[Recensione] – “Martedì e venerdì”: il secondo film di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis a difesa dei papà
Ma come lo misuri il valore del tempo?
“Martedì e venerdì“, il secondo film della coppia formata da Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis è al cinema, distribuito da Medusa Film.
Dopo il successo di “Ghiaccio” (2022), Moro – autore di tutte le musiche originali del film – e De Leonardis tornano sul grande schermo con una storia piuttosto semplice ma genuina, puntando dritto al cuore dello spettatore.
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Protagonista di “Martedì e venerdì” è Marino Bruni (un perfetto Edoardo Pesce), un meccanico quarantacinquenne che si ritrova in serie difficoltà tra lavoro e situazione familiare: la sua vita cambierà drasticamente per la separazione da Simona (Rosa Diletta Rossi) e dalla figlia Claudia (Aurora Menenti) e per l’incontro con Cioccolatino (Giorgio Caputo).
Nel cast anche Josafat Vagni, Davide Argenti, Adamo Dionisi, Pier Giorgio Bellocchio, Mauro Aversano, Mirko Frezza.
I temi principali di questo film vengono anticipati da quattro fotogrammi iniziali: un cielo azzurro visibile solo “a pezzi” da una sorta di rosone in pietra sul soffitto (la privazione della libertà, ad un passo da essa); luci di Natale (la preziosità dei momenti magici da trascorrere in famiglia, ma anche l’intermittenza che caratterizzerà la vita dei protagonisti); una clessidra (una riflessione sullo scorrere del tempo con cui si apre e chiude il film e l’arbitraria possibilità di conferire una seconda chance) e infine un uomo con un casco che si rifugia disperatamente in un campo buio (a presagio della brutta piega che prenderanno gli eventi a partire da una moto e della disperazione che ne conseguirà).
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Ma la vera storia inizia con un flashback a tre mesi prima di quest’ultima immagine. Presto scopriamo il significato del titolo: martedì e venerdì sono i giorni stabiliti dal tribunale in cui Marino potrà stare con sua figlia dopo la separazione da Simona. “Un patto di cambiale a vita m’hanno fatto firmà” commenta Marino, che non ha affatto un buon rapporto con carte e scadenze da rispettare. Infatti, a causa di tasse non pagate, riceve cartelle esattoriali che ammontano a 50.000 euro.
Dopo aver perso famiglia e casa, il meccanico di moto si ritrova costretto a chiudere la propria officina. Un “povero diavolo” dalle mani nere, vittima di una società che non lascia spazio ai suoi errori e non concede seconde possibilità. Per questo si ritrova a chiedere aiuto all’amico criminale Cioccolatino che organizza rapine in supermercati di periferia minacciando “solo” con spranghe di ferro e nascosti dai caschi neri. Marino, abile pilota di moto, diventa così un “ladro part-time“: il martedì e venerdì sono dedicati a sua figlia.
La piccola Claudia, che si destreggia tra i compiti di quinta elementare e gli allenamenti in piscina, è la coprotagonista del film di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis. Una bambina caparbia e solare che sembra spegnersi sempre di più – destando preoccupazione persino nella preside della sua scuola. Una bambina che si chiede perché ormai passi così poco tempo insieme al suo papà, arrivando quasi ad odiare lui e la nuova realtà, ma pronta ad essere riconquistata a piccoli passi, tramite ovetti Kinder e una rosa rossa.
Con i “guadagni” delle rapine, Marino riesce a trovare una casa perfetta e soprattutto a riconquistare sua figlia e quasi sua moglie. “Noi siamo come il triangolo: te sei la base e mamma e papà so i lati obliqui“: spiega Simona per rassicurare Claudia. Ma la mamma e il papà in questo caso non sono destinati a incontrarsi in un punto: più che i lati di un triangolo sembrano linee parallele, anzi divergenti.
Infatti la bolla di sapone che si è creata nei giorni che precedono il Natale scoppia quando la verità inizia a venire a galla e la banda di Cioccolatino si spinge oltre tentando un grosso colpo fuori dai loro schemi piuttosto “innocui”. portando lo spettatore a prevederne le drastiche conseguenze.
Pian piano i quattro fotogrammi iniziali trovano un posto e un senso all’interno di questa storia dal finale dolceamaro, in cui la componente amara sembra prevalere.
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Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis firmano dunque un film che sembra più adatto ad una prima serata su un piccolo schermo, una storia genuina e schietta raccontata completamente in dialetto romano, ma quasi al punto da sembrare estremamente essenziale, piuttosto secca.
Risulta facile affezionarsi ai personaggi che ad un occhio più critico sembrano fin troppo bidimensionali, piatti: i buoni appaiono troppo deboli e i cattivi rispecchiano perfettamente le caratteristiche del buon villain, come da manuale. Inoltre, per chi conosce il genere, i colpi di scena diventano sempre più prevedibili.
Eppure il feeling tra la giovanissima Claudia e l’affettuoso papà – che fa quello che (non) può per non deludere le aspettative e i sentimenti di sua figlia – riesce ad offrire allo spettatore la componente patetica ed empatica che lo fa inevitabilmente sperare in una sorta di lietofine. Insomma, sappiamo tutti che quella figurina a forma di unicorno che rende uniche le scarpe di papà e figlia porterà ad un finale tanto scontato quanto tragico, ma non possiamo evitare un sorriso commosso di fronte allo sguardo della piccola Claudia.
I due registi ci offrono dunque una buona storia con una tecnica precisa, “da manuale” appunto. Nonostante un velo scuro di malinconia sembra coprire tutto il film, si noti il contrasto tra i colori e la luminosità nelle scene positive in cui Marino riconquista sua figlia – che sembrano illuminate dai loro sguardi e sorrisi complici – e il buio di quelle che riguardano la doppia vita da criminale, senza farsi mancare un temporale evocativo nei momenti di maggiore difficoltà e in quelli moralmente discutibili.
Lodevole l’accuratezza dei dettagli, la fotografia che punta dritto al cuore, le continue citazioni interne e la tecnica della mise en abyme: Marino ci viene spesso mostrato tramite un riflesso del suo “vecchio” mondo di meccanico, che sia una finestra dell’officina, uno specchietto o un parabrezza.
“Martedì e venerdì” è una critica ad un mondo che sembra sfuggire di mano: i due fil rouge intorno a cui si aggroviglia questa storia sono la preziosità del tempo e la differenza tra correre e scappare. Una storia che sembra inesorabilmente andare a rotoli per cui i registi, liberamente ispirati alle proprie vicende personali – incolpano un sistema legislativo che affronta la separazione e la custodia dei figli senza imparzialità, che sembra dimenticare il valore e i sentimenti dei padri.
Il film si chiude infatti con una voce fuoricampo che afferma, sempre con cadenza romana:
“Un ragazzino cresciuto troppo in fretta non sarà mai capace di raccontare bene una favola. […] Per farlo ogni lucetta de Natale va messa al posto giusto e per farlo bene non te bastano solo il martedì e il venerdì. Tutto qui.“