la tentazione delle Sirene, sembra vedere la figura di Cristo tanto da accennarvi nel XIX canto del Purgatorio.
Se il ghibellin fuggiasco relegò Ulisse all’Inferno, il Rinascimento ne esaltò il ricordo prendendolo come esempio da seguire nei viaggi alla scoperta del Nuovo Mondo. Fu Torquato Tasso, nella Gerusalemme Liberata, a trasformare il dantesco “folle volo” in “volo audace”. Joachim du Bellay vi dedicò un sonetto (Heeureux qui comme Ulysse). William Shakespeare nel suo teatro utilizzò Ulisse in qualità di uomo della parola e dell’astuzia in “Troilus and Cressida”. E ancora Foscolo, Goethe, Coleridge, D’Annunzio, Saba e soprattutto Joyce.
Tra le più grandi penne, colui che ha vinto una guerra prima con il cervello che con la forza bruta, ha fatto breccia. Ma questa volta senza l’inganno.