Recensione “The Creator”: Edwards al cinema tra IA ed empatia, citazioni e azzardi
Al cinema è arrivato The Creator, l’ultima opera fanta-action di Gareth Edwards.
Grande attesa per la stessa firma di Monsters e Rogue One, il primo della serie Star Wars Anthology – film a sé stanti ambientati nell’universo di Guerre stellari prodotta da Disney+.
I lavori del regista britannico sono sempre stati caratterizzati da quelle che un tempo erano considerate inquietudini post-moderne e che oggi hanno quasi il sapore di un classico senza tempo.
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Nel panorama cinematografico attuale, tra scioperi e festival, tra sequel, reboot e revival, Gareth Edwards si inserisce con un’opera originale ad alto budget che però non disdegna la citazione intelligente, né riduce tutto ad essa.
The Creator si destreggia tra i generi drammatico, d’azione e fantascientifico per una durata di 133 minuti.
Nel cast troviamo John David Washington, Gemma Chan, Sturgill Simpson, Madeleine Yuna Voyles.
La trama
Nel 2070 il mondo è diviso in due blocchi, quello Occidentale guidato dagli americani che rifiutano le intelligenze artificiali (IA) e quello asiatico che invece le accoglie.
Joshua (John David Washington) è un ex agente delle forze speciali infiltrato nel territorio delle Repubbliche Asiatiche, che ha di recente perso sua moglie incinta Maya (Gemma Chan) a causa di un bombardamento a Los Angeles.
Gli americani, che ritengono le IA responsabili della strage, attaccano l’altra parte del mondo con la loro piattaforma orbitante Nomad, una base che fluttua nella stratosfera dalla quale colpire senza pietà gli avamposti dell’IA in Nuova Asia, per cancellarla una volta per tutte dalla faccia della Terra.
Cinque anni dopo l’esercito statunitense gli dice che Maya è invece sopravvissuta: Joshua ha una nuova possibilità di salvarla, a patto che porti a termine una missione tanto importante quanto ardua: trovare e uccidere il Creator, l’inafferrabile architetto dell’avanzata IA. Nelle mani di quest’ultimo c’è il destino del mondo, perché ha sviluppato una misteriosa arma che potrebbe mettere fine alla guerra, ma anche all’intera umanità.
Joshua, insieme al suo team di agenti d’élite, riesce a superare le linee nemiche nel territorio invaso e detenuto dall’IA, ma una volta ritrovatosi di fronte all’arma apocalittica, farà una scoperta agghiacciante: la pericolosa arma che Joshua dovrebbe annientare è Alfie, un’IA che ha l’aspetto di una bambina.
More Human than Human?
I film di fantascienza del nuovo millennio hanno spesso mostrato robot e intelligenze artificiali in una versione quasi migliore e sicuramente più umana dell’umanità stessa. More Human than Human cantavano i White Zombie nell’ormai lontano 1995. Edwards fa un passo in più: le creature dell’intelligenza artificale sono più umane degli americani.
Eppure la maggiore difficoltà che The Creator dovrà affrontare è probabilmente un’altra: trattare questo tema nel momento storico in cui le IA sono un argomento più che caldo. E soprattuttoparlarne in una chiave del tutto simbolica.
A Edwards infatti non interessa parlare di intelligenza artificiale così come la stiamo conoscendo oggi – nelle applicazioni dette “generative” – o in una forma più astratta come hanno fatto altri registi prima di lui. Le sue IA sono al contrario dei robot, un topos ormai vintage nella fantascienza, e rappresentano “l’altro“, il diverso, l’alieno nel senso etimologico del termine.
Non a caso le IA di Edwards vengono accolte in Oriente ed è contro gli asiatici che gli americani tornano a fare la guerra, come ai tempi del Vietnam, con tanto di bombardamenti, assalti a villaggi e fucilazioni.
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Ma attenzione: in che senso il film si può definire umanista?
Prima di tutto due temi centrali dell’opera di Edwards sono l’interrogativo su come si possa amare qualcosa che non è vivo e l’imprescindibile importanza dell’empatia.
Le intelligenze artificiali di The Creator, però, non hanno la capacità di svilupparsi più in fretta dell’uomo e si trovano anzi in difficoltà proprio contro una tecnologia umana – la piattaforma orbitante Nomad degli Usa. La chiave di tutto è la bambina robot, paradossalmente umanissima nella propria confusione, nel bisogno di affetto e nel ribellarsi all’ingiustizia.
Certamente essendo un’intelligenza artificiale ha dei particolari poteri, ma non si configura come una supereroina o un “angelo della battaglia“, anzi appare proprio come una bambina limitata e impotente di fronte all’orrore della guerra degli umani.
Citazioni su citazioni
Siamo sinceri: il mondo post-apocalittico di The Creator richiama alla memoria l’incubo immaginato da James Cameron in Terminator mentre il confronto tra umani e robot dotati di intelligenza artificiale è un ingrediente – se non l’ingrediente principale – della fantascienza degli ultimi circa sessant’anni.
Guardando il film tornano in mente lo sci-fi militare con robot tipico di Neil Blomkamp (District 9, Humanoid) o ancora elementi di Akira: il buco lasciato dalla bomba in mezzo alla città, la sovrapresenza di ideogrammi, l’involucro che contiene la pericolosa arma (e l’arma in sé). Il design della tecnologia di Simon Stalenhag (il designer dell’evocativa serie Tales From The Loop) o il classico topos del viaggio dell’eroe, prima disilluso e poi pregno di speranza. Per non parlare della nippofilia di Blade Runner o di Il bambino d’oro.
C’è persino una citazione extracinematografica: la foto più iconica dei fatti di Piazza Tienanmen, in cui un “rivoltoso sconosciuto” ferma un carrarmato. Così la bambina-robot si pone tutta sola di fronte a una macchina assassina (e pure kamikaze, creando un ulteriore paradosso sulla presunzione di superiorità americana).
Una scenografia spettacolare
Nonostante The Creator presenti diverse citazioni palesate e passaggi di sceneggiatura più che improbabili, Edwards costruisce letteralmente un mondo affascinante e ammaliante dal punto di vista visivo.
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Come fece già con l’apprezzatissimo Rogue One, il regista fa leva su pochi e minuziosi dettagli scenografici, relegando l’uso della computer grafica alla creazione dell’atto finale a dir poco esplosivo.
Inoltre la costruzione narrativa appare divisa per blocchi specifici e ambientazioni, favorendo ulteriormente quel dialogo mediatico tra cinema e videogame.
L’elemento originale
Ormai è chiaro: The Creator non può vantare un’originalità tout court, ma di certo è originale il modo in cui Edwards veicola alcuni messaggi, riprendendo e adattando vecchi topic sempre attuali.
Ne è un esempio la denuncia al lato guerrafondaio degli Usa, dipinti come sempre pronti a rintracciare un nemico x per il gusto di dispiegare le proprie risorse e di riaffermarsi come super potenza globale per quanto incline all’autocritica costruttiva. D’altronde abbiamo già fatto allusione ai rimandi visivi al Vietnam, rintracciabili anche nelle guerre più recenti.
Infine, Edwards inserisce un elemento fantasy nel suo film fantascientifico: la tecnologia di cui dispone la bambina-robot non è dovuta ad un’intricata rete di codici come in un film cyberpunk, ma funziona come un potere magico che si attiva meditando e unendo le mani.
Eppure il regista riesce in questa strampalata fusione senza risultare disturbante al punto che non sembra fuoriluogo la sua conclusione con una citazione della fiaba della Bella addormentata.
Il trailer