L’intervista. Storie di outsiders, amori malati e frustrazioni: i Peawees tornano con l’album “One Ride”
Sei anni dopo l’acclamato album “Moving Target” la rock’n’roll band spezzina The Peawees torna finalmente con il suo settimo album in studio, “One Ride” È stata una lunga attesa, segnata da cambi di formazione, divorzi, perdite di persone care, problemi di lavoro – “One Ride” dimostra chiaramente che qualunque difficoltà incontrata dai Peawees li ha resi più forti.
Questo album trasuda tutto lo stile rock ‘n’ roll di un’epoca passata, con la band che dimostra la rara abilità di saper miscelare/dosare le proprie influenze in un sound che rimane unico. Il mix di rock ‘n’ roll, soul, punk e garage si mescola nel disco come se fosse uscito da un frullatore: una parte The Sonics, una parte Link Wray, due parti The Clash, un pizzico di Stax, shakerato con Phil Spector.
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“One Ride” esce a distanza di sei anni dalla vostra ultima fatica in studio. Cosa è successo in quest’arco di tempo e dove avete trovato l’ispirazione per tornare a comporre?
Dopo l’uscita di Moving Target abbiamo fatto un anno e mezzo di tour piuttosto intenso tra Spagna Svezia, Norvegia, Inghilterra e Italia. Le cose stavano andando bene, con l’intenzione di uscire con un disco nuovo nel 2022. Nel 2019 avevamo già registrato un paio di brani inclusi in One Ride, ma poi è scoppiata la pandemia che ci ha rubato più di un anno. Inoltre, tutti i membri della band hanno affrontato varie vicissitudini personali, finché anche Carlo Landini, nostro chitarrista storico, ci ha comunicato che si sarebbe trasferito a Berlino. Quando Dario Persi ha preso il suo posto, abbiamo pensato fosse importante suonare dal vivo il più possibile per amalgamare la nuova formazione, sia musicalmente che a livello personale. Quando ci siamo resi conto che tutto stava andando per il meglio, siamo finalmente entrati in studio a registrare.
Quanto c’è di vita vissuta in ciò che scrivete in studio? Come avviene il vostro processo di songwriting?
La verità è che, anche quando non vuoi, un po’ di vita personale finisce sempre nei testi: è inevitabile. Generalmente succede che scrivo una canzone e la faccio sentire agli altri in sala prove. A volte è soltanto una strofa e voglio capire se funziona prima di andare avanti, mentre in altri casi la canzone è pronta e va solo messa in piedi con il resto della band. Ho l’abitudine di registrarmi con chitarra e voce sul telefono ogni volta che mi gira in testa qualcosa; poi, tendenzialmente, riascolto le registrazioni nei giorni successivi e, se mi convincono ancora, vado avanti, altrimenti cancello e via! La mia regola personale è: se il pezzo che hai appena scritto continua a risuonarti in testa inconsapevolmente anche dopo tre o quattro giorni, vuol dire che funziona.
Chi sono gli outsiders che cantante dei vostri brani?
Sono persone che vivono al di fuori degli standard sociali; un po’ tutti noi abbiamo avuto modo di conoscerne nella vita. Alcuni fanno simpatia e spesso hanno alle spalle storie bizzarre e talvolta comiche. Durante la pandemia mi hanno raccontato la storia di un pregiudicato che era scappato alle Isole Canarie per ricominciare una nuova vita. Hanno provato a farlo tornare con degli avvisi, ma lui li ha ignorati finché non sono andati a prenderlo. Ho scritto il testo di “Banana Tree” immaginando questo personaggio e associandolo a persone che conosco realmente, e tutto ciò mi ha dato una visione tragicomica.
Siete prossimi ai trent’anni di carriera, come possiamo giudicare questo lavoro? Chi sono i Peawees di oggi rispetto agli esordi? Come è maturato il vostro sound?
Onestamente, credo sia cambiato poco nell’approccio e nell’attitudine con cui vengono fatte le cose. Forse l’unica differenza è che a 20 anni senti la necessità di far parte di qualcosa; hai bisogno di riconoscerti e di essere riconosciuto in una determinata cerchia per affermare la tua determinazione e la tua identità. In poche parole, nel 1995 volevamo essere un gruppo punk; oggi vogliamo essere i Peawees, il che è molto più punk del voler essere punk! (ride) Il sound è cambiato da disco a disco, ma siamo sempre i Peawees. Penso che la cosa più importante in qualunque forma d’arte sia non guardarsi troppo indietro. Adoro percepire le ossessioni di un artista, che sia un musicista, un pittore o uno scrittore, ma man mano che il lavoro procede è bello vedere queste ossessioni da varie angolazioni. Credo che i dischi dei Peawees siano questo: la stessa ossessione vista da varie angolazioni.
Come si è evoluta, secondo voi, la scena tricolore in queste tre decadi? Secondo te quale è lo stato di salute attuale, tra locali che chiudono, festival che non vanno avanti, dischi che non si vendono e streaming che spadroneggia?
In Italia abbiamo tantissimi amici nell’ambiente musicale, ma ho sempre fatto fatica a riconoscermi in una scena tricolore. La scena legata a quello che facciamo noi è pressoché nulla; la definirei una piccolissima nicchia di appassionati. Ci sono sicuramente festival e piccole etichette di riferimento molto validi, ma il Garage Punk o il Rock ‘n’ Roll di un certo tipo non ha mai realmente attecchito in Italia. Per quanto riguarda la situazione live, gestendo un club da oltre 20 anni, posso dire che la situazione non è facile. Anche qui, però, dipende molto dal tuo gusto personale e dalla proposta che fai. Il 90% dei club sta in piedi grazie ai DJ set, ed è grazie a quelli se alcuni possono permettersi di fare una direzione artistica live mirata. Ma questo non vuol dire che poi i live funzionino. Dipende da quanti altri club ci sono vicino a te, dal bacino d’utenza della tua zona, da come lavori, ecc. Devo ammettere che, dopo la fine della pandemia, a La Spezia c’è stata una sorprendente riscoperta dei concerti, ma quello che manca veramente è un ricambio generazionale.
L’impatto che la pandemia ha avuto sulla vostra band è stato enorme. Come ci si è rialzati dopo questa parentesi?
Guardando avanti e facendo quello che ci fa star bene. Penso che la band e la musica in generale siano una specie di cura per tutti noi.
Quali sono i vostri progetti per l’immediato futuro?
Questo weekend abbiamo avuto doppia data nella nostra città dopodiché, nei successivi saremo a Torino, Milano e Verona. A novembre avremo un tour spagnolo di 8 date per poi a tornare a chiudere l’anno in Italia. Al momento stiamo pianificando il 2025 che si prospetta divertente!
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