“L’uomo dal fiore in bocca”, con Lucrezia Lante della Rovere: “alimentare l’immaginario alimenta la vita”
Prosegue la stagione di prosa del Teatro Talia di Tagliacozzo con “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello, con Lucrezia Lante della Rovere sull’adattamento in regia di Francesco Zecca. Basato sull’omonima novella, è un’acuta e profonda riflessione sul valore che la vita acquista dinanzi alla morte, sia questa prevista o inaspettata: protagonista della pièce è infatti un uomo malato terminale di tumore, che nel caffè della stazione incontra uno sconosciuto inconsapevole di quanto preziosa sia la vita, anche nei gesti più semplici e ordinari.
Dall’incontro nasce un intenso dialogo-monologo sul senso dell’esistenza. Ai due fa da contraltare un terzo personaggio, un’ombra di donna che non entra in scena e non parla. È proprio quest’ultima presenza, in Pirandello appena percepibile, a prender corpo e azione nell’adattamento firmato e diretto da Francesco Zecca.
Ne abbiamo parlato con Lucrezia Lante della Rovere, protagonista dello spettacolo.
Come nasce lo spettacolo? Come si porta in scena il grande tema dell’affrontare l’ineluttabilità della morte?
E’ vero, è uno dei grandi temi della vita, ma spesso è ancora visto come un tabù. Lo spettacolo è nato durante il primo lockdown, periodo controverso che tutti noi abbiamo indubbiamente subito. La protagonista di questa novella immagina la vita e la sua stessa esistenza perché, altrimenti, si sente morire. Un po’ come facevamo noi nella scrittura dell’adattamento teatrale. Io non esisto facendo solo la mamma, quindi noi esistiamo solo se facciamo il nostro lavoro.
Proprio come la protagonista, che sopravvive attraverso l’immaginazione, noi raccontiamo questa donna che nel testo è marginale, citata come mera didascalia, quindi non un personaggio principale. Noi l’abbiamo riportata in auge. Nella commedia originale è una donna che sta andando a spiare suo marito nelle ultime fasi della sua vita, prima della morte. Facciamo rivivere la storia da un altro punto di vista, cioè quello della moglie. Siamo rimasti fedeli al testo di Pirandello ma abbiamo messo il testo in bocca a un altro personaggio. A lei.
Immagino che raccontare la storia da un punto di vista diverso sia stato il vostro stimolo principale…
Esattamente. Abbiamo cambiato delle cose per permettere a lei di parlare. Ma il testo è quello. Dio mio, infatti, c’è pochissimo, giusto qualche battuta. E’ molto aderente al testo di Pirandello.
Si può sopravvivere attraverso l’immaginazione? Il periodo storico che stiamo vivendo sembra suggerircene l’indispensabilità
Hai ragione, la realtà che viviamo è molto forte, brutta, violenta e spaventosa. Però è il motivo per cui c’è l’arte, che è una medicina. Alimentare l’immaginario alimenta la vita. Nei momenti bui ne abbiamo bisogno, così come durante i nostri momenti di crisi, sia per riflettere che per comprendere o per farci delle domande. E’ un’ultima valvola di sfogo. Abbiamo bisogno di nutrire la nostra anima. E’ anche un modo per stare in comunicazione tra noi. Sono fortunata a vivere a Roma, un posto che, ovunque ti giri, ha da offrirti qualcosa.