Recensione. “The Dead Don’t Hurt”: Mortensen in lacrime insieme al pubblico della Festa del Cinema di Roma
Viggo Mortensen è uno dei grandi protagonisti della XIX edizione della Festa del Cinema di Roma: dopo aver ricevuto il Premio alla Carriera, ha presentato in anteprima la sua ultima creazione: “The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono“, che uscirà al cinema il prossimo 24 ottobre.
Un film che tocca le corde del cuore: cinque minuti di applausi e standing ovation per Viggo Mortensen, che si commuove a sua volta ringraziando il pubblico italiano. Un riconoscimento più che meritato e totalmente “suo”: in “The Dead Don’t Hurt” Mortensen è regista, sceneggiatore, attore protagonista, produttore e compositore della colonna sonora.
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“The Dead Don’t Hurt” è un western anomalo, incentrato su una storia d’amore originale e crudamente concreta, che affronta grandi temi sempre attuali: il dolore del lutto e della lontananza fisica, l’inutilità della guerra, il femminismo, la corruzione, lo stupro, il legame padre-figlio, il desiderio di salvarsi da soli e il bisogno di amore.
Un mix di temi forti in una narrazione forte e allo stesso tempo delicata, con una colonna sonora che enfatizza i sentimenti, incoraggiando lo spettatore a lasciarsi andare all’emozione. Una conseguenza inevitabile se si vede il film consapevoli che Viggo Mortensen lo abbia dedicato alla sua defunta madre.
Non si tratta di una mera scritta tra i titoli di coda, “Dedicato a Grace Gamble Atkinson“, ma dell’intera costruzione del film e del personaggio femminile protagonista. In conferenza stampa, il regista ha dichiarato:
“Quando ho scritto questo film non pensavo di scrivere un western. Ero a Madrid durante il lockdown e leggevo i vecchi libri di mia madre, che lei leggeva quando era bambina: quelli con la copertina dura e con storie di cavalieri. Mia madre era una persona psicologicamente molto forte, indipendente ma una persona comune. Ho immaginato come potesse essere crescere all’interno della sua vita e di dedicarle un film: mi sono detto ‘dove la metto una donna libera e indipendente come lei, che attraversato molte difficoltà? La potrei mettere nel West nel diciannovesimo secolo. A me piacciono i western: da bambino andavo a cavallo e mi piaceva tutto ciò che riguarda quel mondo, compresi i film western che guardavo al cinema con lei“
Così nasce il personaggio di Vivienne Le Coudy, giovane di origine francese che condivideva la passione per il bosco -e per la caccia- con il suo papà, impiccato dalle forze armate quando lei era ancora una bimba, proprio in quei boschi che tanto amava. Crescendo Vivienne è diventata una donna dalla feroce indipendenza, accattivante e intraprendente, che appartiene solo a se stessa – per questo ha stabilito di non sposarsi mai – ma capace di offrire sconfinato amore.
La protagonista è magistralmente interpretata da Vicky Krieps, che esprime la dolcezza e la forza di un personaggio così ricco ed interessante. Le sue espressioni microfacciali e la forza nel suo sguardo ricordano una grande diva del cinema, con cui si riscontra una certa somiglianza quando raccoglie i capelli. Lo stesso Mortensen ha affermato:
“Quando l’ho vista per la prima volta mi è sembrato di risentire quello che ho provato quando anni fa ho incontrato Meryl Streep“
Purtroppo conosciamo lo stupendo personaggio di Vivienne sul letto di morte nei primi secondi del film: una giovane donna dagli occhi scuri e così espressivi, che esala il suo ultimo respiro stringendo la mano del protagonista interpretato da Viggo Mortensen, mentre un’ultima calda lacrima scorre sul suo viso.
La ritroviamo poi bambina nel bosco, mentre un cavaliere la cui armatura svela solo lo sguardo si avvicina. Presto comprendiamo che si tratta di una fantasia della giovanissima Vivienne – ripresa dalle storie lette dalla madre del regista – in cui un cavaliere viene a salvarla. Ogni volta lo sguardo del cavaliere cambia: gli occhi del suo papà, scomparso da poco, si trasformeranno in quelli del suo grande amore.
Veniamo dunque alla storia che unisce i due protagonisti. Sulla frontiera occidentale degli Stati Uniti nel 1860, Vivienne Le Coudy (Vicky Krieps) incontra l’immigrato danese Holger Olsen (Viggo Mortensen) al mercato del pesce. Dopo un cenno di saluto del cowboy, è lei ad avvicinarsi e prendere iniziativa. Li ritroviamo a fare colazione nella cucina di lei, che insistentemente gli corregge la pronuncia francese di omelette, prima di raccontarsi le rispettive storie. Vivienne sembra quasi divertita dal fatto che lui vada presto via, ma inevitabilmente sorride quando lo vede tornare.
I flashback del loro viaggio attraverso la California, dove costruiranno la loro vita di coppia, travolti da una delicata passione e arguta complicità, si alternano alle scene attuali: un nuovo viaggio in cui Holger, dopo aver sepolto Vivienne, parte a bordo del suo cavallo e il loro figlioletto Vincent – un bambino impossibile da non amare, che parla in francese e in inglese.
Presto scopriamo che il film di Mortensen, che inizialmente del western sembra avere solo l’ambientazione e le caratteristiche tecniche del western (campi lunghissimi che si alternano a piani all’americana, paesaggi che trionfano sulla scena inquadrati da diverse angolature in cui i nostri viaggiatori sembrano appena un dettaglio), ma anche uno dei fil rouge: un viaggio di vendetta.
La storia d’amore di Vivienne e Holger viene drasticamente dirottata dallo scoppio della Guerra Civile, che li separa quando lui prende la fatidica decisione di combattere per l’Unione. Vivienne si ritrova così a dover badare a se stessa in un luogo in cui una donna sola che non ha la minima intenzione di cedere alle lusinghe e alle finte preoccupazioni è il bersaglio preferito di uomini avidi e potenti: un posto controllato dal sindaco corrotto Rudolph Schiller (Danny Huston) e dal suo socio d’affari senza scrupoli, il potente proprietario di ranch Alfred Jeffries (Garrett Dillahunt). A cambiare drasticamente la vita di Vivienne sarà però il figlio violento e prepotente di quest’ultimo, Weston (Solly McLeod), ossessionato da Vivienne, l’unica a resistergli. Quando Olsen torna dalla guerra, lui e Vivienne devono affrontare le conseguenze di quel che è accaduto e fare pace con la persona che ciascuno di loro è diventato.
La delicatezza e l’efficienza della messa in scena sta tutta racchiusa in una scena tanto breve quanto emblematica del romanticismo e della forza di questa coppia: dopo giorni di silenzio tra i due amanti che devono fare i conti con i traumi non detti che li hanno inevitabilmente cambiati, stanno attraversando un fiume a cavallo. Vivienne, con in braccio il piccolo Vincent sta davanti e conduce la traversata, mentre Holger li segue. Senza proferire parola, Vivienne tende la mano al suo compagno, che non ha effettivamente bisogno di essere aiutato, e continuare a cavalcare, questa volta l’uno a fianco all’altra, tenendosi per mano. Viggo Mortensen spiega:
“Quando lei gli porge la mano, lui in realtà non ne ha bisogno. Si tratta di un momento di comunicazione molto forte: lei non si gira, non lo guarda. Lui nemmeno: vede solo la mano e la prende automaticamente ma con forza. Come se lei dicesse “proviamoci, possiamo farcela insieme” e lui ci sta.
Un altro momento di comunicazione non verbale è subito dopo, quando lui le chiede scusa senza parlare.“
Sono questi dettagli a rendere l’ultima creazione di Mortensen un autentico gioiello. Senza bisogno di troppe parole, arriva dritto al cuore e i 122 minuti di film bastano per comunicare molto ma molto di più e affrontare con delicatezza così tanti temi.
Ne è un esempio la scena del cavaliere, che torna come un refrain: dopo aver visto sotto la visiera lo sguardo di suo padre e poi quello di Holger, nel momento in cui sta per morire la piccola Vivienne vede il proprio sguardo di donna adulta. Anche se questo semplice frame basta ad aprire un discorso su cui si potrebbe fare un ulteriore film, Vivienne suggella il messaggio e il senso del proprio personaggio con il suo ultimo discorso:
“Ero solo una ragazzina ma ero forte, dovevo esserlo. Non ho mai voluto essere salvata, volevo solo un po’ di tenerezza“
Una scena di una potenza tale che ogni altra parola sembra superflua.
Appuntamento al cinema dal 24 ottobre.