Salvador Dalì, scultore ed esteta, in mostra al Palazzo delle Papesse a Siena
Due tra i più grandi geni dell’umanità, dell’arte e della scienza, in un continuum spazio – temporale che trova sede in questi giorni nel Palazzo delle Papesse a Siena, nel cuore della storica città toscana. Parliamo di Salvador Dalì e Galileo Galilei, co- protagonisti della mostra “Dalì a Siena – da Galileo Galilei al Surrealismo”, inaugurata il 19 settembre 2020 con la riapertura di Palazzo Piccolomini e organizzata da The Dalí Universe, con il patrocinio del Comune di Siena, della Banca d’Italia e dell’Osservatorio Astronomico dell’Università di Siena.
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Nelle oltre 100 opere esposte del maestro indiscusso del Surrealismo è possibile percepire le più grandi scoperte del suo tempo. Concetti complessi vengono espressi in semplici immagini, surreali ed estremamente evocative come gli orologi molli che rappresentano il Tempo e la sua relatività oppure i cassetti, simbolo dell’inconscio, dove l’uomo nasconde i desideri più intimi, le passioni, le paure e le esperienze che spesso dimentica di avere e a cui è possibile avere accesso tramite un percorso di introspezione.
E ancora la lumaca, che occupa una posizione importante nell’universo Daliniano in quanto viene considerata un oggetto contraddittorio e razionale poiché conserva in sé due qualità opposte: il guscio duro e l’interno molle. Connessa alle teorie psicoanalitiche di Freud, la lumaca divenne particolarmente significativa dopo l’incontro che l’artista ebbe con lui nella sua casa a Londra.
L’elefante, invece, che compare in uno dei dipinti più famosi di Dalì del 1946, “La tentazione di Sant’Antonio”, viene raffigurato con lunghissime zampe di insetto, quasi invisibili e di solito portano sulla schiena il peso di enormi obelischi o imponenti strutture architettoniche come templi o torri. Ma significati reconditi li hanno anche le formiche, le uova, le stampelle e gli angeli.
Tra le stanze del Palazzo delle Papesse è possibile percepire il forte interesse di Salvador Dalì per la letteratura, per la matematica, oltre che per la fisica e la psicoanalisi. Un artista poliedrico che ha utilizzato ogni mezzo espressivo per dare sfogo alla sua creatività: non solo dipinti, ma anche sculture, arredi, scenografie o illustrazioni come quella commissionatagli nel 1968 di “Alice nel paese delle meraviglie”, libro in apparenza per bambini ma che cela in realtà una critica alla società vittoriana e presenta numerosi riferimenti matematici, indovinelli ed enigmi. Per Dalì Alice è l’eterna bambina, un’eroina che compie un viaggio nel suo inconscio e al suo risveglio si riscopre più matura e consapevole.
Dalì, scultore e raffinato esteta, ma anche appassionato di scienza e delle teorie di Galileo Galilei, che influenzarono Einstein e Newton. Lì, tra quelle stanze, il padre della scienza moderna fu ospitato dall’Arcivescovo Ascanio II Piccolomini, dopo la condanna del Santo Uffizio, dal 9 luglio al 15 dicembre 1633 e proprio nel palazzo storico, voluto dalle sorelle di Papa Pio II, poté proseguire i suoi studi di meccanica. Nei suoi trattati fu il primo a intuire che lo spazio e il tempo non sono riferimenti assoluti e per questo è da ritenersi il primo scienziato a introdurre e spiegare il concetto di relatività.
Salvador Dalì ha utilizzato spesso le scienze, e in particolare la matematica, come valido supporto tecnico per la creazione delle sue opere ma anche come eccezionale impulso creativo. L’artista catalano ammirava profondamente i grandi scienziati tanto da dedicare una scultura in bronzo proprio ad Isaac Newton. Lo raffigura privo di sembianze umane, svuotato nella testa e nell’addome e mantiene con un braccio steso un pendolo, simbolo della sua scoperta più importante: la legge di gravitazione universale. Newton, nell’opera di Dalì, perde ogni caratteristica fisionomica lasciando il pendolo come unico elemento per cui possiamo riconoscerlo.
Accanto a questa scultura sono esposte anche cinque particolari opere grafiche: le anamorfosi. Dalì era affascinato moltissimo dalle illusioni ottiche come quelle derivanti dall’anamorfismo, per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto rendendo il soggetto originale riconoscibile solo se viene osservato secondo condizioni definite, come ad esempio un preciso punto di vista o attraverso l’uso di strumenti deformanti come uno specchio ricurvo. A fronte di questo forte interesse e attraverso anche l’ausilio di calcoli matematici, l’artista sviluppava opere in cui rendeva visibile ciò che ad un primo sguardo risultava invisibile. Ecco che un giglio si trasforma in un fallo o un grande insetto prende le sembianze di un Dalì – Arlecchino.
“Dalì a Siena – da Galileo Galilei al Surrealismo” rappresenta, quindi, un incontro con la storia, quella raccontata dalle mura del Palazzo delle Papesse, che hanno osservato gli studi di Galileo Galilei e quella raccontata dalle opere di un Salvador Dalì scultore, in un ruolo meno conosciuto al grande pubblico. In un evidente omaggio allo scienziato pisano, la mostra approfondisce quindi il rapporto stretto e denso che Dalì ebbe con la scienza, nello specifico la Fisica del ‘900, le cui scoperte hanno modificato la percezione della vita stessa, colpendo l’immaginario onirico dell’artista, tanto da stimolare la sua creatività e dare vita a capolavori senza spazio e senza tempo.
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Foto in evidenza Roger Higgins, 1965