“Roma città aperta”: un grido per (ri)nascere
“Finirà, Pina, finirà. E tornerà la primavera e sarà più bella delle altre, perché saremo liberi.“
In un periodo storico in cui la parola “antifascismo” crea molto scompiglio, il 25 aprile assume un valore sempre più importante. Celebriamo la Festa della Liberazione con un film divenuto simbolo della Resistenza italiana e del cinema neorealista: “Roma città aperta” di Roberto Rossellini.
Un film “in presa diretta“
Nel giugno 1944, Roma era già stata liberata dai nazifascisti, mentre buona parte del Paese avrebbe dovuto aspettare ancora mesi per l’agognata libertà: mentre Roberto Rossellini girava il suo film per le strade della Capitale, mezza Italia era ancora in guerra.
La prima nazionale di “Roma città aperta” si tenne il 24 settembre 1945: si tratta dunque di un film quasi in presa diretta, come una sorta di docu-fiction sulla Resistenza italiana. Nasceva così il Neorealismo: in questo modo il cinema italiano divenne improvvisamente il più moderno al mondo, raccontando la Storia attuale.
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Un film del popolo
Il realismo del film non si deve solo al limpido racconto della lotta partigiana e dello sfinimento dovuto alla guerra, o alle lunghe pause in cui il racconto passa in secondo piano. La storia narrata da Rossellini si ispirava a due figure realmente esistite e ben note al popolo romano: Don Giuseppe Morosini, giovane sacerdote partigiano fucilato dai nazisti (Don Pietro Pellegrini nel film) e Teresa Gullace, partigiana uccisa davanti alla Caserma Giulio Cesare mentre tentava di parlare al marito appena arrestato (Pina).
Rossellini riuscì a creare un film collettivo: il vero protagonista di “Roma città aperta” è il popolo romano. Le riprese avvennero quasi totalmente per strada: il regista raggirò la censura dei soldati che occupavano la città, fingendo di girare un documentario. Nel cast unì attori professionisti, Anna Magnani e Aldo Fabrizi – noti soprattutto per ruoli comici -, a non professionisti, non tutti consapevoli di prender parte al capolavoro che sarebbe diventato “Roma città aperta“.
Il film venne girato con mezzi di fortuna, su pellicola avanzata e scaduta: il ritrovamento del negativo originale (i frammenti nella macchina da presa di Rossellini del 1944) ha svelato frequenti cambiamenti nella marca della pellicola e evidenti differenze tra campo e controcampo. Inoltre leggenda vuole che il regista abbia usufruito di un allaccio abusivo alla rete elettrica del commando americano.
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“Roma città aperta” fu scritto secondo lo spirito unitario della Resistenza italiana: l’obiettivo era mettere in luce l’unione e la compattezza nella lotta antifascista e antinazista, al di là delle differenze ideologiche. Anzi il film sottolinea il carattere di liberazione dagli occupanti tedeschi: la lotta contro lo straniero, contro il nemico occupante diventa una lotta di liberazione nazionale, con sentimento patriottico, contro i nazisti e contro i loro rappresentanti in Italia.
I protagonisti del film sono infatti molto simbolici: un sacerdote (Don Pietro Pellegrini), una donna (Pina) e un comunista (Giorgio Manfredi). La rivoluzione non è una lotta d’élite, bensì una lotta per la libertà del popolo romano e dell’Italia tutta.
La trama
Dopo l’armistizio di Cassibile, gli Alleati stanno per arrivare a Roma, dove la Resistenza è già attiva. Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero), militante comunista e uomo di spicco nella lotta partigiana, riesce a sfuggire a una retata della polizia e si nasconde da Francesco (Francesco Grandjacquet), un tipografo antifascista che il giorno dopo dovrebbe sposare Pina (Anna Magnani), una donna vedova, già madre di un figlio di circa dieci anni, Marcello.
Ad aiutare i giovani della Resistenza c’è Don Pietro (Aldo Fabrizi), che sostiene i partigiani facendo da staffetta e protegge come può i perseguitati politici. Il sacerdote è benvoluto e rispettato da tutti, anche da Manfredi che, seppur ateo, preferisce essere sposato da lui “che almeno è uno dei loro” che dai funzionari tedeschi.
Ma la mattina del matrimonio, Francesco viene arrestato dalla Gestapo e fatto salire su un camion per essere portato via: in quel momento Pina non resiste al dolore e corre disperatamente verso di lui per dimostrare la sua protesta, rimanendo uccisa dagli spari delle guardie, proprio davanti agli occhi del figlio e del parroco.
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Francesco riesce a scappare e nascondersi insieme all’amico Manfredi a casa della sua ex Marina (Maria Michi) che però li denuncia a una guardia della Gestapo, Ingrid (Giovanna Galletti), in cambio di una dose di droga e di una pelliccia. I deboli traditori sono dunque donne o persone che aspirano all’ascesa sociale con valori non condivisi dal popolo.
Giorgio Manfredi e Don Pietro vengono arrestati e sottoposti a interrogatori dai soldati tedeschi per ottenere sulla giunta partigiana, ma entrambi si rifiutano di tradire i combattenti. Manfredi morirà in seguito alle torture mentre il sacerdote sarà fucilato davanti agli occhi dei “suoi” bambini prima di far ritorno, mesti, di fronte al panorama di Roma illuminata dall’alba.
Un simbolo di Resistenza
Di seguito riportiamo il video della scena più famosa di “Roma città aperta“, presto divenuta simbolo della lotta partigiana per la liberazione dell’Italia. Perché quello della Magnani è un urlo così disperato e potente da rimanere impresso nella memoria. Un grido di morte, ma che unito a quello del piccolo Marcello, rimanda alle grida del parto: con il sacrificio e la lotta, Pina e tutti i partigiani hanno dato vita ad una nuova Italia, libera e antifascista.