Recensione. “Spirit World”: il canto di Catherine Deneuve nel mondo dei fantasmi
Tra i film in concorso alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, un titolo si fa notare per la delicatezza e la dolcezza con cui affronta il tema del lutto: “Spirit World” di Eric Khoo interpretato da Catherine Deneuve, Yutaka Takenouchi, Masaaki Sacai.
Tra i più noti registi di Singapore (“12 Stories“, “My Magic“, “Tatsumi“), Eric Khoo mette in scena una sceneggiatura scritta da suo figlio Edward, che si presenta come un racconto dolce e dolente, intenso e malinconico, ma non pesante.
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Nell’attuale Giappone vediamo un uomo anziano (Masaaki Sacai) aprire le finestre per godersi un panorama soleggiato sorseggiando una tisana, ascoltare vinili e accordare un pianoforte in un locale. In parallelo, in una casa disordinatissima vediamo un uomo sulla quarantina (Yutaka Takenouchi) fare colazione con una bottiglia di alcol, andare al lavoro in metro e ritrovarsi in crisi di fronte al suo ennesimo film d’animazione che non lo convince affatto.
Nei primi dieci minuti nessuno parla, ma il silenzio non disturba mentre lo spettatore si chiede quale sia la relazione tra i due personaggi o se l’uno sia il flashback dell’altro.
Stacco netto: siamo nella sala di un veterinario dove una donna (Catherine Deneuve) sta dicendo addio al suo cagnolino Léon. In stile diaristico, la donna commenta quanto accaduto e tornata a casa, beve e inizia a scrivere, riflettendo su come sarebbe semplice morire all’improvviso e velocemente, senza saperlo in anticipo, senza prepararsi e soffrire. Confida i suoi pensieri ad un diario, confessando il dolore per la morte prematura della figlia Elsa “portata via dall’oceano“.
Si chiede se quello che sta scrivendo diventerà una canzone o se sarebbe meglio dimenticare. Scopriamo che la donna è Claire Emery, cantante che a causa dell’età e dei diversi lutti che l’hanno messa a dura prova, non parte in tournée da molto tempo. Il suo produttore pensa che sia una buona idea partire per un ultimo tour internazionale in Giappone dove la cantante è fortemente apprezzata da anni.
L’anziano giapponese è infatti un suo grande fan e trascorre la serata ascoltando la sua collezione di vinili, leggendo le traduzioni dei testi e ammirando le vecchie foto di Claire (una straordinaria Catherine Deneuve). L’indomani sarebbe andato al concerto, ma poco dopo l’inizio del film l’uomo muore sulla poltrona.
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Sarà suo figlio, il giovane regista che abbiamo conosciuto poc’anzi a sedere in prima fila al concerto per omaggiare un’ultima volta il padre, deceduto a causa di una malattia giunta allo stadio terminale. L’uomo, che scopriamo chiamarsi Hayako attraverso le parole di un caro amico dell’anziano – nominato a sua volta come Yuzu – si emoziona durante l’esibizione così intensa e sentita di Claire, che decide di indossare un abito rosso per l’occasione “per sentire Elsa più vicina“.
La scena è una delle più toccanti del film: mentre Hayako si commuove, vediamo seduto anche a lui suo padre piangere nello stesso identico momento della canzone di Claire. Subito dopo l’uomo chiede alla cantante di autografare uno dei suoi primi disegni di bambino che rappresenta il padre e la bionda artista. Claire è profondamente toccata.
Ma l’umore della donna peggiora sempre di più: dopo essere stata riaccompagnata in hotel, sgattaiola in un bar (proprio quello in cui Yuzu aveva accordato un pianoforte) per bere del sakè. A gesti chiede un bicchiere più grande, poi, una bottiglietta, poi direttamente la bottiglia. Davanti al proprietario sconvolto, Claire beve finché non perde i sensi sbattendo la testa sul bancone. Presto capiamo che la cantante non è solo svenuta, ma è morta: la vediamo abbandonare il suo corpo e guardarsi dall’esterno.
La notizia della sua morte viene presto confermata: non ce ne vogliano i lettori, non si faccia appello allo spoiler. Perché è da qui che il vero e proprio film prende inizio.
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“Obon è la festa giapponese delle lanterne: una breve finestra nel tempo durante la quale i morti fanno visita ai vivi, in estate.”
Lo racconta Yuzu al suo idolo Claire Emery: le due anime, o meglio “spiriti” per citare il titolo del film, si incontrano e si stupiscono di riuscire a vedersi reciprocamente, in mezzo ai vivi ignari della loro presenza. Sembra invece normale e scontato il fatto che riescano tranquillamente a capirsi, nonostante l’una parli in francese e l’altro in giapponese.
Insieme i due iniziano un percorso per scoprire quanto in realtà non sia facile affrontare la morte, sia per i vivi sia per i morti. Mentre Claire e Yuzu condividono i propri bagagli emotivi, seguono pedissequamente Hayako nel suo viaggio attraverso il Giappone per realizzare l’ultima volontà di suo padre.
“Spirit World” è un viaggio tra questo e altri mondi, tra i vivi e i morti, tra le stagioni e le emozioni, tra la città e il mare, tra le canzoni che Claire ha cantato, quelle che Yuzu avrebbe voluto comporre e i film realizzati da Hayako.
Un viaggio intelligente, garbato, vivissimo, nel corso del quale i protagonisti vengono a patti con la loro
vita, i loro affetti, i loro spiriti.
Il lutto, l’alcolismo, l’abbandono, il suicidio (di almeno tre personaggi), la crisi di identità: “Spirit World” affronta temi sempre più delicati, ma con leggerezza, senza scavare troppo nel profondo. Mostrandoci che si può parlare di morte con una sorprendente serenità e amabile delicatezza, come quella della piacevolissima voce di Catherine Deneuve.
(Fonte foto: Festa del Cinema di Roma)