Recensione “Manhattan Projet”: gli uomini che fecero la bomba nel nuovo libro di Stefano Massini
La notte è sempre più buia prima dell’alba, anche se non è dato sapere cosa sorgerà assieme a un nuovo sole. La lezione si nasconde tra le pagine di “Manhattna Project“, libro di Stefano Massini edito da Einaudi, uscito in libreria da poche settimane. L’autore affronta e romanza a suo modo, con la personalità stilistica che lo contraddistingue e la competenza storica che gli compete, uno tra i temi più delicati della Seconda Guerra Mondiale, quello legato alla pianificazione e alla costruzione della bomba atomica.
Adesso sappiamo com’è andata, ma in quei mesi le incertezze non erano legate esclusivamente al dove e al quando sarebbe esploso l’ordigno più potente e devastante fino a quel momento mai realizzato o anche solo concepito, quanto piuttosto a chi l’avrebbe costruita, e verso chi sarebbe stata sganciata.
Erano le 8.15 del 6 agosto 1945 quando su Hiroshima, in Giappone, venne sganciata “Little Boy“, la prima bomba atomica mai utilizzata nella storia dell’umanità. Tre giorni dopo, su Nagasaki, venne rilasciata la gemella “Fat Man“. A compiere l’azione militare furono gli Stati Uniti, in risposta all’attacco subito dai nipponici a Pearl Harbor. Furono centinaia di migliaia i morti al momento dell’impatto, e un numero incalcolabile coloro che riportano conseguenze, temporanee o permanenti, della deflagrazione. Macerie, polvere, radiazioni e ombre furono l’eredità della bomba. E con esse la paura, un monito affinché ciò non accada mai più.
L’episodio contribuì in maniera decisiva alla conclusione delle ostilità tra i due Paesi, ma anche a mettere il punto esclamativo sul sanguinoso conflitto bellico. Eppure la Germania di Hitler è stata a tanto così dal costruirla. E cosa sarebbe accaduto se ci fosse riuscita? Quale ruolo avrebbero avuto alcuni tra i più grandi scienziati del Novecento in tutto ciò? Avremmo potuto considerarli padri fondatori o anche padri spirituali, pionieri o carnefici, visionari o pazzi. Ma non è successo e riavvolgendo le pagine del tempo Massini utilizza la sua penna per fare da ponte tra Ungheria e Stati Uniti.
“Manhattan Project” è una ballata fluviale che racconta una storia americana con radici in Europa e conseguenze globali. Strutturata in quattro parti fitte di echi biblici (Libro dei Patriarchi, Libro dei Re, Libro dei Profeti e Libro dei Sacerdoti), anche “Manhattan Project” ci porta fra gli ebrei espatriati oltreoceano, con i loro riti e costumi che affondano nella cultura yiddish, con le loro idee, le ossessioni, i tic linguistici, lo humour.
Il testo inizia in un seminterrato in cui il cosiddetto «Clan degli Ungheresi» intuì potenzialità e rischi di un uso militare della reazione a catena. Passando per l’apporto del potente finanziere Alexander Sachs, l’ebreo lituano che da Wall Street seppe tessere la rete di un’imponente raccolta fondi a nove zeri, prende vita l’affresco di un’umanità impaurita e confusa, chiamata a celebrare il connubio fra la scienza e la prima vera arma di distruzione di massa, mentre dall’Europa riecheggiano le grida dei ghetti in fiamme.
A poco a poco il personaggio di spicco diventa Robert Oppenheimer, scienziato dal profilo inquieto e sempre combattuto, votato fin da bambino alla ricerca di una logica a oltranza in grado di proteggerlo dai suoi mostri interiori. Proprio a lui toccherà il compito di pronunciare il definitivo via libera alla costruzione della bomba atomica, in un crescendo di tensione che va di pari passo alla travolgente ascesa della macchina bellica di Berlino e dell’Impero giapponese.
Leó Szilárd, Paul Erdős, Ed Teller sono gli scienziati ebrei che da Budapest e sobborghi volarono negli States, chi per sfuggire alle persecuzioni razziste operate dal nazismo, chi per cercare di portare avanti i propri studi e le proprie ricerche. Sono anche i protagonisti del libro di Massini che attraverso le loro emozioni, o possibili tali, descrive quei drammatici giorni di incertezze e terrore, di scoperta e rivelazione. Szilárd, su tutti, ebbe un ruolo cruciale per il Progetto Manhattan. Come Albert Einstein e Franklin Delano Roosvelt. Ognuno di loro è stato un tassello di un meccanismo di morte.