Tenet – la recensione del film di Cristopher Nolan
La difficoltà nel parlare di un film come ‘Tenet‘ di Christopher Nolan non sta nella natura della pellicola ma nel doversi confrontare con la necessità costante del pubblico di dover parlare in massimi o minimi termini del film evento, senza mezze misure. Tenet è o un capolavoro o una zozzeria, questo è il messaggio che passa.
Lo capiamo, sopratutto dopo la lunga attesa e i mesi di lockdown davanti allo schermo del PC
Lo capiamo anche alla luce della grande campagna promozionale del film, che esce solo nelle sale del cinema e invita tutti a godersi un’esperienza da grande schermo, e la firma è del regista più apprezzato e chiacchierato degli ultimi dieci anni.
Pur capendolo, però, è un discorso che non possiamo accettare. Se i film fossero giudicabili soltanto dalla pomposità con cui si presentano, o dalle simpatie personali verso il regista, non ci sarebbe bisogno di vederli. E invece Tenet va visto, e bisogna avere il coraggio, a costo di passare inosservati, di uscire dalla tifoseria e saper prendere posizioni equilibrate, quando necessario. Spostiamoci subito dalla questione scientifica:
Non è necessario avere un master in fisica per comprendere ‘Tenet’
Così come non era necessario conoscere il mondo della finanza per ‘The wolf of wall street’. E in entrambi i casi, uno spettatore attento sa riconoscere quando un regista suggerisce questa chiave di visione: in ‘Tenet’ l’entropia e la possibilità di far collimare il passato con il futuro sono argomenti centrali, ma fin da subito ci viene chiesto di non cercare una spiegazione razionale a tutto ciò che vedremo, ci viene chiesto di sentire, di percepire, e in fin dei conti di avere fede e lasciare che le cose scorrano.
E quando Andrei Sator, il magnate russo interpretato da Kenneth Branagh, rimprovera al Protagonista (questo il nome del personaggio di John David Washington, una scelta d’anonimato) di credere ciecamente in una causa che non riesce neppure a comprendere, sembra quasi che Nolan scherzi sul suo cinema e sul suo pubblico, ma è un’interpretazione. Ciò che fa Nolan è costruire una storia per strati: chi comprende l’argomento alla base godrà di un’esperienza completa, ma non necessaria.
Per il grande pubblico, a cui Nolan guarda con più interesse, c’è lo spettacolo
Ed è una costruzione solidissima, la stessa che permette al pubblico di Tarantino di essere così variegato e disomogeneo, perché ci sia il divertimento, il gore, il pulp, il citazionismo ossessivo. Ognuno trova ciò che cerca ed esce soddisfatto dalla sala del cinema, per ragioni diverse. Tenet è un film che funziona come puro spettacolo: ritmo costante, dialoghi lampo, una buona dose di umorismo e qualche cliché da cinema di spionaggio vecchio stampo, non una caduta di stile ma la dichiarazione di una precisa poetica, con i piedi per terra.
Allo stesso tempo, la volontà di non essere un bond-movie: un breve cameo di Michael Caine prende in giro l’educazione inglese, ed è un cameo volutamente snob. Ci si sposta subito da Londra, il personaggio di John David Washington non è uno 007 e non vuole mai dare questa idea. È un personaggio anonimo, come lo è quello di Robert Pattinson.
Sono pedine di un gioco più grande, lo spettatore non è destinato ad affezionarsi, ed è un ottimo modo per far capire che un sequel non ci sarà. Qualche linea di dialogo troppo banale, ma è l’occhiolino che Nolan fa sempre al pubblico che al cinema se ne sta con il cellulare per metà film, per tirare su gli animi. E per lo stesso pubblico, uno spiegone di troppo. Per tutti gli altri, un inseguimento in autostrada che vale il prezzo del biglietto.