Se Stranger Things strizza l’occhio a Stephen King
A un anno dalla conclusione della terza stagione, ho ripreso in mano Stranger Things per rilanciarmi in un’appassionante maratona in vista della quarta stagione. Ho sempre ritenuto ingiuste le critiche di chi ha affermato che non tenga il passo delle precedenti e che, inoltre, sia anche sottotono rispetto a esse. Negli otto episodi che la compongono l’evoluzione della storia, dei personaggi e delle vicende che ruotano loro attorno è straordinariamente rappresentata, esattamente come accaduto nella seconda rispetto alla prima.
E’ un’inevitabile e bellissima conseguenza chiamata, appunto, evoluzione. Stesso dicasi per la quarta stagione, bellissima e con una nuova infinità di spunti e citazioni, tale da essere guardata tutta d’un fiato e con un climax ascendente di grandissimo impatto sullo spettatore. Ma è qui che il “piatto” e “scontato” citato da qualcuno fa acqua ed è fuori contesto, per usare un’espressione pulita. Cosa si aspettavano, un copia incolla infinito e una minestra riscaldata in eterno?
E’ una sceneggiatura completa, quella di Stranger Things, che in più passaggi ricorda da vicino alcune opere di Stephen King: i bambini e la loro lotta contro il male, il profondo senso di amicizia, il legame di amore-odio con la propria realtà di provincia, il sentimento cristallino e puro ostacolato da vicissitudini che, però, non potranno mai realmente scalfirlo e che verrà ricordato per tutta la vita.
E poi, ancora, il passaggio all’età adolescenziale, la difficoltà nel lasciarsi alle spalle quella “infantile” nella quale ci si costruisce un mondo, si crede nei sogni e si spera nel fatto che questi possano avverarsi. Il sapore agrodolce di pagine di vita che stanno per chiudere e altre che, invece, stanno per aprirsi. Il dramma interiore di vedersi crescere, di capire di stare diventando adulti e maturi e che, quindi, nulla sarà più come prima.
La consapevolezza che un capitolo della propria vita, quello più genuino, più dolce, più bello, più innocente è ormai alle spalle.
E, per andare ancora più sul popolare, non si può non apprezzare la caratterizzazione dei personaggi, più vicini a un Los(V)ers Club di qualsiasi altro tentativo mai portato sul grande schermo. Il ricordo di un’estate di “Stand By Me“, i demoni interiori di It, le memorie del luna park di Joyland.
C’è molto, in effetti, di King in questa meravigliosa serie che non ti stancheresti mai di guardare e che vorresti non finisse mai. In un connubio di citazioni, dai The Clash alla Storia Infinita, dalla Guerra dei Mondi a Guerre Stellari, da inquadrature alla Jurassic Park alle citazioni di Nightmare, a Il Silenzio degli Innocenti e a Terminator, e da sottofondi musicali devoti al verbo dell’horror-fantasy anni ’80, la verità è che Stranger Things dei fratelli Duffer ha più personalità di quanto si voglia far credere o di quanto qualcuno voglia credere.
Resta da attendere solo la chiusura quarta stagione, la penultima. Ci sarà ancora un’evoluzione, ci deve essere. Perché al centro della trama della serie c’è la vita di un gruppo di bambini che, però, diventano adolescenti. E allora l’inevitabile passo sarà quello di scoprire quale strada avranno preso le loro vite. Con buona pace dei detrattori e di coloro che amano la minestre riscaldate.