Recensione. “Storia della mia famiglia”: ognuno si salvi come può

Netflix arricchisce il suo catalogo di produzioni originali italiane con “Storia della mia famiglia“, la nuova serie di Claudio Cupellini, subito entrata nella Top 10.
La serie, con protagonista un eccezionale Eduardo Scarpetta, offre un racconto profondo, struggente e ironico sulla famiglia, sulla perdita e sulla difficoltà di lasciare andare chi amiamo.
Intorno a Scarpetta troviamo un cast d’eccezione: Vanessa Scalera (Imma Tataranni – Sostituto procuratore, Qui non è Hollywood) e Massimiliano Caiazzo (Mare Fuori, Uonderbois). E ancora Cristiana Dell’Anna, Antonio Gargiulo, Gaia Weiss, Aurora Giovinazzo, Filippo Gili e i piccoli Jua Leo Migliore e Tommaso Guidi.
La trama
Questa è la storia di Fausto (Eduardo Scarpetta) e del suo ultimo giorno. Una storia fatta di allegria, passione, amore per i figli, e di una sfacciata mancanza di paura per la vita e per il futuro. Ma questa è anche la storia di un amore assoluto e del suo punto di rottura, drammatico e decisivo.
È soprattutto la storia di una famiglia improbabile, di uno sgangherato e amatissimo clan a cui Fausto impone responsabilità inattese. Una storia di gioie e di cadute, di risate, di persone capaci di commettere errori macroscopici e piccoli gesti eroici. In cui ognuno, nessuno escluso, dando del proprio peggio cercherà di fare del proprio meglio.
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“Storia della mia famiglia“, dramedy in sei episodi scritta da Filippo Gravino, racconta la storia di Fausto, un giovane ed esuberante padre malato terminale che cerca di preparare la sua sgangherata famiglia alla vita senza di lui. Una storia fatta di allegria, passione, amore per i figli, e di una sfacciata mancanza di paura per la vita e per il futuro.
Un protagonista “sbagliato”
Fausto, il protagonista interpretato magistralmente da Scarpetta, è un uomo complesso e pieno di contraddizioni. Affascinante, carismatico, impossibile da non amare, ma tutt’altro che un eroe. Un protagonista perfettamente “sbagliato“. Egoista, affascinante, immaturo, premuroso. Sempre alla ricerca di emozioni forti e incapace di affrontare i problemi, vive la vita “strappandola a morsi” senza mai fermarsi davvero a riflettere sulle conseguenze dei suoi impulsi.
Fausto è un papà-Peter Pan, che trasforma tutto in un gioco e che non ha perso la meraviglia che permette di cogliere la poesia in ogni attimo. Un padre che sveglia i figli al grido di
“Chi arriva per ultimo ce l’ha piccolo!”
È un amico talmente carismatico da essere l’indiscutibile vertice di un triangolo, che trascina i suoi due amici storici nel trambusto delle proprie emozioni, condizionandone l’esistenza. Un amico che dispensa lezioni di vita e sa di avere quasi sempre ragione. Quello che capisce i problemi degli altri e vuole sistemare tutti, ma che spinto dal desiderio di essere un “bravo amico” non si accorge di fraintendere o non vedere, e quindi ferire e scombussolare le vite di chi gli sta accanto – e lo segue annuendo.
Fausto è anche un figlio che si rivolge duramente alla madre, senza il minimo tentativo di comprenderla o la preoccupazione di ferirla. È un fratello avventato e impulsivo che manipola la vita del fratellino, prima avviandola alla distruzione e poi cercando di aggiustarla a sua immagine. Ancora, è un marito infedele e incapace di ascoltare, di notare i problemi e dunque di affrontarli.
Eppure, tra le sue tante contraddizioni e il caos che porta con sé, Fausto resta un personaggio affascinante: affronta la vita con voracità, senza paure e senza remore, travolgendo chiunque lo circondi con la sua energia e la sua passione. Non ha paura della morte e scherza continuamente sulla propria malattia, trasformando il suo tentativo di resistere in una competizione tra lui e il cancro: una gara a chi prende di più, a chi riesce a mantenere il controllo il più a lungo possibile.
Ecco, proprio questo caratterizza il personaggio di Fausto: la capacità di prendere il controllo in situazioni disperate. Come uno scacchista, segue la sua strategia e muove le sue pedine. Così, inevitabilmente, Fausto si rivela un egoista che cerca le persone che lo amano solo quando ne ha bisogno, cambiando drasticamente rotta alle loro vite e decidendo univocamente quando possono o non possono far parte della sua.
Eppure, tutti gli aspetti negativi del suo carattere sfumano davanti allo scopo per cui il protagonista agisce: pianificare il futuro dei suoi figli, per quando lui non ci sarà più. Libero ed Ercole sono due bambini cresciuti in un continuo trambusto, separati e poi ritrovati, molto più consapevoli di quanto gli adulti credano. Con la lucidità che solo i bambini possono avere, comprendono il destino del padre e persino i dettagli più crudi della sua malattia, ma restano genuinamente felici.
Una squadra strampalata
Per proteggere il futuro dei suoi figli dal dolore e dall’affido a una madre non adatta, Fausto raccoglie intorno a loro una famiglia allargata tanto improbabile quanto autentica: la madre Lucia, il fratello Valerio, e gli amici di sempre, Demetrio e Maria.
Lucia (una magistrale Vanessa Scalera) non vincerebbe certo il premio di “mamma dell’anno“, ma si rivela presto come una persona dal cuore grande – nascosto sotto una spessa maschera di madre scontrosa e irritabile. È una donna forte e indipendente, ma che sembra sempre alla ricerca del sostegno di un uomo (preferibilmente poco raccomandabile) in un mondo di pregiudizi e prezzi troppo alti da pagare. In realtà Lucia è una donna a cui si dice troppo spesso di stare zitta, continuamente giudicata in primis da suo figlio, cresciuta in un mondo feroce ma semplicemente bisognosa di amore e dei suoi spazi. La sua durezza apparente nasconde un’ottima capacità di ascolto: è la prima a intercettare i problemi di Sarah e riconoscere gli aspetti controversi del carattere di Fausto.
Valerio (Massimiliano Caiazzo), il secondogenito, ha un passato (fin troppo recente) segnato dalla dipendenza. Una strada che ha imboccato proprio a causa del fratello, che gli ha fatto scoprire l’ebbrezza di una vita folle nell’estate in cui Valerio voleva entrare in seminario, per poi abbandonarlo nel momento del bisogno. Tra sensi di colpa e responsabilità forzate, la “capa tosta” della famiglia riesce a sciogliere il cuore di ogni spettatore con uno dei migliori glow up.
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E poi ci sono Demetrio e Maria, amici di lunga data, due “bicchieri fragili, sperduti e spaventati” in un mondo che non fa sconti. Lei (Caterina Dell’Anna) ha una forza travolgente che la renderà una colonna portante, lui (Antonio Gargiulo) una dolcezza disarmante che ricorda il Massimo Troisi più malinconico. Affrontano la vita insieme, fungendo da “pluriball” l’uno per l’altro, in un mondo di amori non confessati, paure non ammesse e momenti sempre sbagliati.
Dall’altra parte Sarah (Gaia Weiss), affascinante giovane inglese, la cui vita viene sconvolta da Fausto, questo esuberante ragazzo italiano conosciuto casualmente in un bar, che la convince a lasciare tutto per vivere insieme in Italia. Un amore travolgente che non lascia possibilità di conoscersi davvero: lui, nella sua frenesia, è l’unico a non accorgersi della sua fragilità mentale.
“Lo so, quando io non ci sarò più, voi vi sentirete sperduti. Però ve lo dico subito uagliò, non mi interessa. Perché voi sarete vivi e quindi dovete occuparvi dei ragazzi. Non voglio sentire lagne. Voi dovete diventare una famiglia. L’impresa è difficile, io me ne rendo conto. All’inizio vi sentirete inadeguati, perché comunque un po’ lo siete. Ma ricordatevi, io ho visto il futuro, e non eravate soli. Eravate in quattro. Quattro è il numero perfetto. Tutte le cose che funzionano sono fatte di quattro: i Beatles, i Clash, ma pure i Pooh, le stagioni, i Moschettieri, i Cavalieri dell’Apocalisse. Uagliò… I Fantastici quattro! Ecco, voi sarete i Fantastici Quattro. E comunque ragazzi, io qua sono, vi tengo d’occhio.”
Un perfetto equilibrio
Con una scrittura incisiva e dialoghi autentici, “Storia della mia famiglia” si distingue per la sua capacità di mescolare dramma e leggerezza, partendo proprio dal momento più drastico, portando lo spettatore in un viaggio emotivo tra passato e futuro che colpisce nel profondo.
Se Eduardo Scarpetta offre un’interpretazione straordinaria, portando sullo schermo un personaggio imperfetto ma incredibilmente umano, la regia di Cupellini accompagna la narrazione con delicatezza, evitando il melodramma* e lasciando spazio alla bellezza delle imperfezioni.
* (le risate non garantiscono affatto l’assenza di lacrime, anzi munitevi di fazzoletti)
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Andare avanti: una lezione di vita
Con un’estrema delicatezza e una sfacciata autenticità, “Storia della mia famiglia” ha conquistato il pubblico (e i social) con una storia che parla di vita, di perdita, di legami indissolubili.
Nonostante la natura caotica e imprevedibile del suo piano, Fausto ha organizzato tutto nei dettagli. Attraverso messaggi-audio lasciati ai suoi cari, cerca di accompagnarli nella sua assenza, esortandoli a tirare fuori il meglio di sé. Ha pianificato tutto per stare accanto alla sua famiglia allargata nei momenti più difficili, rimanere con loro e proteggere i suoi figli da un mondo che gli fa conoscere la paura.
Ma tra lacrime e risate, la serie ci riserva un’autentica e aspra lezione di vita: non si può pianificare tutto e il dolore non può essere evitato. Raccontando il percorso di una famiglia che impara ad affrontare la perdita e il cambiamento, ci ricorda che non esiste un modo giusto per reagire alla morte, come non esiste il momento giusto per lasciare andare. Esiste solo il coraggio di andare avanti, circondandosi delle persone che ci fanno stare bene. Perché in fondo non abbiamo altre possibilità: andare avanti, anche quando la vita è ingiusta, anche quando va inesorabilmente tutto all’aria, quando le promesse non si possono mantenere e i piani non si possono rispettare.
Ognuno va avanti come può, cogliendo o meno le opportunità che la vita offre, in mezzo ad inevitabili dolori. Ognuno si circonda delle persone che lo fanno stare bene – anche se questo significa separarsi da altre, lasciandosi il tempo di affrontare il dolore alla propria maniera. Nessuno ci può insegnare come reagire al dolore di una vita che si spegne troppo presto. Troppo presto – come se in realtà ci fosse un momento giusto per morire, per spegnersi lentamente sotto le grinfie del cancro.
“Storia della mia famiglia” ci ricorda che alla fine, dobbiamo solo fare del nostro meglio per andare avanti. Non importa come, non importa quando. L’importante è circondarsi di chi ci fa stare bene, accettando il caos della vita con tutto l’amore e la fragilità che essa comporta.