Terence Hill sui luoghi di “Continuavano a chiamarlo Trinità” 50 anni dopo: con Bud intesa magica
Una pentola vuota, appoggiata su pietre disposte in cerchio. Proprio come 50 anni fa. Mancano i fagioli da mangiare tutti per davvero, magari senza pancetta e con molto peperoncino e, soprattutto, dopo 36 ore di digiuno. Ma il sorriso è sempre lo stesso e gli occhi brillano ancora.
Siamo in Abruzzo, a Campo Imperatore, precisamente nella zona ribattezzata “Canyon dello Scoppaturo”, la zona dove sono state girate le battute iniziali del film “Continuavano a chiamarlo Trinità”, film cult di Enzo Barboni, in arte E.B Clucher.
Sulla strada per Fonte Vetica, luogo scelto per la proiezione rievocativa del popolare sequel, la piccola carovana di auto che scorta Terence Hill e la moglie Lori Zwicklbauer fa una piccola deviazione, su suggerimento degli organizzatori dell’iniziativa: la tentazione di tornare sulle scene della fagiolata era troppo forte.
Poi la carovana prosegue verso Fonte Vetica. La proiezione è in programma subito dopo il tramonto. Prima c’è il dibattito a cui partecipano Cristiana Pedersoli, una delle figlie di Carlo – Bud Spencer, Sandra Zingarelli, la figlia di Italo produttore dei due “Trinità”, don Samuele Pinna, saggista che ha dedicato due volumi alla coppia regina dello spaghetti-western, e Piercesare Stagni, storico del cinema e autore del libro “Il cinema forte e gentile”. Un confronto moderato da Federico Vittorini, nell’ambito della Open Week 2021.
Ad accogliere Terence Hill centinaia di persone. C’è chi è arrivato a piedi, da poco distante. Chi ha fatto centinaia di chilometri, come una famiglia di Ravenna oppure come Luca e Marco Nicoletti giunti sul Gran Sasso direttamente da Catania, per sperare in un autografo o in un selfie. C’è chi si è presentato a cavallo, come Massimiliano Noce con tanto di camicia consumata e cappello da cowboy. “Il mio cavallo chiama proprio Trinità”, dice da lontano, sperando di attirare l’attenzione dell’attore.
Emozionato il sindaco di Castel del Monte Matteo Pastorelli: “Appartengo alla generazione cresciuta con Bud Spencer e Terence Hill, sono stato eletto a settembre e per il primo evento in presenza non potevo chiedere di più, ora possono anche commissariare il Comune”, dice scherzando. Il suo collega dell’Aquila, Pierluigi Biondi, si è “accontentato” di un selfie sul luogo della fagiolata.
Selfie invidiatissimo, visto che il contatto con l’attore è stato filtrato dagli organizzatori e dagli steward, anche per ragioni di sicurezza legate alla prevenzione dei contagi. In ogni caso, nulla può iniziare senza che Terence dal palco si cimenti in decine e decine di firme da mettere tra locandine, maglie e cappelli.
Subito l’abbraccio commosso con Cristiana. “La prima volta che vidi Trinità al grande schermo”, ricorda Terence Hill, “ero con tuo padre Bud e c’eri anche tu, eri piccolina”. Poi si parla del film: “È nato un po’ per caso”, racconta Terence Hill, “non si riusciva a trovare una sceneggiatura che potesse piacere sia al produttore che a noi, a Zingarelli gli arrivò questo copione, diede una copia a Bud e una a me, a casa lo feci leggere a mia moglie che lo giudicò divertente e allora lo facemmo”. È Stagni a ricordare che il film in proiezione è stato campione di incassi per anni.
“A noi questo copione piacque e fu una fortuna, ma abbiamo corso un grande rischio perché non sapevamo che sarebbe potuto essere così bene accolto dal pubblico”, aggiunge l’attore raccontando che la scazzottata finale che sarebbe dovuta durare tre minuti ne durò molti di più dopo le sue insistenze con il regista e fece da apripista a tante altre. Rispondendo alle domande dei fan, l’attore ha anche spiegato che le scene diventate celebri delle scazzottate erano in realtà dei balletti: “I pugni erano un rito, il maestro d’armi faceva un, due, tre, quattro… e, inconsapevolmente, lo spettatore si divertiva perché in realtà era un balletto”.
“Con Bud siamo stati come fratelli, ci divertivamo”, dice ancora l’attore rispondendo alle domande di un giovanissimo fan, “anche questo modo di essere bambini, la botta in testa di Bud nel film Dio perdona io no fu inventata sul momento, abbiamo inventato il verso del piccione perché se ti colpisco a destra, con la testa vai a sinistra e viceversa, ma se ti colpisco in testa che movimento devi fare?”.
Presente anche Gino Faccia, 79enne di Assergi che cinquant’anni fa portò i cavalli utilizzati per il film: “Chi ha addestrato il mio cavallo”, sottolinea Terence Hill, “ha fatto grandi cose, visto che poteva restare immobile per ore e si riusciva a farlo partire con un piccolo cenno della bocca”.
Spazio a un ringraziamento ai maestri Sergio Leone e dell’abruzzese Tonino Valerii: “Era appassionato del suo lavoro e si vedeva”. Spazio anche a qualche piccola curiosità: il fatto che nella scena della locanda il bicchiere di vino che sembrasse interminabile era dovuto al collo di bottiglia stretto.
Tra il pubblico, Daniele Chiarieri De Juliis, nel ricordare quando Bud Spencer andava nel suo paese a comprare l’olio extravergine d’oliva, si toglie un piccolo sfizio: “Che ne pensi del remake con Christian De Sica di Altrimenti ci arrabbiamo?” (ne abbiamo parlato tempo fa ndr). “Beh”, risponde l’attore. Negli anni Ottanta il pubblico era più genuino e forse più propenso a ridere a questo tipo di battute.