Shores Of Null: un viaggio introspettivo attraverso l’accettazione della morte
Lo scorso 27 novembre 2020, i romani Shores Of Null hanno rilasciato Beyond the Shores (On Death and Dying), il loro terzo album. Un lavoro che si compone di una sola lunghissima traccia nella quale si ripercorrono le cinque fasi dell’accettazione della morte. La band capitolina è ad oggi una dei massimi esponenti del death/doom metal italiano. Con uno stile vicino alle sonorità di Paradise Lost, My Dying Bride, Katatonia e Sentenced, questa nuova fatica consacra ufficialmente il quintetto tra le migliori realtà nostrane del genere.
Per l’occasione abbiamo avuto modo di fare qualche domanda al vocalist e leader Davide Straccione (già cantante degli degli Zippo). Di seguito l’intervista nella quale esploreremo più da vicino il lavoro che c’è stato dietro questo concept album. Buona lettura!
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Ciao Davide e benvenuto su The Walk Of Fame. Beyond the Shores (On Death and Dying) è forse il lavoro degli Shores Of Null più maturo e stilisticamente completo. Come è nata l’idea di creare una singola suite di 38 minuti?
Mi fa piacere che lo consideri il nostro lavoro più maturo e completo, perché in un certo senso la vedo allo stesso modo. L’idea di un unico brano di 38 minuti è nata in maniera molto particolare, quasi rocambolesca. Avevamo già un altro disco pronto ed eravamo entrati in studio per registrarlo. Le parti di batteria e basso erano state terminate quando, in una pausa dalle registrazioni, abbiamo sentito la necessità di scrivere qualcosa di più sperimentale.
Perché, ti chiederai. Il motivo principale è che stavamo da tempo vivendo un rapporto particolarmente difficile con la nostra precedente etichetta (Candlelight/Spinefarm) . Contrattualmente ci spettava ancora un disco con loro. Ma eravamo molto insoddisfatti del lavoro di promozione (non) svolto sul nostro precedente Black Drapes For Tomorrow, per cui non volevamo affidare a loro le stampe del nuovo album, sul quale avevamo già investito troppo tempo e denaro. In un momento di pura follia ci siamo detti “scriviamo una sola traccia lunghissima, ai limiti del drone, monolitica e diversa da ciò che facciamo di solito, e vediamo se vogliono pubblicarla lo stesso”. Doveva essere un pezzo quasi di serie B, e invece col passare del tempo è diventata la traccia che puoi ascoltare, frutto di un songwriting d’urgenza, spontaneo e disperato. L’unico paletto che ci eravamo dati era quello di una maggiore lentezza rispetto al solito.
Il brano, strumentalmente parlando, è nato in 4 o 5 pomeriggi spalmati nell’arco di poche settimane. Per una serie di motivi, poi, siamo riusciti a svincolarci completamente dalla vecchia etichetta, trovandoci a questo punto con ben due dischi in mano. Per coronare un anno già di per sé infausto e privo di concerti dal vivo, abbiamo deciso di dare priorità a Beyond The Shores e di tenere l’altro disco al caldo, sebbene composto prima a livello temporale.
La scelta di una sola lunga traccia è stata sicuramente ambiziosa, poiché si rischia di scadere nella ripetitività e di offrire un prodotto noioso e prolisso. Possiamo dire che si è trattato una scommessa con voi stessi o sapevate fin da subito che l’album avrebbe funzionato?
Come ti dicevo, il tutto è nato in circostanze molto particolari e non abbiamo avuto il tempo materiale per fare previsioni. Abbiamo sentito l’urgenza di far uscire questo disco come primo perché lo sentivamo più attuale che mai. Sicuramente una scommessa con noi stessi, ma col senno di poi una scommessa vinta.
L’album è un concept ispirato allo scritto On Death and Dying della psichiatra svizzero-americana Elisabeth Kübler-Ross, in cui vengono formulati i cinque stadi del lutto. Un tema piuttosto delicato ed introspettivo. Come mai questa scelta?
Prima che il modello Kübler-Ross venisse esteso al lutto di coloro che hanno perso qualcuno, il libro in questione, così come gli studi stessi della psichiatra, si concentrava sulle fasi che attraversano i malati terminali, dalla diagnosi della malattia alla morte. È proprio questo il punto di vista narrativo di Beyond The Shores (On Death And Dying), quello coraggioso di chi la morte l’affronta in prima persona, sapendo di doverla accoglierla molto presto.
La paura della morte è un concetto assai radicato nella cultura occidentale. In fondo essa altro non è che la fine del ciclo della vita stessa e in quanto tale non dovrebbe sconvolgerci più di tanto. Eppure non è così. Essa turba sia noi stessi sia coloro che ci sono vicini, perché nulla ci prepara davvero ad affrontarla. Con questa scelta abbiamo voluto dare voce proprio a tale paura ma da una prospettiva forse poco esplorata: quella del paziente, della persona in punto di morte, del proprio lutto. Quindi mi sono basato sugli studi della Kübler-Ross e le sue interviste ai malati terminali raccolte poi in questo libro seminale. Uno scritto sulla morte che in realtà è una grandissima lezione per i vivi.
Quali sono le differenze nel processo di songwriting tra il lavoro fatto con gli Shores Of Null e quello con gli Zippo?
Con gli Zippo la composizione nasceva prettamente in sala prove: qualcuno arrivava con un riff o un’idea e da lì si jammava fino ad avere il pezzo finito. Io, pur non suonando, ero spesso presente mentre questa magia accadeva. Non mi risulta che un brano degli Zippo sia mai giunto in sala fatto e finito. Ovviamente questo era un processo piuttosto lungo per alcune tracce, soprattutto a seconda della frequenza con cui ci vedevamo per provare.
Con gli Shores Of Null è l’esatto opposto, sin dall’inizio. Siamo più una band da “smart working”, passami il termine. Gabriele e Raffaele, i due chitarristi, compongono sempre in remoto registrando dei demo a casa, poi li ascoltiamo tutti con attenzione ed infine li arrangiamo insieme in un secondo momento. Dal mio punto di vista, quello del cantante, in entrambi i casi le cose funzionano pressappoco allo stesso modo: inizio seriamente a lavorare alla voce solo a brano finito, e poi mi dedico ai testi dopo aver steso una prima bozza di linea vocale. Quasi mai ho scritto un testo prima della linea vocale.
Durante l’ascolto si sente molto l’influenza di varie band del panorama death/doom, come My Dying Bride, Paradise Lost e Sentenced. Ci sono dei gruppi a cui siete particolarmente legati?
Le band che hai citato sono tra le mie influenze principali e sono molto apprezzate anche all’interno della band. Questo disco in particolare si rifà al death doom e al gothic doom degli anni ’90. Non ho problemi ad ammetterlo, ma credo che al di là di tutto, sebbene questa influenza sia più marcata nel nuovo lavoro, il marchio di fabbrica degli Shores Of Null sia comunque presente.
Nel disco sono presenti diversi ospiti importanti, tra cui Mikko Kotamäki (Swallow The Sun), Thomas A.G. Jensen (Saturnus), Elisabetta Marchetti (Inno) e Marco Mastrobuono (Hour of Penance). Come è nata questa grande collaborazione?
Fin da subito ci sembrava chiaro che un disco così ambizioso necessitasse di un approccio più corale; un lavoro di squadra nel vero senso della parola. Man mano che ascoltavamo il brano sentivamo il bisogno di avere ospiti esterni per fornire la giusta dose di varietà, oltre che un carattere più personale. Non nascondo che ascoltando determinati riff abbiamo pensato che fossero cuciti apposta per Mikko o Thomas, perché sia Swallow The Sun che Saturnus sono due grosse influenze per noi. E così abbiamo fatto la cosa più naturale da fare, ossia chiedergli di prendere parte al disco, e loro hanno accettato senza esitare.
Marco Mastrobuono è il nostro produttore sin dal primo album Quiescence ed un amico da molto prima. Oltre ad aver prodotto, registrato e missato ogni nostro lavoro, questa volta ha inciso anche le linee di basso, precedentemente composte da Matteo il quale però è tornato in Olanda dove attualmente vive. Questa ci è sembrata la soluzione più pratica. Elisabetta, oltre ad essere la cantante degli Inno, è anche la moglie di Marco. Lui sapeva che stavamo cercando una voce femminile per un paio di punti cruciali del disco. Ovviamente Il suo consiglio è stato accolto a braccia aperte e non posso che esserne felice. Il mio duetto con Elisabetta è, a detta di tutti, tra i punti più alti dell’intero lavoro.
Farete un tour promozionale quando sarà possibile oppure vi muoverete diversamente per sponsorizzare l’album?
Tra le nostre volontà c’è quella di portare questo album dal vivo non appena sarà possibile. Speriamo ciò avvenga in tempi piuttosto brevi, poiché abbiamo diversi festival confermati per l’estate 2021 e non vorremmo dovervi rinunciare. Per il resto cerchiamo di essere presenti sui nostri social, in particolar modo Facebook e Instagram. In più abbiamo da poco pubblicato un video dell’intero brano, che ovviamente vi invito a guardare.