Quando con 5 cents ci si scatenava: alle origini del primo jukebox della storia
Per saperne di più sulla nascita del jukebox dobbiamo riavvolgere la macchina del tempo e andare al 23 novembre del 1889. Siamo a San Francisco, al 303 di Sutter Street. All’interno del Palais Royale Saloon Restoraunt veniva installato uno tra i simboli della rivoluzione culturale della prima metà del Novecento. Fred Mergenthaler, proprietario del Palais con uno spiccato fiuto per gli affari, ci aveva visto e aveva raggiunto un acconto con la Pacific Phonograph Co. affinché scegliesse la sua attività come location per lanciare sul mercato un apparecchio buffo, dalla linea non esattamente accattivante ma dalla proposta geniale e visionaria. Il jukebox, appunto.
Il nome deriva dai “juke-joint“, i bar dove i teenager del tempo (ma non solo loro) si recavano a ballare. William Arnold e Louis Glass, i suoi inventori, non se lo fecero ripetere due volte. In esso intravidero il futuro della musica su supporto fisico e, al tempo stesso, un ottimo mezzo di socialità e intrattenimento. L’idea era di quella di ascoltare musica nel mentre intenti a compiere un’attività, che fosse il ballare o il mangiare, come infatti accadde nelle tavole calde dell’America degli anni ’50.
Come funzionava? Era sufficiente inserire una moneta da 5 cents in questa specie di armadietto di quercia al cui interno vi era un fonografo Edison (classe M) e quattro tubi di metallo che fuoriuscivano da essa. Un’embrionale cassa di risonanza. Erano delle serpentine, simili a stetoscopi, attraverso cui potevano fruire della musica anche quattro persone contemporaneamente. Si avvicinava l’orecchio e dopo aver inserito la monetina, si selezionava la musica desiderata. Mergenthaler, come detto, aveva uno spiccato fiuto per gli affari e così, nel giro di una settimana, guadagnò mille dollari.
Da quel giorno in avanti le vendite del jukebox crebbero in maniera esponenziale. Glass in seguitò affermò che le prime 15 macchine installate fruttarono più di quattromila dollari in cinque mesi. Una cifra esorbitante. Solo dal giugno del 1927 questi vennero venduti anche al pubblico, divenendo ovviamente oggetto di richiamo e, col passare degli anni, di culto. Erano esemplari a manovella, che veniva utilizzata per far partire il disco dopo aver introdotto la moneta. Negli anni Trenta ospitavano dischi (al massimo 12) a 78 giri e dalla seconda metà della decade entrarono in tutti i posti di richiamo oltre che di svago o divertimento. Bar, tavole calde, pizzerie, sale ballo, ristoranti, locali commerciali. Fu la Seeburg a lanciare nel 1938 una novità, proponendo il primo jukebox decorato con le plastiche illuminate.
L’epoca d’oro del jukebox è quella connessa all’esplosione del rock’n’roll e dei Wonderer. Giubbini di pelle, ciuffi ribelli, pine up, Cadillac e comitive di amici desiderosi di vivere l’esplosione della voglia di ritornare alla normalità al termine della Seconda Guerra Mondiale. Una rinascita, insomma, a suon di musica. I meravigliosi modelli Wurlitzer 1015 arrivarono anche in Italia, ma solo in un secondo momento, negli anni Sessanta. L’azienda che in origine fabbricata pianoforti automatici costruì 50.000 modelli di questo jukebox. Ben presto divennero oggetto di culto anche nell’immaginario collettivo degli adolescenti di tutto il mondo grazie al telefilm Happy Days.
“Riviste e giornali pubblicavano intere pagine con fotografie di giovani che si scatenavano ballando attorno a questa macchina, furono prodotte decine di gadget raffiguranti il mitico giocattolo musicale e gli americani attribuirono a questo apparecchio un trionfo che vede ancor oggi nel 1015 un modello molto ricercato da collezionisti e amatori”, riporta Wikipedia che sottolinea come i jukebox ancora ora, a distanza di tutti questi anni e con un’evoluzione costante del mezzo fisico per ascoltare la musica, siano oggetti ricercati da collezionisti e amanti del vintage.