Speciale Escher: prospettive vertiginose, illusionismi e mondi estranianti
Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972), scoperto dal pubblico negli ultimi anni, è diventato uno degli artisti più amati, tanto che le mostre a lui dedicate hanno battuto ogni record di visitatori. Si tratta di un artista facilmente fruibile, la paradossalità e le costruzioni impossibili hanno un aspetto ludico che intriga anche i non esperti d’arte. A sfuggire, tuttavia, è forse l’aspetto fondamentale della sua opera, Escher distrugge con rigore geometrico e metodo matematico uno dei capisaldi della cultura occidentale, la prospettiva.
Teorizzata per la prima volta nel trattato De Pictura (1435) da Leon Battista Alberti, la prospettiva, è stata considerata sin da subito il più efficace sistema di rappresentazione dello spazio, tanto da farla coincidere con la struttura stessa della realtà e da affermarsi come condizione necessaria per ogni raffigurazione realistica. A partire dalla fine dell’Ottocento si diffuse il senso di insofferenza nei confronti delle forme canoniche di rappresentazione dello spazio, questo portò all’emergere di correnti, come l’Espressionismo, il Cubismo o l’Astrattismo, che rinunciavano clamorosamente alla prospettiva, sostituendola con altre modalità di gestione dello spazio pittorico. Escher non rinnega la prospettiva, la sua rivolta è sottile, silenziosa, ne esaspera le ambiguità. Portando alle estreme conseguenze i punti critici del più solido dei principi del realismo, lo scardina dal suo interno, mettendo in discussione anche il nostro sistema percettivo.
Nato in Olanda, visitò per la prima volta l’Italia nel 1922 insieme alla famiglia, nella speranza di medicare le sue tendenze depressive. Lui stesso definì gli anni passati a Roma, dal 1923 al 1935, come i migliori della sua vita. La spinta verso il meraviglioso e l’inconsueto nacque percorrendo la penisola, scoprendo con gli occhi di un bambino il fascino e lo stupore per le bellezze del paesaggio italiano: dai borghi, così regolari nei volumi e così diversi dalle pianeggianti terre olandesi, alla profondità storica delle nostre città, dalla campagna senese al mare di Tropea, dai pendii scoscesi di Castrovalva ai monti di Pentedattilo. Ritrasse i rapporti segreti tra le cose, dai soffioni ai cristalli, osservati come straordinarie architetture naturali, fondendo in maniera nuova discipline come arte e matematica, natura e geometria e svelando l’ordine regolare e misterioso celato al di là di ciò che gli occhi vedono.
Lasciata definitivamente l’Italia, Escher, giunse a Cordova e all’Alhambra nel 1936, qui il gioco di tassellature e gli apparati decorativi dei monumenti moreschi furono causa di un’ulteriore evoluzione che coincise con il riemergere dell’art nouveau.
Finissimo intellettuale, inquieto e geniale, Escher, nelle sue incisioni e litografie crea un mondo dove trasporta tutto il suo sapere, dai precisi paesaggi alle simmetrie geometriche di spazi infiniti che si perdono nel riproporsi, bianchi e neri, pieni e vuoti. Le sue opere si caratterizzano per la compenetrazione di mondi simultanei, per il continuo passaggio tra tridimensionalità e bidimensionalità ma anche per le ricerche della Gestalt, la corrente sulla psicologia della forma incentrata sui temi della percezione. Ne scaturì un universo magico fra labirinti, allucinazioni, architetture impossibili, vertigini ottiche, minuzie fiamminghe e illusionismi estremi.