Alle origini di Villa Gregoriana di Tivoli, il parco che ispirò Orazio e Goethe
Tivoli, città di circa 60mila abitanti a est di Roma, vanta ben due Patrimoni Unesco. Insieme a Cordoba (Spagna), Pechino (Cina) e Mosca (Russia) è tra le città con più siti patrimonio dell’umanità al mondo. Alla nomina del 1998 di Villa Adriana, seguì quella di Villa d’Este del 2001.
Nel 2015 un terzo sito fu oggetto di discussione riguardo la possibilità di unirsi agli due beni della città. Si tratta di Villa Gregoriana, il parco voluto da papa Gregorio XVI nel 1834. Una bellezza immersa nel verde, nei cui sentieri si compie un viaggio a ritroso nel tempo. Questo angolo di paradiso, a ridosso della valle dell’inferno, è tipico dello stile romantico ottocentesco. Il parco, costruito al di sotto delle case del centro abitato, sembra essere stato costruito per richiamare l’originario luogo prima dell’avvento dell’uomo. Una ricerca della bellezza dove si affiancano elementi naturali e artificiali.
LE ORIGINI MITICHE DI TIVOLI
Fu costruita sui resti di una villa romana del II secolo d.C., quando i consoli di Roma erano Quinto Ninio Asta e Publio Manlio Vopisco. Il padre di quest’ultimo fece edificare un’abitazione di cui Stazio ne parla nelle Sylvae (I,3). La costruzione era attraversata da un canale proveniente dal fiume Aniene e la scelta del luogo non fu casuale. Era all’interno del bosco sacro di Tiburno, in cui c’era la grotta della Sibilla e dove si ergevano i templi dell’Acropoli.
Tivoli, dunque, anche nell’attuale Villa Gregoriana ha un legame con la storia antica e la mitologia. Una leggenda vuole infatti che Anfiarao re di Argo nonché eroe della spedizione guidata da Giasone, partecipò alla Guerra dei sette contro Tebe, pur sapendo che vi avrebbe perso la vita. Fu Zeus a farlo piombare in un buco nelle profondità abissali. Il figlio Catillo, dopo la sua morte, venne in Italia con i tre figli Tiburno, Cora e Catillo iunior. Arrivati nel territorio abitato dai Siculi, con l’arte militare appresa dal padre gli Argivi riuscirono a sopraffare questa popolazione. La storiografia fa quindi risalire la fondazione di Tibur (dal nome di Tiburno) al 5 aprile del 1215 a.C.. Ben quattro secoli prima di Roma.
Solo Enea, in seguito, riuscì a piegare i tiburtini. Il troiano, come racconta Virgilio nell’Eneide, trovò ospitalità presso Latino re dei Latini. Costui seppe in anticipo dell’arrivo dell’eroe tramite la predizione del padre Fauno, il dio della campagna. Il re per parlare con lui dovette andare nei boschi di Tivoli. Il poeta mantovano indica con precisione il luogo: nell’alta ALbunea, vicino allo scrosciare dell’acqua, lì dove sempre si sentono esalazioni mefitiche. Villa Gregoriana.
Dell’antica villa romana oggi rimangono solo 13 ambienti, alcune lapidi che ricordano imperatori, re e regine. Ma anche reperti come colonne e porzioni di statue, il cui numero si è ridotto drasticamente a causa delle ruberie perpetrate negli anni in cui il parco fu lasciato abbandonato.
LA COSTRUZIONE DI VILLA GREGORIANA PER SALVARE TIVOLI
Già anticamente il territorio scelto dalla famiglia del console romano era attraversato da molte cascatelle che scendevano lungo la parete rocciosa. Per ovviare alle piene dell’Aniene che mettevano costantemente a rischio l’antica Tibur, furono realizzati dei cunicoli di deflusso. Da qui l’acqua, oltre a gettarsi nella Valle dell’Inferno, serviva per alimentare le macine dei mulini situati vicino il templi di Vesta e della Sibilla.
Proprio a causa dell’impetuosità del fiume Aniene e delle sue piene (in particolare quelle del 1826, 1827 e 1831) il governo pontificio decise di deviare il corso d’acqua creando una grandiosa cascata artificiale utilizzando il vecchio letto del fiume.
Fu l’architetto Clemente Foschi che propose di scavare due gallerie sotto il Monte Catillo. La gestione e il controllo dell’opera furono affidati al cardinale Agostino Rivarola, a cui oggi è dedicata una piazza limitrofa a Villa Gregoriana, proprio nel centro di Tivoli.
Durante i lavori arrivò addirittura il papa Gregorio XVI a cui Gioacchino Belli dedicò alcuni versi paragonando le sue narici ai due cunicoli in costruzione. Le operazione di scavo portarono alla luce un sepolcreto dell’età imperiale, parte dell’antico Ponte Valerio e i ruderi dell’acquedotto che convogliava le acque dell’Aniene nella Villa di Manlio Vopisco.
Il 7 ottobre del 1835 ci fu l’inaugurazione. La cascata, che prese il nome dal papa, compì un salto di oltre 100 metri. Gente da ogni dove accorse ad ammirare lo spettacolo. Tra i presenti ci furono anche il re del Portogallo e la regina del regno delle Due SIcilie.
VILLA GREGORIANA OGGI
Il parco di Villa Gregoriana oggi si presenta come un fitto bosco che si espande tra antiche costruzioni, in mezzo a rocce e dirupi. É attraversato da vialetti scoscesi, gradini rocciosi e corrosi.
Tra i luoghi più famosi e suggestivi c’è sicuramente l’affaccio sulla cascata. Il belvedere situato al principio del tuffo dell’acqua da dove è possibile osservare all’interno dei cunicoli del traforo. Da qui, scendendo lungo i sentieri rupestri ci si immerge ancora di più sotto l’Acropoli di Tivoli. Sormontati dal tempio di Vesta e dalla Sibilla si giunge alle due grotte naturali. Nate grazie al lavoro corrosivo del fiume Aniene, la Grotta di Nettuno e la Grotta delle Sirene regalano paesaggi unici.
La Grotta di Nettuno è raggiungibile attraverso un tunnel nella roccia, il cosiddetto percorso Miollis. Fatto scavare nel 1809 dal generale francese governatore di Roma tramite delle “finestre” si può osservare da una posizione incantevole il parco.
Fu invece il pittore Ducros a dare il nome “Grotta delle Sirene”, frutto dei tanti momenti passati ad osservare questa voragine in cui sono presenti scogli bagnati dalle acque della grotta precedente e dalla “Cascata del Bernini” (che si forma dal canale Stipa). Quel luogo, che richiamava scenari leggendari, gli fece pensare all’habitat di di queste figure mitologiche.
La due grotte furono descritte da Antonio Nibby nel 1819 nel “Viaggio Antiquario ne’ contorni di Roma” in cui usò queste parole: “Dentro questo antro si vedono insieme con orrore, e con piacere precipitare con impeto le acque dell’Aniene divenute bianche come la spuma, le quali formano mille giuochi, e si disciolgono in spruzzi così minuti, che sembrano nebbia. […] risalendo un poco, e deviando a destra, si scende per una strada meno commoda, e meno sicura, ma egualmente amena, ad un ‘altra grotta più profonda ancora, cui i moderni, per il piacere, che si prova nell’andarvi, e per il pericolo, dal quale questo è accompagnato, diedero il nome di grotta delle Sirene. Ivi le acque riunite dell’Aniene […] vanno a perdersi in una voragine per quindi ricomparire nella deliziosa valle sottoposta a Tivoli”.
TIVOLI E IL GRAND TOUR
La fama di Villa Gregoriana, come tutta la città di Tivoli, è attestata da numerose citazioni letterarie e raggiunse l’apice tra ‘700 e ‘800, quando divenne meta dei viaggiatori del “Grand Tour”. Claude Lorrain, Poussin, il poeta Thomas Gray, Ducros, Chateaubriand, Madame de Stael trassero tutti ispirazione da Villa Gregoriana, da Villa d’Este e Villa Adriana. Ma soprattutto Wolfgang Goethe che magistralmente descrisse il suo soggiorno a Tivoli.
“In questi giorni sono stato a Tivoli ed ho veduto uno dei primi spettacoli della natura. Le cascate, con le rovine ed il complesso del paesaggio appartengono a quegli oggetti la conoscenza dei quali ci rende più ricchi nel profondo del nostro io”.
Tibur, come era chiamata anticamente, rimane oggi una perla italiana. Dai giochi delle mille fontane del gioiello rinascimentale della villa voluta da Ippolito d’Este, passando per i resti della dimora dell’imperatore Adriano. Così come la tomba della Vestale Cossinia, la Casa Gotica, le numerose chiese. Ma il parco di Villa Gregoriana, riaperto solo nel 2005 ed oggi di competenza del FAI che dal 2002 si è occupato del recupero, permette di percorrere gli antichi sentieri, annusare gli odori delle settantaquattro specie arboree presenti e scoprire interessanti reperti di diversi generi ed epoche, immersi nella natura più rigogliosa.
Una visita è d’obbligo. D’altro Orazio nelle sue “Odi” parlava di Tivoli come se fosse il luogo ideale dove trascorrere la vita.
“Io no, non mi commuovono l’austerità di Sparta, le campagne lussureggianti di Larissa, ma gli echi che a Tivoli animano il tempio di Albunea, il bosco di Tiburno, la cascata dell’Aniene e i frutteti irrorati dal fluire dell’acqua”.
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