“Scopate sentimentali” di Filippo Timi è un viaggio visionario dedicato a Pier Paolo Pasolini
Potrebbe disorientare, in un primo momento, ma segue un quadro logico e narrativo ben preciso, nascondendo – ma neanche troppo – un amore, quasi viscerale, che potrebbe innescare addirittura nello spettatore un sentimento simile alla paura. Parliamo di “Scopate sentimentali. Esercizi di sparizione“, spettacolo scritto da Filippo Timi nel 2022 in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e andato in scena sul palco del Teatro Massimo di Pescara lo scorso 17 febbraio (Patagonia Group).
L’attore, accompagnato da Rodrigo d’Erasmo (violino e chitarra) e dallo sperimentatore Mario Conte (real time electronics e sintetizzatore), declina in dodici quadri (Il giudizio, 05:03:22, Il verme, Scopate sentimentali, Le caviglie secche delle madri, La sproporzione del sacrificio, Il ciglio del santo, La destinazione, Madre, Roma, Dove cadi fiorisci, Il collasso) il Daimon di Pasolini, quell’insieme di vocazione, irripetibilità e carattere che il poeta non poté non assecondare nel corso della sua breve vita, quello stesso Daimon che fu causa probabilmente della sua prematura scomparsa.
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Quattro stagioni, dove l’inverno è sostituito dall’inferno, e che insieme costituiscono un’evoluzione dei “Comizi d’amore” dello scrittore bolognese. “Pasolini muore quando viene messo al mondo…”, esordisce così Timi sul palco. Sì, perché sarà proprio la sua anima mai rinnegata a decretarne il tragico epilogo, in quella notte di novembre del 1975, per mano di un retaggio culturale, incapace di accettare la libertà di un uomo.
La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile. Alberto Moravia
Parole e silenzi, musiche e luci, espressione di una ineguagliabile abilità interpretativa e passionale di Timi, compongono gli episodi dello spettacolo a partire proprio dal giudizio della gente, venuta a sapere della sua morte, e dal corpo di Pasolini, steso esanime sulla spiaggia di Ostia.
Il viaggio, in un certo qual modo a ritroso, catartico e visionario, dà spazio poi ad un verme che attacca il corpo di Pasolini, in una scena tanto splatter quanto evocativa. E poi ancora, frammenti sul rapporto con il padre, definito “muro di cemento armato” e con la madre “insostituibile”, prima di uscire dalle mura domestiche e conoscere il mondo e la sua sessualità. Tutto è condiviso con suoni, sonorità – a tratti disturbanti – di musica elettronica, house e note di violino, che ben si inseriscono nelle scene. Anzi, spesso ne sono proprio le protagoniste.
Filippo Timi dedica così lo spettacolo al Poeta, a colui che ha definito “il suo padre intellettuale”. Si tratta quasi di una richiesta di perdono. “Raccontando Pasolini e la sua fine, io collasso nella mia storia individuale. Evocando il rapporto di lui con la mamma parlo di me con mia madre, del suo sguardo materno sul mondo e su di me. La rappresentazione di tutti i miei punti di vista è opera sua, dei suoi occhi, dei suoi sorrisi“, spiegava l’attore in un’intervista a Repubblica.
La musica continua, poi, ad essere protagonista decretando un finale quasi aulico sulle note di “Grande” degli Afterhours (da Folfiri o Folfox), accompagnate dal violino, inconfondibile, di D’Erasmo che va a chiudere uno spettacolo breve ma intenso.
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