Ricciardi, le pop corn e il terrore contagi al cinema: l’irrealtà supera la fantasia
A due anni dalle notizie dei primi pazienti italiani contagiati dal Coronavirus, si moltiplicano le interviste ai protagonisti di questo periodo di emergenza continua, a partire dal ministro della Salute, Roberto Speranza e dal suo fido consulente Walter Ricciardi. Entrambi non rinunciano alle parole chiave “calma” e “prudenza” e fin qui ci può stare, anche nell’ottica del ruolo di responsabilità che entrambi rivestono.
Quello che si fa, oggettivamente, più fatica a comprendere, è l’eccessivo pessimismo di Ricciardi, sempre di segno contrario a qualsiasi indicazione volta ad allentare, seppur gradualmente, la pressione dei dpcm sulla vita sociale e pubblica. Un pessimismo, anche nelle valutazioni, che rischia di mettere in dubbio l’efficacia della stessa campagna di vaccinazioni: ossia, se sono indeciso sul vaccino e vengo bersagliato di dichiarazioni catastrofiche, faccio più fatica a comprendere l’utilità di questa misura di prevenzione. Ma tant’è.
Veniamo alla questione cinema. In un momento estremamente delicato assistiamo alla crisi tutta italiana, non facilmente reversibile, di un’industria di settore distrutta da provvedimenti scellerati, lapidari e sostanzialmente inutili. Circa 500 schermi chiusi, migliaia di posti di lavoro perduti e centinaia di luoghi di cultura, formazione e informazione mandati al macero.
Dal divieto di mangiare in sala (comico, se non fosse tragico) alle riaperture tardive, dall’assenza di un piano strutturale di sostegno a uno per il rilancio, il cinema italiano è tornato al suo Medioevo. Nei giorni scorsi, l’annuncio di una marcia indietro sul divieto, con il ritorno di popcorn nelle sale a partire dal 10 marzo.
Perché non subito ma dal 10 marzo? La risposta, noi, non l’abbiamo. Forse dal 10 marzo saranno innocue, a bassa carica virale e con meno sale del previsto che potrebbe gravare sulla pressione arteriosa del consumatore. Insomma, le pop corn torneranno a guardarci con occhi pacifici e coloro che ce le venderanno saranno sollevati dalla responsabilità di scatenare una pandemia nella pandemia.
Memore forse del suo passato di attore, Ricciardi si è sentito di dire la sua su questa cosa, rispondendo a Open Online con un aneddoto a dir poco disarmante: “Una mia collega, vaccinata tre volte, molto attenta, ha preso il Covid, non sa spiegarsi come e quando”, ha detto. “Questo per dire che il virus può sorprendere chiunque e ovunque. Almeno evitiamo le situazioni a rischio. E il consumo di cibi quando si è seduti gomito a gomito è una di quelle“.
Ancora una volta, si mette davanti l’utopia del rischio zero, nonostante i danni prodotti dal punto di vista economico e sociale. Ci troviamo a vivere uno scenario apocalittico, post nucleare, oltre la fantascienza distopica e forse non lo sappiamo? È, Walter Ricciardi, un consumatore dei libri Urania?
Forse Ricciardi, e chi come lui vorrebbe tenere in ostaggio un intero settore produttivo, da sempre considerato eccellenza italiana, vorrebbe farci credere che mangiare pop corn spalla a spalla con il nostro vicino di sala equivarrebbe a correre un rischio talmente elevato in base al quale lo Stato ha l’obbligo, più che il dovere, di intervenire a tutela del consumatore (o cittadino, chiamatelo come volete).
A un bar, così come a un ristorante, in spazi più stretti rispetto a quelli presenti all’interno di una sala cinematografica, si può invece (giustamente) consumare. Al cinema, con sale enormi e impianti di aereazione dell’aria, invece no. L’illogicità è lapalissiana che se Ricciardi la vedesse, ammettendola, sarebbe per lui una nuova rivoluzione copernicana.
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