Sanremo 2025, Rockin’1000 apre le porte del teatro Ariston a Jovanotti
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Batterie e percussioni per le strade, al porto, al forte Santa Tecla, sui balconi delle abitazioni: Jovanotti ha trasformato l’Ariston in un’arena rock, accompagnato dalla potenza collettiva di Rockin’1000, in una selezione ridotta formata da basso e batteria. Un evento che prometteva di essere “spettacolare” e che ha mantenuto le aspettative, regalando un momento di musica totale, collettiva.
Jovanotti ha proposto un medley che ha infiammato il pubblico, entrando all’Ariston sulle note “dell’Ombelico del mondo” per poi virare sul “più grande spettacolo dopo il Big Bang” e infine alcuni brani dal suo album “Il Corpo Umano Vol. 1”. Bassi e batterie sono rimaste fuori a suonare all’unisono con il palco all’interno. Poi, un momento più intimo con “A te”.
Sul palco con Jovanotti anche Gimbo Tamberi (che ha annunciato di voler tornare in pedana a Los Angeles 2028), Dardust.
“Sarà una sorpresa legata alla musica”, aveva anticipato il cantautore toscano qualche giorno prima dello show. E la sorpresa è arrivata: un’esecuzione corale, coinvolgente, in cui ogni musicista ha dato il proprio contributo.
Il momento clou? Un crescendo di suoni, luci e voci che ha reso la performance un inno alla musica suonata, vissuta, condivisa. Un’idea ambiziosa, costruita giorno dopo giorno, che ha visto Jova nel ruolo di direttore d’orchestra di una vera e propria onda musicale. In realtà, a dirigere l’orchestra rock è stato Daniel Plentz, maestro brasiliano, punto di riferimento di Rockin’1000 alla pari dello stage manager Alessio Martino che peraltro ha lavorato tantissimo con Cherubini.
Rockin’1000, nato come un’utopia sonora, si è confermato ancora una volta un fenomeno senza precedenti, capace di unire centinaia di musicisti in un unico, potente battito collettivo. Un concerto dentro il concerto, un’esperienza che ha riscritto le regole dello spettacolo sanremese. Jovanotti non delude mai. E questa volta, ha fatto ancora di più: ha portato sul palco una visione. E l’ha fatta esplodere in musica. “Sanremo, in questi giorni, è surreale”, racconta Andrea Martinelli, uno dei batteristi coinvolti. “Le emittenti sono ovunque, capita di incrociare artisti e volti noti a ogni angolo. L’aria è carica di entusiasmo. Abbiamo vissuto un’esperienza bellissima”.
Azzeccata la scelta di aprire il Festival con i suoni e le parole di Ezio Bosso: “Ricordatevi che la musica come la vita si può fare in un solo modo: insieme”. Più avanti, Mira Awad e Noa hanno intonato una versione stravolta di Imagine di John Lennon, un messaggio di pace e solidarietà: Mira palestinese, Noa israeliana. In sala stampa, nel presentare il duetto, il discorso è caduto sulla inevitabilmente sulla crisi in Medio Oriente.
“Mio padre nel ’48 ha lasciato la sua terra”, ha spiegato la prima, “la mia famiglia è stata salvata due volte: la prima non ha attraversato il confine, è riuscita a tornare indietro e ha trovato la casa ancora in piedi. Siamo fortunati perché non siamo finiti nei campi profughi”, racconta la cantante e attivista, che vive a Londra. “La situazione a Gaza è inaccettabile: ci sono persone che pensano di poter sparpagliare altre persone. In quella striscia di mare possiamo vivere tutti, ma in pace, non importa se siamo cattolici, ebrei, musulmani”. Mira Awad non pensa che “una canzone, un album o un concerto possano salvare il mondo, né possono guarire le ferite, ma le persone possono farlo. E la musica può umanizzare la gente, perché va dritta al cuore e apre una piccola finestra”.
Awad punta il dito contro “la mancanza di sfumature nella narrazione del conflitto” e sul ruolo del presidente Usa Trump, “che sa sfruttare la polarizzazione delle idee. Non siamo l’unico conflitto, non siamo il più lungo, il più antico, ma quello perfetto per far diventare virali i post”. di produzione.
Noa viene da “una famiglia di origini yemenite: sembro più araba di Mira. Sono una cittadina israeliana, ebrea, ho avuto un figlio che ha servito nell’esercito, mia figlia attualmente è nell’esercito, e spero che non sia necessario che mio figlio più piccolo entri nell’esercito. Ma c’è una legge. E occorre difendere il nostro paese a meno che non troviamo una soluzione pacifica. Credo sia giusto farlo ma ancora più giusto sarebbe non avere un esercito. Non è un momento facile, non auguro a nessuno di avere un figlio nell’esercito. Il mio desiderio è che si possa vivere senza violenza”. Per cambiare le cose, “bisogna lavorare insieme, media inclusi, in quello che decidete di scrivere, nei vostri titoli e che possono ispirare paura o speranza”. A introdurre il duetto un messaggio di Papa Francesco accolto all’Ariston con una standing ovation.