Recensione. Il remake live-action di “Biancaneve” è una fiaba che perde la sua magia

Il tanto atteso remake live-action di Biancaneve, diretto da Marc Webb, si presenta sul grande schermo tra controversie e aspettative tradite. Privo di slancio e di una visione artistica chiara, il film non riesce a essere né un omaggio convincente alla fiaba classica né una rilettura innovativa. Invece, si configura come il risultato di una produzione travagliata, vittima delle pressioni di un’industria che cerca di accontentare tutti senza davvero convincere nessuno. Era il rischio che tutti temevano, soprattutto i più attenti osservatori delle dinamiche sociali contemporanee, ed alla fine si è concretizzato.
Fin dalle prime fasi di sviluppo, il progetto ha subito le tensioni di un dibattito mediatico che ha influenzato a caduta ogni scelta, dal casting alla sceneggiatura, incentrando invece il proprio focus sulla cultura, per alcuni controcultura, “Woke”. Rachel Zegler, pur essendo un’attrice talentuosa, si trova intrappolata in una narrazione che non le concede lo spazio necessario per dare spessore al suo personaggio e così, il tentativo di modernizzare Biancaneve, si traduce in una figura che manca di profondità, privata del fascino e dell’evoluzione emotiva che avrebbero potuto renderla un’eroina autentica e memorabile. Anche la Regina Cattiva, incarnata da Gal Gadot, non riesce a eguagliare la sottile e inquietante malvagità della sua controparte animata. La sua interpretazione, esagerata e sopra le righe, sottrae carisma e mistero a uno dei più iconici villain della storia del cinema. Qui, invece, si perde nel niente.
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Se il classico del 1937 era intriso di magia e pathos, il remake soffre di una messa in scena priva di fascino. I sette nani, che un tempo rappresentavano il cuore pulsante della narrazione, sono ridotti a marionette digitali prive di spontaneità ed empatia, finendo per perdersi nel tragicomico calderone di meri partecipanti in scena. Il worldbuilding appare artificioso e piatto, più simile a un videogioco privo di dettagli che a un regno fiabesco. L’estetica fredda e generica della fotografia contribuisce ulteriormente a spegnere ogni possibilità di coinvolgimento emotivo.
Tra gli elementi più deludenti vi è poi la colonna sonora. Le canzoni che hanno reso immortale il classico originale sono state riarrangiate senza la magia e l’intensità necessarie a mantenere vivo il loro incanto. La componente musicale, un tempo elemento portante delle produzioni Disney, sembra qui relegata a un ruolo marginale, incapace di lasciare un segno nella memoria dello spettatore. A peggiorare la situazione è l’abuso della CGI, che priva la pellicola di quella consistenza tattile e materica che aveva reso l’animazione del 1937 un capolavoro di calore e fluidità. Un lavoro di un certo spessore che tutti abbiamo amato e ammirato fino al giorno d’oggi. Il risultato è un’estetica fredda, che non riesce a evocare il senso di meraviglia e magia che il pubblico si aspetterebbe da una produzione Disney.
Il remake di Biancaneve avrebbe potuto essere una rilettura vibrante e significativa della fiaba che ha cresciuto generazioni su generazioni di bambini, un giusto equilibrio tra tradizione e innovazione capace di restituire nuova linfa a un classico immortale ma, invece, si rivela un esercizio privo di coraggio e di una direzione chiara, soffocato da esigenze di mercato e compromessi narrativi. Quello che resta è un’opera che non riesce a trovare una propria identità, incapace di incantare sia il pubblico nostalgico che le nuove generazioni. La magia di Biancaneve si è dissolta, lasciando spazio a un film che, anziché raccontare una favola senza tempo, si perde in un limbo di indecisione e superficialità.
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