Folli, rissosi, imprevedibili. Insomma, irlandesi: The Commitments
The Commitments ha compiuto trent’anni nel 2021. La pellicola diretta da Alan Parker, uscita nelle sale cinematografiche nell’agosto del 1991, è il classico fenomeno di culto che, col passare degli anni, viene apprezzato in maniera esponenziale. Di decadi, dalla sua pubblicazione, curiosamente avvenuta prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, dov’era invece di base la produzione, ne sono passate tre.
Il film è una piccola perla capace di attecchire tra gli appassionati della Settima Arte e tra gli amanti della musica e delle ambientazioni a tema. Non a caso porta la firma di un regista che sul proprio curriculum vanta diverse produzioni come “Saranno Famosi“, “Pink Floyd – The Wall“, “Evita” e “Piccoli gangstars“.
Inoltre, lo stesso Parker, ha sempre dichiarato che sui set le affinità migliori tra lui e il cast sono nate con i musicisti che ha diretto, a testimonianza del profondo coinvolgimento che lo legava all’ambiente.
Il film è liberamente ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore irlandese Roddy Doyle che con esso debuttò sul mercato editoriale. Nel Regno Unito uscì nel 1987, mentre in Italia arrivò solo nel 1998. Viene considerato anche il primo capitolo della Pentalogia di Barrytown. Gli altri sono The Snapper (1990), Due sulla strada (1991), Paddy Clarke ah ah ah! (1993), La musica è cambiata (2013).
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Una narrazione dell’Irlanda e degli irlandesi in tutte le sfumature del loro vorticoso carattere, ben delineato e ironicamente descritto. Ed è su queste basi solide e marcate che Parker ha costruito la credibilità di The Commitments.
Siamo alla periferia nord di Dublino. Cieli grigi e uggiosi sovrastano palazzine popolari abitate da strani ceffi e da personaggi folli, imprevedibili e rissosi. I pub sono sempre pieni e i tabaccai fanno la fortuna grazie a stecche di sigarette vendute in quantità industriale. Gli abitanti del posto, per lo più appartenenti alla working class, ingannano il tempo come possono.
Jerry Rabbite è appassionato di musica soul, devoto al verbo di James Brown. Ma è anche un abile costruttore d’idee e progetti apparentemente irrealizzabili, come quello di dare vita a una band e di esserne il manager. Le sonorità a stelle e strisce che abitano nelle lande celtiche? Si, è possibile.
Nascono i Commitments, pescando tra vecchi compagni di scuola e conoscenti, ma anche grazie ad una provvidenziale inserzione sul giornale locale. All’audizione risponde una tale vastità di materiale umano che Rabbite non pensava neanche esistesse.
A turno, gli aspiranti Commitments si presentano a casa sua, dove i genitori disillusi per le aspettative professionali del figlio, aprono la porta a punk a bestia, impiegati, fruttivendoli, ultras e molti altro ancora.
Insomma, da ridere ce n’è in abbondanza.
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C’è anche Joey “The Lips” Fagan, trombettista con alle spalle collaborazioni prestigiose con grandi nomi della musica internazionale, soprattutto jazz e soul. E’ con lui che costruisce la struttura del gruppo. Si unisce al gruppo Deco, talentuoso ed estroso cantante con la passione per la pinta facile. Personaggio a tutto tondo con le smanie di protagonismo che creano non pochi problemi all’attività della band.
Vengono arruolate le coriste, la sezione fiati e gli altri componenti. A quel punto inizia la gavetta tra pub e locali di Dublino. Il successo del pubblico è crescente e l’entusiasmo di Rabbite anche.
La chimica interna alla line up non dura molto e, dopo un concerto straordinario, accadere l’irreparabile.
Con una trama così, è facile aspettarsi colpi di scena continui, battute al fulmicotone, dialoghi di straripante humour inglese e tonnellate di musica soul sparate in mezzo a risse, flirt tra Devo e le fan presenti nel pubblico e un’irrefrenabile voglia di ascoltare James Brown a tutto volume.
Si mischiano sogni e speranze di uscire dal ghetto e dalla povertà, ambizioni personali, desiderio di rivalsa verso una società civile ingiusta e classista.
La musica è la chiave per elevare il proletariato, per rendere la vita difficile ai piani alti, spocchiosi e ipocriti.
E’ il brutto che vince sul bello, è il disordine che vince sull’estetica. Insomma, uno spaccato di riscatto sociale che trova nei Commitments l’urlo liberatorio. Tutti aspetti evidenziati da Alan Parker che, attraverso dettagli apparentemente insignificanti, fa sentire lo spettatore parte del pubblico presente al concerto.
Non ci sono attori professionisti o passati alla storia. Non ci sono ambientazioni di pregio e non c’è una scenografia di alta qualità. E’ quello che potrebbe tranquillamente essere definito come low budget movie. Tra i capitoli di bilancio, la voce più dispendiosa è quella della colonna sonora.
Frizzate, irriverente e sboccato (nei limiti della censura cinematografica), The Commitments è tornato in rotazione nei meandri Amazon Prime Video. Una fortuna poterlo avere a disposizione. Ma c’è altro: nel riscatto c’è comunque la sconfitta e non l’auspicato lieto fine. Il disincanto accompagna la pellicola, ma non si sottrae all’amarezza conclusiva.
Dall’opera di Doyle, Parker ha attinto a piè mani anche nello spirito, eversivo ma confusionario. Un sogno che diventa incubo, la speranza che diventa rammarico.
The Commitments è un film che essere divertente e scanzonato ma che al suo interno nasconde una denuncia sociale rivolta alla working class irlandese. A quegli heroes troppo spesso relegati ai margini della società e identificati come buzzurri, gretti, sciocchi e veniali. Da vedere, assolutamente. Anche perché, amarlo, sarà impossibile.