“Silence”: Martin Scorsese e il peso del silenzio
È dai tempi della proiezione di “L’ultima tentazione di Cristo“, nel 1988, quando a Martin Scorsese fu regalata una copia di “Silenzio“, romanzo dell’autore giapponese Shusaku Endo, che il regista pensava di farci un film. Quasi trent’anni dopo, nel 2016, Scorsese riesce nella sua impresa e porta “Silence” sul grande schermo.
Un film, certo, impegnativo, non immediato, di forte tensione ideologica, doloroso e a tratti ossessivo
che nei suoi centosessanta minuti privi di colonna sonora mette davanti al silenzio di Dio e alle
possibili domande scaturite da esso.
Il film, che parte come una detection, ha luogo nell’ostile Giappone del XVII secolo, periodo in cui chiunque professava il cattolicesimo veniva torturato e ucciso. Due giovani gesuiti portoghesi, Padre Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Garupe (Adam Driver) si imbarcano per raggiungere questa terra con lo scopo di scoprire se il loro maestro spirituale Padre Ferreira (Liam Neeson), trasferitosi li come missionario qualche anno prima, abbia davvero abiurato per salvarsi la vita.
UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA FEDE, BUDDISMO E CRISTIANESIMO
Ben presto, questo viaggio diventa la ricerca stessa della natura della fede dei due giovani gesuiti, la quale porta a chiedersi quanto ci si possa spingere in là per difenderla e diffonderla. Il dilemma cruciale di tutto il film è appunto questo. Negare la divinità di Cristo e salvare tanti innocenti o perseverare nel professare il proprio credo, condannando al martirio non solo se stessi, ma tante persone semplici e confuse che cercano solo una speranza, un’immagine sacra da toccare e un qualcosa in cui credere?
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Il silenzio di Dio è assordante e i due gesuiti prendono strade diverse, mentre Padre Garupe in mezzo ad un clima di sofferenze tali da non poter essere più sopportate si “arrende”, Padre Rodrigues continua nel suo atto di fede in tutto e per tutto trasformandosi in un vero e proprio Cristo che sta vivendo la sua passione. La domanda sorge spontanea, il debole, ammesso che ce ne sia uno, chi è dei due?
Il prezzo della tua gloria è la loro sofferenza afferma Inoue, l’inquisitore giapponese. Ma arrivando alla scena più attesa del film, Padre Rodrigues e il suo tanto cercato mentore Ferreira si trovano, finalmente, faccia a faccia. Il maestro, ormai convertitosi al buddismo, lo mette di nuovo davanti a se stesso e non all’immagine cristologica che di sé si era creato. Questa è un palude, non può mettere radici il cristianesimo spiega Ferreira, affermando che c’è una componente materiale nella fede cristiana che un orientale buddista non sarà mai in grado di comprendere.
LA TRAGEDIA DELL’UOMO ARROGANTE
La soluzione optata da Scorsese potrebbe essere che la fede dovrebbe rimanere come confinata in una
dimensione privata, intima ed interiore. In fondo, i giapponesi che combattono i cristiani venuti
dall’Europa sono solo carnefici o stanno difendendo la propria identità culturale?
A primo impatto, i personaggi del film sembrerebbero così diversi dai gangster abituati a
vedere nei film di Scorsese, ma forse neanche poi così tanto.
“Silence” mette in scena una tragedia, quella dell’uomo arrogante, convinto di poter cambiare il mondo, convinto di essere al di sopra degli altri, ma non lo era forse anche Travis in “Taxy Driver”, determinato a ripulire la Grande Mela marcia degli anni settanta?
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