Mezzo secolo di Trinità, scazzottate e fagioli: Bud e Terence non passano mai di moda
Ah, se Emiliano potesse parlare. Se quel gringo tutto lercio, sudato e rozzo potesse parlare per dirci… ma, un momento: Emiliano dice tutto! Con la canna di una colt puntata dritta dritta dentro la narice del proprio naso, Emiliano parla. Eccome se parla!
“Trinità, la mano destra del Diavolo”
Ed Emiliano, fra le altre cose, ci dice che “Lo chiamavano Trinità“, vero film cult del cinema tricolore, compie 53 anni dalla sua uscita sul grande schermo. Un must per tutti gli amanti degli spaghetti western, del cinema italiano degli anni Settanta e di quella coppia di attori, amici, padri, fratelli, compari, chiamateli come volete, composta da Bud Spencer e Terence Hill. Una pellicola che, non ci stancheremo mai di ripetere, è un capolavoro. Che ha cresciuto intere generazioni, che ancora viene vista con entusiasmo, interesse, curiosità e spensieratezza. Quei cazzottoni non sono mai stati così innocui e quei fagioli mai così buoni. Perfino il giaciglio su cui Trinità si stendeva per farsi trasportare dal proprio cavallo ci sembrava comodo. E lo avremmo voluto provare, eh. Certo che si. Ma non il bagno nell’acqua lurida. Quello, perdonateci, è troppo.
“Ma non hai uno scopo nella vita? Fai qualcosa, ruba del bestiame, assalta una diligenza, rimettiti a giocare, una volta eri un ottimo baro. Ma fa qualcosa”, Bambino rivolto a Trinità
Per non parlare di vino e whiskey bevuti come fossero acqua, o delle battute al fulmicotone che ancora riecheggiano in giro per il web. Carlo Pedersoli (Bud, quello irruento tutta grinta e fisicità) e Mario Girotti (Terence, quello scaltro, astuto e furbo) ci hanno cresciuti. Per quanto la loro carriera non si stata necessariamente parallela, non riusciamo a vederli separati. Che fossero dei supercops di Miami, o degli amici in viaggio verso un isola caraibica in cerca di un tesoro, l’ombra di Bambino e Trinità li ha accompagnati lungo questi cinquant’anni e li accompagnerà anche in futuro. Sono loro. Impossibile non identificarli con quei personaggi. I “fagioli western” non passeranno mai di moda. Mix tra parodia dei western d’oltreoceano, commedia italiana dai toni soft e pellicola diretta verso un pubblico generalista, uscì al cinema il 22 dicembre del 1970. Da allora è un punto fermo in tutti i palinsesti televisivi.
Trinità: “Senti, Bambino, non prendertela per…”
Bambino: “Non chiamarmi Bambino!”
Trinità: “Ah no, e come dovrei chiamarti?”
Bambino: “Non chiamarmi proprio, neanche se stai per affogare!”
Il film, scritto e diretto da E.B. Clutcher (alias Enzo Barboni), avrebbe potuto essere diverso se al posto di Bud Spencer e Terence Hill, ci fossero stati George Eastman e Peter Martell, come originariamente previsto. Ma la coppia che ha poi prestato i volti ai due protagonisti contattò direttamente il regista per proporsi e, dopo le inevitabili trattative, ebbe la parte. Il resto della storia lo conosciamo.
Regna un po’ di confusione, tra gli esperti del settore, sulle esatte location scelte per le riprese di Trinità. A fare chiarezza è Marco Tullio Barboni il figlio del regista che lavorava lì come assistente. “Trinità è stato girato tutto nei dintorni di Roma, controllando che la distanza dalla Capitale non fosse eccessiva per non far crescere i costi di troupe e cast”, spiega. “La famosa sequenza delle due ragazze bionde e Terence Hill in mezzo alle cascate è girata nel parco di Monte Gelato, vicino a Roma. Quando si parla di Campo Imperatore, in Abruzzo, bisogna riferirsi al secondo film. Il resto del primo Trinità, tipo la sequenza in cui Terence Hill mangia quell’enorme pentola di fagioli, è stato girato nella zona della Magliana, sull’autostrada che porta all’aeroporto, in una cava di tufo su cui era stata messa una vacca perché in quel modo le comparse sul set guardavano verso l’animale e non si distraevano verso le piste di volo vicine. Le scene ambientate nel campo dei mormoni sono state realizzate a Camerata Nuova, tra il Lazio e l’Abruzzo”.
Circostanze verificate dalle numerose ricerche sul campo del critico cinematografico Piercesare Stagni. Appena uscito “Lo chiamavano Trinità” si piazzò al secondo posto del botteghino italiano, subito dietro al film “Per grazia ricevuta”, con Nino Manfredi, segnando nel 1988, diciotto anni dopo la sua uscita, un record di 12 milioni di spettatori incollati allo schermo. E tutt’ora, a distanza di mezzo secolo, sono milioni gli italiani che non si lasciano sfuggire l’occasione di vedere ancora e ancora le gesta di Bambino e Trinità.
Per girare la famosa scena del piatto di fagioli divorato da Trinità, Terence Hill rimase a digiuno per ben due giorni. La fame fu talmente tanta e la voracità tale che la scena non venne ripetuta. Fu sufficiente la prima. Tra le tante curiosità che si potrebbero annoverare in capo alla pellicola, vale la pena ricordare la citazione di Quentin Tarantino nel suo remake di Django, famoso film italiano con Franco Nero. Jamie Fox, dopo essere scappato da Candyland, non senza aver compiuto la classica strage di tarantiniana memoria, va per uscire di scena e parte “Trinity“, canzone tratta dalla colonna sonora del film a firma di Franco Micalizzi. La canzone riporta l’inconfondibile fischio di Alessandro Alessandroni.