Teatri e cinema: nessuna certezza sulle riaperture, si pensa ad altro
Ben 71 giorni, 11 ore, 19 minuti sono quelli che intercorrono tra la pubblicazione di questo articolo e la firma del Dpcm che – in data 24 ottobre 2020 – chiuse cinema, teatri e musei, all’interno delle nuove misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Fu prevista la sospensione degli “spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto”, inizialmente sino al 24 novembre.
Tuttavia, nessun provvedimento successivo ha poi modificato questo orientamento. A dire il vero, la riapertura pubblica dei luoghi di cultura non è neanche entrata in discussione nelle scorse settimane in cui il dibattito è stato più che altro incentrato sulle modalità di festeggiamento delle ricorrenze di dicembre, tra capitone e cotechino.
La scadenza naturale dell’ultima proroga del provvedimento di chiusura è stata fissata al 15 gennaio, ma nulla, al momento, lascia pensare che passato quel termine si tornerà come prima. Nella migliore delle ipotesi – ma c’è da essere un po’ ottimisti – teatri e cinema potrebbero tornare a lavorare con le regole di giugno: distanziamento e sedute dimezzate. Misure di sicurezza che peraltro hanno garantito un elevato numero di spettacoli e un contagio minimo, se non insignificante.
Il problema, secondo alcuni esperti, è legato alle code all’ingresso o al botteghino. Come se la folla davanti le vetrine dei centri commerciali, specie dopo gli incentivi a fare acquisti col Cashback, non fosse invece motivo di preoccupazione.
La prenotazione obbligatoria degli spettacoli potrebbe essere una soluzione, magari con un sistema elettronico che garantisce l’arrivo scaglionato nella struttura.
“In tutte queste settimane, la questione delle riaperture è passata in secondo piano, anche tra i colleghi: pochi hanno promosso azioni concrete per spingere il governo a tornare su suoi passi”, si è trovato a dichiarare tempo fa Manuele Morgese, direttore artistico del Teatro Zeta all’Aquila che, all’uscita del Dpcm di ottobre, aveva sbarrato le porte del suo “Parco delle arti” con tanto di lucchetto e si era fatto riprendere con un nastro adesivo alla bocca. Un gesto rimasto pressoché isolato. Le proteste degli addetti ai lavori ci sono state, per carità, ma in tanti si sono accontentati dell’obolo di risarcimento. D’altra parte, Shakespeare usava i periodi di quarantena del suo tempo per mettere a punto gli spettacoli. Nota dolente, però, è che gli “oboli” sono riservati ai teatri grandi, per i medio-piccoli non è c’è stato praticamente nessun “ristoro”, nulla di nulla, neanche comunicati formali di vicinanza ai gestori.
Gestori che si trovano a dover pagare spese (affitti, utenze e tutto quello che gira intorno a una struttura privata) senza avere la benché minima possibilità di lavorare, allo stato attuale. Per non parlare dei soldi buttati per le operazioni di sanificazione, con dispositivi che stanno “marcendo” dentro alle sale.
“Addirittura”, ha detto ancora, “c’è chi era arrivato a pensare di utilizzare cinema e teatri chiusi come luoghi in cui somministrare i vaccini”. Il riferimento è alla proposta sostenuta, tra gli altri, della virologa Ilaria Capua in vari interventi in tv e sui giornali. Poi, per fortuna è arrivata la Primula. “A questo punto”, prosegue Morgese, “pur nel rispetto della necessità di sostenere gli sforzi della grande e complicata campagna di vaccinazione, sono pronto a scrivere sull’insegna del mio teatro ‘Osteria numero mille’. Non è possibile che nessuna forza istituzionale si muova in difesa di chi fa teatro”.
Discorso diverso per i musei. La loro riapertura è considerata più semplice e potrebbe arrivare indipendentemente da quella delle sale.
Alla base di possibili riaperture ci sarebbe la spinta del ministero dei Beni Culturali, anche se – sempre negli ultimi mesi – il titolare Dario Franceschini è intervenuto veramente poco sulla questione, anzi si è spesso distinto, in quanto capo delegazione del Partito democratico nel governo, per posizioni piuttosto rigide nei confronti delle misure anti-Covid da adottare di volta in volta.