Sanremo 2021: un’occasione di autenticitá sprecata
Il potere delle parole é incredibile. Ci sono relazioni, religioni, mestieri interamente fondati sul potere delle stesse che, se efficaci, vengono tramandate attraverso i millenni a venire. Pochi giorni fa, ad esempio, abbiamo scritto delle Idi di Marzo del 44 a.C., giorno in cui Giulio Cesare venne ucciso fuori il Senato di Roma da un un gruppo di congiurati guidati dal figliastro Bruto e da Cassio. Quegli eventi segnarono un punto di svolta nell’antica Repubblica e se possiamo discuterne è proprio perché di ciò ne è rimasto traccia su carta.
Ma le parole possono anche essere pericolose. A volte capita che cancellino la memoria storica, invece di scriverla. E così capita che spostino il calendario indietro di quarant’anni.
“I diritti che avete oggi noi li abbiamo conquistati con le unghie e con i denti. Voi dovete difenderli, ma con il sorriso”.
Le parole di Barbara Palombelli a Sanremo, ad esempio, per molti hanno messo in discussione decenni di lotte sociali per i diritti femminili. I più critici le hanno addirittura definiti “subdole e sottili”, perché fondamentalmente la Palombelli ha ragione: non siamo noi giovani donne millennial ad aver lottato per il diritto di voto o per il diritto di esporre l’ombelico. Noi che in estate giriamo in minigonna, guidiamo la macchina, siamo ingegnere, avvocate, direttrici. E’ semplice, per noi, scegliere un percorso che fino a qualche decennio fa era riservato quasi esclusivamente agli uomini.
Eppure, nonostante di fatto esista la parità dei sessi più di quanto non esistesse quarant’anni fa, viene il dubbio che il messaggio della Palombelli sia passato in modo superficiale ed impreciso – come il cinquanta per cento di quelli lanciati da un festival che ha lo scopo di intrattenere e non certo di informare. Ed é giusto così. La superficialità e la leggerezza sono ingredienti fondamentali in un evento che, soprattutto quest’anno, doveva portare un po’ di frivola allegria nelle case delle persone.
Però, “difendete i diritti con il sorriso”, no. I diritti vengono difesi con il sorriso da chi non ha bisogno di difendere i diritti. Dal momento in cui ci si trova in una relazione abusiva o si subisce discriminazione sul posto di lavoro, una schiena dritta e un sorriso luminoso non risolvono nulla. Questo vale per donne, uomini, alieni, e tutto ciò che esiste e respira. Per questo un Achille Lauro truccato e infiocchettato da Gucci, che bacia il chitarrista (scena già stravista, tra l’altro), non funziona: quale sarebbe il messaggio da recepire? Siamo nel 2021, e dovremmo esultare per il fatto che un maschio eterosessuale costruito faccia vedere – per contratto – quanto “finalmente” il gender fluid sia socialmente accettato a Sanremo e quanto gli haters siano brutti e cattivi?
Credevamo che Freddie Mercury ed Elton John avessero affrontato non pochi problemi a causa della propria omosessualità. Credevamo che le lotte di genere fossero già state portate avanti da David Bowie e che l’androgenismo e la parità dei sessi potessero contare su testimonial più autentici e veri: magari Annie Lennox, Loredana Bertè, Gianna Nannini. Giusto per citarne alcuni, a memoria. Invece, vediamo un Achille Lauro bardato a festa che difende anni di lotte sociali “con il sorriso”.
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Sanremo non deve fermarsi alla musica: il festival di Sanremo é uno show. Unisce l’Italia, fa ridere, regala a nonni e nipoti un argomento comune. A Sanremo succedono tante cose che fanno discutere senza bisogno di lanciare messaggi costruiti male, sentiti mille volte. I diritti non si difendono recitando un discorso insipido davanti a una platea vuota, né presentando uno show impettito. I diritti si difendono con la naturalezza e la spontaneità.
In questo festival il “machissimo” e impacciatissimo Zlatan Ibrahimovich ha cantato “Io vagabondo” dei Nomadi con un mazzo di fiori in mano, una rock band con una ragazza al basso ha aspettato la comunicazione della vittoria abbracciata ai rivali più diretti, Orietta Berti ha dimostrato che una voce potente e una personalità gentile non declinano con l’età. Lo Stato Sociale, in tre serate, ha dato spunti di riflessione su cui si potrebbe parlare per mesi: dall’importanza della leggerezza alla denuncia dei problemi che stanno affrontando I lavoratori dello spettacolo. Gli Extraliscio con Davide Toffolo hanno portato sul palco dell’Ariston il liscio amalgamato ai manifesti adolescenziali. Marcella Bella, Loredana Bertè, Fausto Leali, Ornella Vanoni e Gigliola Cinquetti hanno ricordato quanto sia spessa e rilevante la storia della musica italiana.
Pochissimi spettatori si sono fermati a pensare al fatto che salire sul palco di Sanremo, per qualsiasi artista, sia stato un regalo inestimabile in questo periodo. Molto altro, però, ci sarebbe stato da dire; abbiamo veramente bisogno di discorsi precostruiti e di showman senza un minimo di memoria storica? Non sarebbe stato meglio togliere cinque minuti di Achille Lauro e aggiungerne cinque di Stefano d’Orazio, giusto per ribadire che autenticità e ribellione non sono nate l’altro ieri (Brennero 66, dei Pooh, fu censurata proprio al festival di Sanremo per i suoi contenuti crudi e poco diplomatici)? Era così difficile valorizzare l’autenticità? C’era davvero bisogno di discorsi vuoti su un vago femminismo, quando bastava guardarsi un Manuel Agnelli in gonna che flirtava con Damiano dei Maneskin o una Madame vestita da maestro di scuola elementare?
No, non ce n’era bisogno. Questo Sanremo poteva fare di meglio, se solo fosse stato un più focalizzato su sostanza e concretezza. Invece, quello che rimane é un sipario che si chiude di fronte ad una platea vuota.
Di Marta Scamozzi