Tamara de Lempicka, la trasgressiva regina dell’Art Déco
Il 18 Marzo 1980 moriva Tamara de Lempicka, la regina dell’Art Déco. Una donna trasgressiva, viziosa e anticonformista che rese la sua arte e la sua vita libertina il paradigma dell’emancipazione femminile.
Una nascita avvolta nel mistero
Sosteneva di essere nata a Varsavia nel 1902, ma alcuni documenti riportano che venne alla luce a Mosca nel 1898; affermava che il padre fosse andato via di casa a seguito di un divorzio, ma più fonti sostengono la tesi del suicidio. Tamara de Lempicka sì è sempre impegnata ad avvolgere la sua vita di mistero e fascino, a partire dall’invenzione del suo nome.
È ormai acclarato che si chiamasse Maria Gurwik-Górska, nata il 16 maggio 1898 dall’unione della polacca Malvina Decler e del ricco ebreo russo Boris Gurwik-Górski. Grazie alla nonna Clementine ebbe l’opportunità di studiare in prestigiosi collegi tra la Polonia e la Svizzera, nonché di visitare le più belle città d’arte italiane. Fondamentale in questo senso fu un viaggio nel 1907 durante il quale scoprì una vera passione per la pittura ad acquerello.
Alla morte della nonna si trasferì a San Pietroburgo dove nel 1916 sposò il facoltoso avvocato Tadeusz Łempicki. Allo scoppio della rivoluzione russa i coniugi si spostarono a Parigi e sul finire del 1918 nacque la loro figlia Marie Cristine, soprannominata affettuosamente Kizette.
Nella capitale francese Tamara si iscrisse ai corsi di pittura dell’Académie de la Grande Chaumiere e dell’Académie Ranson e studiò sotto la guida di artisti importanti come Maurice Denis e André Lhote.
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Ritratti e vita mondana nei salotti parigini
Negli anni Venti quindi scoprì la modernità dell’Art Déco, le provocazioni del Futurismo, le nuove spazialità del Cubismo e le mescolò in opere ancora oggi uniche nel loro genere. All’età di 24 anni espose per la prima volta al Salon d’Automne e da quel momento la sua fama crebbe in maniera esponenziale. L’alta borghesia parigina le commissionava principalmente ritratti e la invitava nei più raffinati salotti parigini.
I suoi dipinti sfoggiano un “beau monde” caratterizzato da lusso, vizi e sensualità: ricche donne in abiti attillati, uomini in smoking o uniforme ma anche concubine dai corpi voluttuosi. Un mondo al quale Tamara si adeguò rapidamente dividendosi tra feste, avventure amorose, cocaina, e sessioni di pittura notturne sulle note poderose di Richard Wagner. A volte indossava suntuosi abiti e costosi gioielli con i quali amava farsi fotografare su prestigiose riviste di moda, altre volte indossava sfrontatamente completi di foggia maschile, non nascondendo la propria bisessualità.
Nel 1925 esibì i suoi lavori all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali e nel 1927 vinse il suo primo importante premio all’Exposition Internationale des Beaux Arts di Bordeaux con un ritratto di sua figlia Kizette. Nel 1929 si aggiudicò il terzo premio all’Esposizione Internazionale di Poznan in Polonia e agli inizi degli anni Trenta la sua popolarità era alle stelle. Diventata un’icona di stile, note riviste di moda come “Die Dame” e “Harper’s Bazaar” chiesero di pubblicare le sue opere in copertina. Tra i dipinti più famosi degli anni Trenta ricordiamo: Ragazza in verde (1930), Ritratto d’Ira (1930), Adamo ed Eva (1932).
Dalle trasgressioni alla conversione spirituale
Amante dei viaggi, Lempicka si recò spesso in Italia dove ricevette l’ammirazione incondizionata di Filippo Tommaso Marinetti e di Gabriele D’annunzio. Fu anche ospite al Vittoriale, ma non cedette mai al corteggiamento serrato del Vate. Dopo aver divorziato dal primo marito, l’artista sposò il barone Raoul Kuffner de Diószegh, guadagnandosi l’appellativo di “baronessa con il pennello”. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale si rifugiò con lui prima a New York e poi a Beverly Hills.
Il matrimonio con il barone tuttavia non fu totalmente felice e Tamara cadde vittima della depressione. Il suo disagio psicofisico si riversò anche nelle sue tele che si allontanarono dai soggetti edonistici degli esordi per ripiegare su un filone più spirituale come dimostra l’opera Madre Superiora (1935-39)che l’artista donò spontaneamente al Museo di Belle Arti di Nantes.
Quando morì il secondo coniuge nel 1961 si trasferì a Houston dove provò a sperimentare una nuova tecnica di pittura che prevedeva l’uso della spatola. Tali nuove direzioni artistiche tuttavia non diedero il successo sperato. Nel 1978, ormai stanca e debilitata, convolò a nozze con il giovane scultore Victor Manuel Contreras e si stabilì a Cuernavaca, in Messico. Morì due anni dopo nel sonno e, come da sue disposizioni, le sue ceneri vennero sparse sul vulcano Popocatépetl.
Un simbolo dell’emancipazione femminile
Una vita sicuramente intensa quella di Tamara de Lempicka, fatta di alti e bassi, sicuramente di molti eccessi. Ma se nella fase finale della sua esistenza, l’artista subì una sorta di oblio da parte dei contemporanei, dalla metà degli anni Ottanta, grazie a collezionisti famosi come Madonna, Jack Nicholson, Barbra Streisand, ritornò ad essere un’icona nell’immaginario collettivo.
Un suo merito fu sicuramente quello di non limitarsi ad adottare uno stile figurativo avulso dallo spazio e dal tempo, bensì di amalgamare la sua arte al contesto storico e sociale. Il plasticismo delle sue figure, i volumi proporzionati allusivamente neoclassici, la geometrizzazione dei volti e i contorni netti in pieno stile Déco, gli sfondi di chiaro stampo cubista, si fondono con le innovazioni della sua epoca. Prova ne sia il celebre dipinto Autoritratto sulla Bugatti verde (1932).
Nella composizione Tamara si ritrae alla guida di un’auto da corsa: la Bugatti. Ha il casco da pilota e indossa dei guanti di pelle di daino. La sua postura è fiera, l’atteggiamento quasi sprezzante, vuole mostrarsi una donna forte e indipendente che si allontana dallo stereotipo di donna di casa. Sapendo che l’autoritratto sarebbe stato pubblicato sulla copertina della rivista “Die Dame”, volle assurgere a modello di emancipazione femminile, a paradigma di assoluta libertà; per rafforzare il concetto non inserì nel dipinto l’automobile che realmente possedeva (una piccola Renault gialla), bensì una Bugatti verde modello 43, la macchina più in voga del momento.
Lempicka desiderava essere figlia del suo tempo. Forse però la descrizione più adatta al quadro sono le sue stesse parole che di seguito riportiamo e che riteniamo estremamente esaustive: “Volevo rappresentare la ‘donna eccessiva’, connubio di bellezza e perversione, senza trascurare l’eleganza della figura. Insomma il prototipo del moderno e spregiudicato dinamismo costruito sull’immagine simbolica del femminile negli anni Venti e Trenta.”