Intervista: Fausto Cabra e la moderna inadeguatezza del suo Amleto
In scena al Teatro Argentina dallo scorso 15 novembre e fino al 4 dicembre con “Amleto”, Fausto Cabra ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande su questo allestimento del capolavoro di William Shakespeare che lo vede protagonista nei panni del principe più celebre e affascinante di tutti i tempi.
Ecco che cosa ci ha raccontato.
Partiamo dalla particolare messa in scena di Barberio Corsetti: l’ha aiutata ad entrare nella parte? E una curiosità: non ha mai paura di cadere con tutti i salti che le tocca fare durante lo spettacolo?
Diciamo che la “giocabilità” della struttura pensata dal regista e realizzata da Massimo Troncanetti ha avuto di certo la sua importanza, così come la necessità pratica di stare attento a come muoversi in scena: infatti il brivido, il rischio di cadere sono estremamente funzionali allo spirito di quest’opera, che è il racconto di una vertigine interiore, che è permeata dalla possibilità di morte fin dal suo inizio e che è, soprattutto, il racconto di una “prigionia mentale” ben suggerita dalle scene che utilizziamo.
Inoltre sono contento che in uno spettacolo di questo tipo ci sia molto da fare anche per le maestranze tecniche, oltre che per gli attori. Sono contento che dia lavoro a un po’ di persone, perché credo in un teatro “totale” in cui tutti, non solo noi che recitiamo o i registi, possano dare un contributo e siano pronti a sostenere delle sfide.
Il suo Amleto in scena è molto più un “narratore” che un personaggio convenzionalmente inteso. Si è trovato a suo agio in questa veste e che cosa racconta ogni sera al pubblico che ha davanti?
Fin da subito, confrontandomi con Barberio Corsetti, abbiamo cercato di portare Amleto tra il pubblico. Questo perché volevamo che, nel corso della rappresentazione, si creasse una sorta di dialogo tra il mio Amleto e l’Amleto che è dentro ogni spettatore. Per ottenere un simile risultato, abbiamo pensato di giocare molto con il concetto di quarta parete e di sfruttare tutte le infinite potenzialità metateatrali del capolavoro del Bardo, oltre ad aver operato alcuni tagli sui monologhi ed eliminato la parte “militare” della storia. In questo senso, secondo me, si esaltano al meglio le caratteristiche più “narrative” di questo testo, quelle che mi permettono ogni sera di condividere con il pubblico i miei dubbi, i miei drammi.
Il viaggio che l’antieroe shakespeariano compie dentro di sé nel corso dell’opera è di quelli particolarmente impegnativi. Come è cambiato secondo lei nel corso del tempo questo viaggio? E come è cambiato lei dopo averlo intrapreso?
Quando ti chiedono di interpretare Amleto, come credo sia comprensibile, ti senti terrorizzato. L’unica certezza di certi ruoli è che sono infinitamente più grandi noi e dunque, paradossalmente, ci aiutano a liberarci e a librarci proprio in virtù della loro inarrivabilità di fondo. Sono dei veri caleidoscopi, permettono molto sperimentazioni.
Io, da parte mia, ho lavorato molto sulla paura, soprattutto su quella che vedo intorno a me e ispirandomi in particolar modo a quella dei giovani di oggi, i quali sono vittime di una terribile incertezza e sono comunque costretti a dover fare qualcosa delle loro vite, a prendere delle decisioni, nonostante la pesantissima eredità di male e di disfunzionalità che li circonda. La loro posizione è molto simile a quella di Amleto, a ben pensarci, perché lui è un giovane che ama le lettere, la filosofia e il teatro e invece è costretto dalla richiesta di vendetta a cui lo sottopone il fantasma del padre a trasformarsi in un’altra persona che non vuole essere. La sua è sempre e comunque una tragedia umana di fallibilità ed equivoco.
La Elsinore immaginata dal già citato Barberio Corsetti è un luogo fisico ma nello stesso tempo psichico, mentre invece una Elsinore di oggi più “reale” quale potrebbe essere? E che Amleto ci vivrebbe?
La Elsinore che io immagino è tutto il mondo in cui viviamo, un mondo in cui c’è il rischio costante di una guerra nucleare, che da troppo ha bloccato la scala sociale e che, soprattutto, ha macchiato in modo indelebile il concetto di democrazia, perché ha fatto svanire la speranza che, attraverso il voto, lo status quo e le sue storture possano cambiare. Siamo in una gabbia che ogni giorno sembra farsi più stringente. Ed è chiaro che ci viviamo male, che ci sentiamo costantemente inadeguati.
A tal proposito, proprio per sottolineare questa inadeguatezza, nella fase di allestimento dello spettacolo avevo pensato di portare in scena fin dall’apertura del sipario un Amleto obeso, di duecento chili (avrei usato un costume particolare). Affinché si capisse prima ancora dello svolgersi delle vicende quale fosse la sua tragedia personale, il suo disagio estremo nel dover vivere, lui sensibile e votato al bello, in un mondo rozzo e abitato da soli “maschi alfa” (suo padre, i suoi rivali) impastoiati nella spirale della violenza e forgiati nello spirito di sopraffazione.
Un’ultima domanda: prima di scegliere il teatro, lei si stava laureando in ingegneria. Cosa è successo, come è arrivata la “chiamata”?
Mi mancavano tre esami per conseguire la laurea triennale in ingegneria aerospaziale, ma già da tempo mi sentivo in qualche modo “soffocato” da quello che stavo facendo. Poi un giorno ho accompagnato una mia amica a fare delle audizioni, ho provato a mettermi in gioco anche io e, del tutto casualmente, le cose si sono messe in moto. In poco tempo sono riuscito a passare le selezioni per entrare in diverse prestigiose scuole di teatro e alla fine ho scelto quella del Piccolo. Se ripenso al fatto che il primo monologo che ho mai fatto l’ho fatto davanti a Ronconi… Mi manca molto, moltissimo! La sua perdita, a livello personale, è ancora una ferita aperta.
Comunque, riflettendoci, devo dire che la mia mentalità in qualche modo “scientifica”, analitica, mi è servita molto a teatro: infatti, mi ha permesso di approcciare alle parti da interpretare scomponendole con cognizione e poi ri-strutturandole con criterio al momento giusto e con le modalità giusto. Insomma, anche la mia carriera universitaria ha avuto in qualche modo la sua importanza.