Silvio Berlusconi, gli albori della tv privata
Con la morte di Silvio Berlusconi se ne va uno degli artefici del cambiamento dell’idea di televisione in Italia. Per capirne le gesta bisogna partire dal ’68, quel vento rivoluzionario che aveva mandato in frantumi il “miracolo economico” e aveva messo in crisi l’assetto e il ruolo del sistema della comunicazione di massa.
Negli anni subito successivi si fece sempre più prepotente l’idea che il sistema fosse arretrato e inadeguato rispetto alla coscienza sociale che si andava sviluppando. Per questo è uso comune pensare che tra il 19070 e il 1975 la storia della radiotelevisione italiana è un continuo oscillare tra fermenti rivoluzionari e istanze di ristrutturazione capitalistica. A prevarre però fu un mercato da capitalismo selvaggio che portò al duopolio. Infatti nel 1974 la Corte costituzionale sancì l’illegittimità di quel particolare monopolio (Rai), per la forma in cui veniva esercitato, e ne impose in tempi brevi la sua decisa trasformazione.
La stessa Rai cominciava a trasformarsi in azienda lasciando da parte il ruolo di fabbrica di consenso. Tutto questo avveniva alla vigilia del rinnovo della convenzione ventennale fra lo Stato e la Rai che scadeva il 15 dicembre del 1972. Compaiono così le prime tv locali private via cavo. La Mondadori, la Rusconi, l’Olivetti si lanciano nel settore e si interessano alla tv via cavo come mezzo di comunicazione di massa. Non a caso la prima televisione privata che nel 1971 riesce a trasmettere in Italia è proprio una televisione di questo tipo: Telebiella.
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Ma a mettere in pericolo il monopolio della Rai era la presenza in Italia dei ripetitori della Svizzera italiana e di Capodistria che consentivano la ricezione dei programmi di queste emittenti in diverse regioni del paese. Pronunciandosi in favore di una prima apertura ai privati in ambito locale la Corte aveva escluso il rischio delle concentrazioni per la limitatezza dei costi. Ma tale decisione arriva con l’avvento della tv via etere che comincia a interessare più della via cavo. Con le sue sentenze la Corte aveva certamente impresso un’accelerazione decisiva al processo di riforma, ma aveva anche determinato un vuoto legislativo suscettibile di essere colmato dall’intervento dell’iniziativa privata.
Fu così che nel settembre del 1974 entra in gioco la figura di Silvio Berlusconi con Telemilano via cavo.
Il Cavaliere fonda il gruppo Fininvest che nella prima metà degli anni ’80 diventa egemone nel panorama dell’industria televisiva nazionale, e che nei successivi 5 anni disporrà di tre network televisivi, un network radiofonico, oltre a notevoli partecipazioni nell’editoria, nel cinema, nell’industria televisiva europea e in alcuni giornali.
Il gruppo di Silvio Berlusconi partì da una propria emittente via etere, Telemilano, il nucleo di partenza di ciò che diventerà nel 1980 Canale 5, che trasmetteva attraverso cassette una medesima programmazione in undici regioni per mezzo di altrettante stazioni locali affiliate in network.
Ma è sul finire degli anni ’70 inizio anni ’80 che il gruppo di Berlusconi si sviluppa con altre società: Videoprogram (centro di produzione), Reteitalia (acquisto e distribuzione programmi), Publitalia (concessionaria di pubblicità).
Una delle svolte dell’ascesa berlusconiana nel campo televisiovo fu quando uscì vincitore dalla vicenda del Mundialito, dopo aver raggiunto un compormesso con la Rai. Fu il primo, clamoroso episodio di una concorrenza ormai evidente tra reti pubbliche e private scoppia nel mese di dicembre del 1980 riguardo di un torneo di calcio tra squadre nazionali in Uruguay. Berlusconi era riuscito a strappare i diritti per la trasmissione in Italia delle partite, dopo che l’Eurovisione non aveva raggiunto l’accordo con gli organizzatori.
Ma la Rai rifiutò a Reteitalia la concessione del satellite. La stessa decisione arriivò dal Ministero delle poste. Non fu facile la trattativa che arrivò all’accordo tra le parti. Da qui fare televisione diventava da quel momento un business come un altro, con le sue regole, i suoi obiettivi, le sue strategie. Un industria che doveva rispettare le regole del mercato. E soprattutto tenere conto dei profitti.
Negli primi anni ’80 l’imprenditore milanese continua ad allargare il proprio impero. Acquista infatti Italia 1 di Rusconi e Retequattro di Mondadori assicura il controllo delle maggiori reti private nazionali e ponendosi come “antagonista” della Rai.
D’altronde la guerra tra le due aziende si verificò a colpi di un episodio dopo l’altro delle serie televisive di maggior successo: “Uccelli di rovo” programmato su Canale 5 aveva avuto più spettatori di “Venti di guerra”. Berlusconi acquista a un prezzo favorevole la rete Mondadori, ormai in crisi, e salvando la stessa azienda. In cinque anni aveva costruito un sistema industriale della televisione da fare invidia in tutto il mondo. Intorno a lui si muovevano Fedele Confalonieri, consigliere strategico; il fratello Paolo, incaricato del settore immobiliare; Marcello Dell’Utri, presidente di Publitalia; Giancarlo Foscale; Carlo Bernasconi, amministratore di Rete Italia; Valerio Lazarov, presidente di Videotime. Inoltre Angelo Codignoni, per i rapporti con la Cee e Adriano Galliani.
Altrettanta importanza nella scalata del futuro Premier ebbe a proliferazione delle emittenti, con il suo flusso omogeneo e indifferente di messaggi e di informazioni, che cancellò l’elemento primario della sua capacità comunicativa: il genere. In Fininvest la diversificazione delle reti è attuata soprattutto in relazione alla richiesta del mercato pubblicitario, dove l’ascolto è solo l’indicatore di un potere di acquisto delle merci e non, come per la Rai, un rivelatore di successo e di prestigio.
Agli inizi del 1985 le reti di Berlusconi entrano a far parte della neonata Federazione radio e televisioni che raggruppa le televisioni e le radio locali e nazionali private. Si arrivò così al primo contratto collettivo di lavoro nel settore privato della radiotelevisione, che di fatto pose sullo stesso piano privato e pubblico.
Nel 1987 l’industria dei media è investita da un vento di novità. L’imprenditore milanese diventa proprietario del “Giornale”, firma un accordo con la società Telespazio di Raffaele Minicucci per l’utilizzazione di due canali dell’Intelsat, e per l’uso di una stazione mobile e la collocazione di 14 parabole nelle sedi regionali, mettendosi così in grado di trasmettere in diretta non appena la legge glielo consentirà.
Nel frattempo Gianni Letta diventa vicepresidente della Fininvest Comunicazione. Ed è in questo periodo che il Cavaliere rischia di perdere l’egemonia conquistata in un decennio. Il Governo, mentre si vive la ripresa della Rai che smuove le acque, partorisce la proposta della “opzione zero” (chi possiede quotidiani non può possedere tv e viceversa). Nel giugno del 1988 però il Consiglio dei ministri approva il testo del disegno di legge elaborato da Oscar Mammì (Ministro repubblicano delle poste) che abolisce la regola dell’opzione zero e conferma la norma antitrust (massimo tre reti televisive per ciascun operatore). Fininvest intanto aveva già eliminato tutti i competitori, utilizzando le possibilità lasciate da una legge concepita quasi a immagine e somiglianza di un duopolio perfettamente bilanciato. Da qui, infatti, anche la pay tv diventerà appannaggio del gruppo Fininvest con Telepiù, il nuovo network nato nel 1990.
In pratica negli anni ’90 il gruppo berlusconiano si presenta come una delle più grandi concentrazioni multimediali del mondo, seguendo il passo dell’americana Time-Warner, la tedesca Bertelsmann, la canadese Thomson e la francese Hachette.
Sono gli anni della famosa “discesa in campo” politico di Berlusconi. Il potere politico e imprenditoriale è in corsia di sorpasso su tutti. Neanche i referendum di giugno 1995 sulla riduzione delle reti concesse ad un privato e sulla diminuzione della pubblicità nei programmi televisivi (tre dedicati alla Fininvest, uno sull’apertura della Rai a capitali privati), che puntavano a ridimensionare il potere televisivo di Silvio Berlusconi, furono un fallitmento. D’altronde l’esito delle urne confermò la vittoria dell’imprenditore milanese, ormai a tutti gli effetti protagonista politico della vita nazionale.
Intanto, il gruppo aziendale capisce il bispogno di arricchire l’offerta analogica di Telepiù con quella in digitale, distribuita via satellite, e che in breve raggiunge un’ampia copertura comprendente Europa centrale e Mediterraneo. È una svolta importante per la televisione a pagamento in Italia ed è anche un duro colpo alle ambizioni del progetto Socrate e alle mire espansionistiche di Stream.
Nel 1993 fonda Mediaset nella quale nel ’96 confluirono le attività televisive della holding Fininvest. Con tutti i suoi canali la nuova azienda continuò a cambiare il mondo della televisione italiana, partecipando attivamente alla trasformazione della tv. Sia in senso positivo che negativo. Con programmi di un certo spessore culturale ma anche alimentando la cosiddetta tv spazzatura.
Di tutte le controversie berlusconiane, del rapporto con giornalisti, con direttori di programmi ecc. si potrebbe scrivere per giorni. Quello che rimane oggettivo è l’impulso che diede a quella che sopratutto grazie a lui divenne una vera e propria azienda. La televisione grazie alle sue intuizioni divenne un settore economico a parte. Il suo ingresso in questo mondo trasformò in gran parte la storia della radio e della televisione privata negli anni ottanta che assunse subito una precisa identità, legata alla conquista di una posizione di monopolizzante a livello commerciale che fu, però, inversamente proporzionale alla perdita di monopolio culturale e istituzionale del servizio pubblico.