Speciale. “Le notti bianche” di Fedör Dostoevskij
Possono quattro notti cambiare una vita intera? Per Fedör Dostoevskij assolutamente sì. “Le notti bianche“, figlio di penna dello scrittore russo, viene pubblicato nel 1848, prima della deportazione in Siberia.
L’anno di pubblicazione permette una celere collocazione culturale nel contesto del Romanticismo Ottocentesco. In effetti, la tecnica di narrazione non lascia alcun dubbio, essendo agilmente identificabili i temi caldi dell’epoca come la fuga dalla realtà, il sogno, il sentimentalismo malinconico e la natura come elemento emotivamente ambivalente.
Molti, giocando a fare gli psicologi, definiscono il protagonista un sognatore con comportamento evitante. Al contrario, andando più a fondo, si potrebbe dire che sia, invece, un uomo costretto a rifugiarsi nel proprio Io per via di una sensibilità troppo spiccata per la società che lo circonda. Una sensibilità che lo costringerebbe a vivere notti insonni, a generare pensieri sempre più profondi e dolorosi e a sentirsi perennemente “diverso” dal resto del mondo.
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Egli, dunque, decide di rifugiarsi in un mondo soggettivo. L’ultimo termine fa riferimento anche alla scelta narrativa intradiegetica, ovvero quella di raccontare in prima persona e in modo diretto. Il “caro lettore” viene catapultato in una seduta psicologica, su un divanetto di pelle nero con lo sguardo rivolto ad una finestra dalla quale è possibile esplorare le contraddizioni del proprio Io. Dostoevskij, decide di mettere il lettore nella condizione di auto esplorare le camere più segrete della propria mente. Essendo un racconto, non vi sono linee di narrazione subordinate ma, nonostante la semplicità tecnica, i temi affrontati sono molto complessi.
Dalle prime pagine, ci si potrebbe interrogare sulla natura sentimentale del romanzo. Tale riflessione potrebbe essere ricondotta ad un’altra lezione dell’autore: la pazienza nell’ascoltare. Dostoevskij, noto per i suoi dialoghi infiniti, non delude neanche questa volta.
Il narratore sognatore si perde nel descrivere al lettore la San Pietroburgo notturna, gelida, solitaria, meravigliosa. Racconta ogni singolo elemento scaturito dal suo modo lento e scrupoloso di osservare i passanti e i rispettivi umori. Ecco che, all’improvviso, avviene il tanto atteso incontro, l’epifania del sogno. Per un breve periodo, purtroppo o per fortuna, il (co) protagonista viene violentemente strappato dal suo sogno per tornare alla realtà. Nasten’ka è il nome della sua nuova realtà, una ragazza dilaniata dal suo amore perduto.
I due si incontrano per quattro notti e sulla solita panchina si aprono l’un l’altro e si abbandonano spogliandosi delle proprie paure. Il racconto trova il suo culmine più amaro nell’ultimo capitolo Il mattino quando il narratore, deluso e sconfitto dal rifiuto decide di accettare il suo destino di secondo arrivato. L’illusione si scontra di nuovo con la realtà e il sognatore torna ad essere l’anonimo passante dall’originale mondo interiore. Dio mio! Un intero attimo di beatitudine! E’ forse poco per la vita intera di un uomo?
Il racconto potrebbe essere consigliato come prima opera da leggere per iniziare ad interfacciarsi al mondo Dostoevskiano.
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È possibile trovare anche una versione cinematografica nel film del 1957 diretto da Luchino Visconti. La pellicola mostra mutamenti di ambiente, delle caratteristiche dei personaggi e dell’ordine narrativo in senso lato. Nasten’ka diventa Natalia, interpretata dalla bellissima Maria Schell; il sognatore è qui un giovane impiegato chiamato Mario e interpretato da Marcello Mastroianni. La glaciale San Pietroburgo si trasforma nella Livorno degli anni Cinquanta del Novecento. Purtroppo, il ritmo cinematografico non ha permesso l’inserimento del capitolo, forse, più significativo dell’opera, ovvero quello finale.
Le notti bianche è un racconto senza tempo e altamente introspettivo dove la ragione incontra il sentimento con conseguenze quasi inevitabili. Il sogno si presenta nel circolo vizioso come a salvare di nuovo il disincantato protagonista lasciandolo, però, in un amaro e perenne limbo esistenziale.