Sibilla Aleramo, vita fuori dagli schemi di un’autrice da riscoprire
“Io non domando fama, domando ascolto” scriveva Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta Rina (Alessandria 1876-Roma 1960), scrittrice, giornalista e poetessa italiana. Incastrata per anni nella narrazione che di lei hanno portato i suoi tanti amori – tra i più importanti la “furibonda storia d’amore” che l’ha legata all’autore Dino Campana – la figura di Sibilla Aleramo ha una storia e una coscienza anticipatrice che premono per essere riscoperte.
All’eta di trent’anni la poetessa si trova a Roma, capitale di cultura, in un’epoca in cui il dibattito sui diritti delle donne e l’emancipazione femminile erano già argomento politico, decidendo così di fare un dono alla letteratura e alle donne delle future generazioni. Dopo quattro anni di lavoro e tre stesure, il 3 novembre 1906 viene pubblicato il suo primo romanzo: “Una donna”, dettagliata autoanalisi di un rapporto di emancipazione.
Avvicinarsi alla lettura di questo romanzo a distanza di più di un secolo e già a sessant’anni dalla morte di Aleramo, resta un’esperienza particolare perché probabilmente molti degli stigmi sulle donne, che su di lei ricaddero in forma di giudizi e veti durante la sua carriera, non sono ancora del tutto superati. Sibilla sfidò i tempi e le convenzioni, e scrisse di sé e dell’essere donna in un modo in cui nessun libro di donne era ancora riuscito a fare ma soprattutto in un modo che resta assolutamente attuale.
Sibilla Aleramo è stata poetessa ed è stata scrittrice; ebbe una voce forte tanto quanto, e forse pure di più, di molti colleghi uomini eppure resta ancora trascurata e poco conosciuta ai più. Per fortuna, siamo ancora in grado di rileggerla e restituirle lo spazio che da millenni viene spesso sottratto alle donne.
Di seguito una poesia tratta da “Selva D’Amore” poesie 1912-1914” di Sibilla Aleramo
Fumo di sigarette
Fumo di sigarette.
Accenno di sorriso.
E di nuovo fumo,
spire leggere,
dalle mie labbra,
tutte le sere
qualche minuto,
dal suo balcone,
dalla mia finestra,
spire leggere,
sbocciar di sorriso,
e non sa la mia voce
e non so la sua,
solo,
traverso le spire di fumo
i suoi occhi mi piacciono,
gli piacciono i miei occhi,
tutte le sere
qualche minuto,
un saluto
di spire di fumo,
lievità graziosa di gesto,
silenzioso punto di fuoco
alto su l’addormentato
cortile,
e niente più,
così,
mentre presso la lampada
il lavoro attende,
qualche minuto
tutte le sere
per qualche sera,
spire leggere
spire leggere.