Termopili, la battaglia delle “porte di fuoco” tra storia e finzione
Nel 480 a.C. in uno stretto passaggio tra la Locride e la Tessaglia, all’ombra del monte Eta e vicino al limite del golfo Maliaco, nelle cosiddette “porte di fuoco”, un esercito di spartani guidati dal re Leonida tenne testa alle truppe persiane di Serse. Fu la battaglia delle Termopili. Di quel confronto ancora oggi si parla, sebbene la data sia incerta. Sull’anno nessun dubbio. Sul giorno esatto c’è chi cita l’11 agosto e chi, invece, l’8 settembre. Ma quello che più conta è sicuramente il significato di uno scontro così epico.
Pochi contro molti. Il sacrificio per un avvenire più grande. L’identità d’Europa, all’epoca ancora identificabile con la Grecia, contro l’avanzata orientale. La morte certa affrontata con il sorriso, consci che la propria vita non è il centro di tutto. Ma che la fine di essa possa rappresentare un ponte di salvezza per i propri figli.
Erodoto riferisce una leggenda secondo cui gli spartani consultarono l’oracolo di Delfi.
“O voi, o abitatori di Sparta dalle larghe piazze: o la vostra grande gloriosissima città viene distrutta sotto i colpi dei discendenti di Perseo, oppure questo non avverrà; ma il paese di Sparta piangerà la morte d’un re della stirpe di Eracle”.
Leonida, uno dei re di Sparta, decise perciò di arruolare solo 300 opliti Spartiati con un figlio maschio che assicurasse la discendenza. Li condusse dove il numero avrebbe influito meno della tecnica. Della tenacia. Della tattica militare.
Leggi anche “22 luglio 776 a.C.: i primi Giochi Olimpici”
Costoro partirono in marcia verso le Termopili contro l’impero di Serse, erede al trono di Dario I che sottomise svariate poleis con la famosa formula “terra e acqua”, forma di asservimento al suo potere. Atene prima e Sparta poi si rifiutarono, uccidendo gli ambasciatori persiani. Questo segnò di fatto l’ingresso in guerra contro la “seconda invasione persiana”.
Furono 3 giorni di lotta serratissima. Raccontati non solo da Erodoto. Plutarco, Diodoro Siculo, Eschilo narrarono le gesta di quegli uomini la cui fama raggiunse tutta la Grecia. Ma non solo. Il loro esempio è stato tramandato fino a oggi.
Libri come “Le porte di fuoco” di Steven Pressfield, oppure “300” prima fumetto di Frank Miller e poi portato sul grande schermo da Zack Snyder, hanno contribuito alla fama di questa battaglia.
Tra le due opere il libro è sicuramente più veritiero e attinente con i fatti storici. Il film e il fumetto sono invece più visionari, iperbolici. Trasmettono una certa potenza e un certo fomento tramite dialoghi, battute e una fotografia ad hoc.
Molte le inesattezze storiche sia nell’opera di Miller che in quella di Snyder. Sparta, ad esempio, non aveva un solo re ma era una diarchia (due re che regnavano contemporaneamente e appartenenti a diverse dinastie). I persiani avevano abolito da tempo la schiavitù, al contrario degli spartani. Nel film invece viene affermato che l’esercito guidato da Serse era composto da schiavi. La correttezza di tale espressione andrebbe vista in un’altra ottica. In quella dell’indipendenza delle città-stato greche rispetto alla sottomissione prevista dal sistema dispotico persiano.
Leggi anche “Le prime Olimpiadi moderne – Storia, cultura e filosofia del corpo”
Proprio questo tratto riporta all’identità europea. L’idea d’Europa, coincidente con quella greca, nasceva dal sentirsi qualcosa di diverso dai sistemi politici orientali. La democrazia greca in contrasto con il dispotismo orientale. Tanto che Sparta venne definita lungamente la più democratica delle poleis greche.
Molte altre sono le differenze tra storia e film/fumetto. Per esempio l’Agoghé, il rituale di iniziazione spartano, durava più di 10 anni, e non prevedeva l’uccisione di un lupo. Ma anche l’esercito persiano viene idealizzato. Gli “immortali” erano definiti tali in quanto il loro numero non variava mai. Non per la loro forza nel combattimento. Lo stesso re Serse, nelle rappresentazioni dell’epoca, era rappresentato con barba e non con un look così eccentrico.
Ma soprattutto Efialte. Il nome che oggi è divenuto sinonimo di infamità. Di traditore. Non era uno storpio spartano salvato dalla morte dai suoi genitori. Ma un pastore greco che guidò un contingente dell’impero orientale alle spalle di re Leonida. Anche qui c’è un evidente forzatura. L’opera di Snyder parla di un’antica usanza spartana per mantenere virilità e potenza nella società. Quella di gettare i bambini deformi e deboli dal Monte Taigeto. In realtà i neonati venivano ispezionati e in caso di problemi dati in affidamento a pastori o schiavi.
I 300 soldati guidati da Leonida, che lungo il cammino verso le Termopili raccolsero migliaia di condottieri di altre città, divennero simbolo di libertà. Tutt’oggi sono sinonimo di coraggio. Un esempio di ricerca della bella morte. E se il loro esempio viene ricordato anche tramite pellicole parecchio romanzate, non se ne faccia una colpa al regista.
Per questo esistono i libri, i siti storici, i professori, la ricerca. Affinché da una fiamma di curiosità divampi un incendio di conoscenza. Conoscere per essere liberi come i 300 spartani delle Termopili.