“The Lost Leonardo”, il docufilm che svela tutti (o quasi) i segreti del Salvator Mundi
Del “Salvator Mundi” di Leonardo Da Vinci è stato detto molto, e in diversi modi è stato definito: l’opera d’arte più cara della storia, il ritrovamento più importante del ventunesimo secolo, la scoperta più sensazionale del “settore meno normato al mondo”, dopo la prostituzione e la droga (quello, cioè, dei mercanti d’arte), eppure sono tutti d’accordo: siamo al cospetto di un capolavoro. Verrebbe, poi, da chiedersi com’altro potrebbe essere definito, vista la firma del suo autore.
In “The Lost Leonardo“, docufilm di Andreas Koefoed proiettato nelle sale cinematografiche italiane dal 21 al 23 marzo, viene raccontata la travagliata storia dell’opera di Da Vinci, divenuto nel 2017 il dipinto più costoso mai venduto. Ci sono voluti 400 milioni di dollari per aggiudicarselo (oltre 450 milioni di dollari, se si considerano i diritti d’asta) e un’inchiesta giornalistica per svelare il nome dell’acquirente.
L’asta, realizzata da Christie’s a New York, è stato uno show a tutti gli effetti. Decine, tra videocamere e cellulari, hanno ripreso quanto accadeva in sala, con il costante aumento dell’offerta (da una base di settantacinque milioni) per l’aggiudicazione che, alla fine, ha assunto la veste di una battaglia personale tra i miliardari partecipanti. Ci sono voluti diciotto minuti e quarantasette secondi perché vi fosse un vincitore, ma anche un perimetro di sicurezza intorno all’edificio tale da ricordare i dibattiti politici pubblici tanto amati nella terra dello Zio Sam.
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Nel 2008, gli esperti di Leonardo Da Vinci più illustri al mondo si riunirono attorno a un cavalletto alla National Gallery di Londra per esaminare un misterioso dipinto: un Salvator Mundi apparentemente senza pretese. Tre anni dopo, la National Gallery ha presentato quell’opera come un dipinto autografo di Leonardo nella celebre mostra dedicata al pittore, dando vita a una delle vicende più seducenti e sconcertanti del mondo d’arte dei nostri tempi.
Girato nel corso di tre anni, il docufilm racconta meticolosamente l’intera storia dietro il Salvator Mundi e si snoda come un thriller avvincente che vede protagonisti roboanti nomi dell’arte, della finanza e della politica. Il regista posiziona questa storia all’incrocio tra capitalismo e creazione dei miti contemporanei, ponendo al pubblico una domanda emblematica: questo dipinto multimilionario è davvero di Leonardo o semplicemente alcuni uomini di potere vogliono che lo sia?
Un dipinto può essere un’arma politica? Provando a interpretare il pensiero di Koefoed, potremmo rispondere di si. Il “Salvator Mundi” è stato acquistato dal principe Mohammed Bin Salman in Arabia Saudita che, secondo fonti in possesso di coloro che hanno testimoniato nel docufilm, sovente lo custodirebbe anche all’interno del suo yatch da più di trecentocinquanta milioni di dollari, portandolo con sé a spasso come fosse un ombrello da custodire in caso di pioggia. L’opera, quindi, è nascosta agli occhi del pubblico, degli appassionati d’arte e lontana dall’essere sdoganata come patrimonio dell’umanità, essendo che appartiene a un principe che di mostrarlo non vuole saperne. Se non a determinate condizioni.
Come quando, sempre secondo fonti definite assolutamente attendibili e accreditate, alla richiesta della Francia e del presidente Macron di esporlo al Louvre (che aveva allestito una mostra per i cinquecento anni dalla nascita del genio fiorentino) rispose che avrebbe accettato la proposta solamente se il “Salvator Mundi” fosse stato messo nella stessa stanza della Gioconda, cioè del dipinto più visitato e fotografato al mondo. Ed è qui che l’accezione politica dell’opera esce fuori. Perché alla risposta negativa seguì una totale rottura di rapporto diplomatici e collaborazioni in procinto di essere realizzate.
Un mezzo per un fine: potere. Addirittura sembrerebbe che l’acquisto dell’opera di Da Vinci sia avvenuto mediante l’utilizzo di fondi governativi, e non personali, da parte del principe Bin Salman. Al mondo esistono pochi dipinti di Leonardo, il che fa di loro oggetti dal valore gigantesco e dall’impatto sull’opinione pubblica disarmante. Possederlo, custodirlo e rivendicarlo con arroganza e strafottenza, come emerge dalla visione di “The Lost Leonardo”, volgarizza la sua natura e ne preclude l’affermazione pubblica.
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Dal giorno in cui (dopo essere stato acquistato per 1.175 dollari in un’oscura casa d’aste di New Orleans) sono state scoperte magistrali pennellate rinascimentali sotto la vernice pesante del suo restauro a buon mercato, il destino del Salvator Mundi ha visto intrecciarsi ricerca di fama, denaro e potere. Man mano che il suo prezzo è salito alle stelle sono aumentate anche le domande sulla sua autenticità. Ma infine, a distanza di anni: questo dipinto è davvero di Leonardo da Vinci? Svelando i progetti nascosti degli uomini più ricchi della terra e delle istituzioni artistiche più potenti del mondo, il documentario mostra come gli interessi che si celano dietro al Salvator Mundi siano così giganteschi da far diventare la verità qualcosa di secondario.
Tra i protagonisti del documentario la restauratrice Dianne Modestini; i mercanti d’arte Robert Simon, Alexander Parish e Warren Adelson; l’imprenditore Yves Bouvier; il curatore della National Gallery di Londra Luke Syson; gli storici dell’arte ed esperti di Leonardo Martin Kemp, Maria Teresa Fiorio e Frank Zöllner; l’artista e restauratore Jacques Franck; il Global Art Services Executive di Bank of America Evan Beard; la scrittrice e giornalista Georgina Adam; il giornalista investigativo Bradley Hope; la scrittrice Alexandra Bregman; i critici d’arte e scrittori Kenny Schachter e Jerry Saltz; il Professore Associato al Sciences Po Stéphane Lacroix; il Direttore di The Arts Newspaper Alison Cole; i giornalisti Antoine Harari e David Kirkpatrick; il Fondatore dell’FBI Art Crime Team Robert King Wittman; l’ex agente CIA Doug Patteson; il partner commerciale di Yves Bouvier Bruce Lamarche; il Direttore di La Tribune de l’Art Didier Rykner; il Direttore (2004- 2016) della Gemäldegallerie di Berlino Bernd Lindemann.
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