[Recensione]”Io sono: Céline Dion”, lo straziante grido di una cantante senza voce
Quattro anni dopo essersi ritirata dalle scene, Céline Dion ha rivelato di essere gravemente malata: ci racconta tutta la verità sulla sua nuova vita e sulla sua rara malattia in un biopic estremamente crudo disponibile su Prime Video, “Io sono: Céline Dion“. Un film che impone di essere guardato con un certo riguardo e, per i più emotivi, con una scatola di fazzoletti.
Ultimamente diversi biopic musicali tendono a raccontare la mortalità di icone immortali della musica, costrette a fare i conti con l’età che avanza e rende loro impossibile essere gli artisti di prima. Ma di certo “Io sono: Céline Dion” è il più crudo tra i titoli che affrontano la tragedia di chi decide di dedicare l’intera vita alla musica e a un certo punto si ritrova nell’impossibilità di salire su un palco.
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Céline Dion stava già lavorando all’idea di un biopic con la regista Irene Taylor quando si è dovuta arrendere alla malattia che le impediva di tornare sul palco, di cui ha deciso di parlare pubblicamente solo molti mesi dopo. La cantante soffre di una malattia rarissima, che colpisce una persona su un milione: la Sindrome della persona rigida. È una malattia quasi paradossale per una cantante con le sue capacità vocali: i polmoni e le corde vocali infatti sono ancora in grado di raggiungere le note incredibili con cui ha conquistato il mondo musicale, ma ciò che li racchiude (la cassa toracica, le corde vocali, i tessuti muscolari e l’epidermide) diventa così rigido da intrappolarli, da impedirgli d’espandersi, provocando dolore e impedendo alla voce di liberarsi in maniera cristallina. Oltre a violenti spasmi, crudamente mostrati nel documentario su Prime Video.
“Io sono: Céline Dion” non è quasi mai celebrativo né autobiografico. Il titolo può risultare banale, ma dopo aver visto questo film, è difficile immaginarne uno più azzeccato: Céline Dion è un modo di essere, una personalità più che una persona o un personaggio. Di fronte alle telecamere di Irene Taylor, Céline semplicemente è Céline, senza filtri e senza trucco – fatta eccezione per un breve momento che mostra il dietro le quinte dell’annuncio ufficiale del ritiro -. La cantante si racconta al 100%, senza ingentilirsi o schermarsi.
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Per essere completamente sé stessa, per raccontare davvero la sua nuova quotidianità di cantante che non può cantare, Céline si mostra per quella che è, senza scegliere sfondi studiatamente neutri o fingere di essere “una di noi”.
Il documentario è girato in alcune delle sue residenze milionarie: per raggiungerla percorriamo una strada del Nevada fiancheggiata da palme. I cancelli si aprono su una proprietà che si estende in lunghezza sopra un lago. Le vetrate si affacciano sull’ocra delle montagne e del deserto. La star ci ospita in una casa perfettamente organizzata, con mobili e stoviglie che proclamano la ricchezza di chi li utilizza, senza vergogna e falsa modestia.
Avvolta in camice di seta, maglioni ricercati, a bordo piscina, Céline ascolta una registrazione di Maria Callas e accarezza la collana a lei appartenuta regalatele dal defunto marito Réné (le cui foto trionfano sulle pareti) come per tentare di riceverne la forza. La star non acconciata né truccata, ma solo drappeggiata in un mantello scuro, è pronta a raccontarsi: con lo sguardo fisso e le gote rosse, Céline Dion confessa piangendo di aver mentito per diciassette anni ed essere stata colpita da questo male già dal 2008, ma di aver volutamente ignorato i segnali inviati dal proprio corpo per amore dei suoi fan e della sua vera identità: una cantante che ha votato la propria vita al palco.
In effetti a Céline Dion il successo non è capitato per caso: scoperto il suo dono, ha lavorato incessantemente per migliorarsi, per godere delle luci del palcoscenico e per meritare l’approvazione dei suoi fan. La star internazionale spiega che, pur avendo girato il mondo in tour più volte, non ha “mai visto nulla” perché dorme 12 ore a notte, beve solo acqua, si prepara con lunghissime sessioni di riscaldamento vocale, si riascolta continuamente e tenta di perfezionarsi il più possibile.
Quando vede video su YouTube di esibizioni proprie o altrui si commuove e confessa: “Mi manca il palco. Mi manca esibirmi e mi mancano le persone”. È una tragedia di proporzioni gigantesche: Céline è una star che ha dominato le classifiche mondiali privata della sua voce, una fenice a cui sono state tarpate le ali. Nel documentario confessa lo straziante dolore, le condizioni disumanizzanti della sua malattia e anche le menzogne, i sotterfugi applicati negli ultimi 17 anni, prima della diagnosi, quando la voce pian piano ha cominciato a tradirla, a costringerla a cancellare date e tour.
In “Io sono: Céline Dion” la cantante ha dato l’ok per mostrare la nuda verità nei momenti peggiori della sua rara malattia. A 56 anni, Céline sembra essere molto più anziana e fragile. Il culmine di crudezza si raggiunge quando verso la fine, ci viene mostrata nella pratica la malattia di cui difficilmente immaginiamo il quotidiano. Assistiamo ad una terribile crisi di spasmi: i suoi arti si irrigidiscono, il suo corpo in piena tempesta elettrica si contrae, i suoi occhi inespressivi rimangono spalancati. Il fisioterapista le stringe la mano, lei non riesce nemmeno a ricambiare. Ma i suoi gemiti e le sue urla di dolore ricordano quelle di un animale ferito.
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Per permettere agli spettatori di respirare, Irene Taylor inserisce anche scene ricche di dolcezza e umorismo – quelle con i suoi figli e con Bear, la cagnolina labrador sempre incollata alla sua padrona – e flashback. “Céline ci ha dato accesso a 800 ore di archivi privati, spesso inediti“, afferma orgogliosa la regista.
In una delle sue rare uscite di casa, la cantante mostra un luogo sconosciuto: più che una soffitta o un attico, Céline ha un magazzino di 14.000 metri quadrati degno di Amazon, dove conserva tutti i cimeli di una carriera pluridecennale. Dagli abiti di scena e i premi ai disegni dei bambini e i giocattoli antichi con cui li ha cresciuti. Tutto ordinato, catalogato, etichettato, sia nel magazzino sia nella sua memoria. “Mi sento come Liberace“, ride riferendosi al kitschissimo cantante degli anni settanta.
Le riprese di Irene Taylor si concludevano diciotto mesi fa. Peccato non aver aggiunto scene recenti, perché Céline Dion sta visibilmente meglio. L’abbiamo visto nelle apparizioni in concerti dei Rolling Stones e di Katy Perry e per assegnare un premio a Taylor Swift. L’abbiamo vista provare a risorgere, anche posando per Vogue e promuovendo questo documentario che considera una lettera d’amore ai suoi fan.
Céline Dion rivendica di essere stata una numero uno e, al contrario di come potrebbe sembrare giunti a questo punto, si mostra come una vera e propria forza della natura. Una donna in lotta contro un corpo che cerca di ingabbiare la potenza di una delle voci più amate degli ultimi decenni. Una donna che non ha affatto intenzione di mollare, che cerca di resistere con tutti i mezzi che ha a disposizione e che non si vergogna di utilizzare, lavorando costantemente per cercare la sua nuova voce e risalire sul palco. Una cantante che si prepara costantemente per tornare dai suoi fan, per tornare ad essere semplicemente Céline Dion.
(Fonte foto: Céline Dion)