Recensione. “Ennio” di Giuseppe Tornatore: un capolavoro sinfonico che omaggia il genio di Morricone

C’è una parola che più di ogni altra può descrivere “Ennio“, il documentario firmato da Giuseppe Tornatore: monumentale. Non solo per la durata, la ricchezza dei contributi e la cura maniacale con cui è stato costruito, ma perché si erge come un’opera definitiva, un tributo sentito e appassionato a una delle figure più influenti e amate della storia della musica e del cinema del Novecento, e non solo: Ennio Morricone.
Distribuito da Lucky Red in collaborazione con TimVision, “Ennio” non è un semplice documentario biografico, è un racconto orchestrato con la sensibilità di un grande narratore, capace di fondere cronaca, emozione e poesia. Presentato con successo fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e al Bif&st, il film si distingue sin dai primi fotogrammi dove vediamo il Maestro nella sua quotidianità, mentre si esercita con rigore quasi ascetico, espressione tangibile di quella disciplina ferrea che ha guidato ogni sua creazione e che lo ha portato a raggiungere l’eternità artistica.
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Il progetto nasce da un legame profondo, artistico e umano tra Tornatore e Morricone. Dopo oltre venticinque anni di collaborazione, da “Nuovo Cinema Paradiso” a “La leggenda del pianista sull’oceano”, il regista ha saputo intercettare l’anima del compositore con uno sguardo intimo e rispettoso, dando forma a un film che è al tempo stesso un’opera didattica e un atto d’amore.
Il documentario si compone di una lunga intervista al Maestro, intercalata da materiali d’archivio, momenti di fiction, performance musicali e un caleidoscopio di testimonianze. Parlano di lui giganti del cinema e della musica, da Clint Eastwood a Quentin Tarantino, da Bernardo Bertolucci a Bruce Springsteen, passando per Bellocchio, Argento, i fratelli Taviani, Roland Joffé e molti altri. Ne emerge un ritratto sfaccettato, capace di cogliere sia il rigore del professionista sia la fragilità dell’uomo.
Tornatore costruisce il suo racconto con quello che potremmo definire un “montaggio polifonico”: una partitura visiva e sonora che intreccia voci, suoni, ricordi, rivelando l’incredibile versatilità di Morricone, capace di passare con naturalezza dal pop sperimentale alla musica da film, dalla canzone d’autore alla dissonanza contemporanea.
Tra gli episodi più toccanti, il mancato sodalizio con Stanley Kubrick per “Arancia Meccanica“, l’emozione irrefrenabile al momento dell’Oscar alla carriera, il rapporto simbiotico con Sergio Leone e l’amore devoto per la moglie Maria, sempre presente nelle sue parole, persino nelle sue pause.
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Il film, che nel 2022 ha conquistato tre David di Donatello (tra cui miglior documentario), è destinato a lasciare un segno profondo non solo perché documenta l’opera di un genio, ma perché lo fa con una profondità rara. Tornatore, pur non rinunciando a qualche sfumatura agiografica nel finale, riesce a evitare la trappola del ritratto celebrativo fine a sé stesso. Ennio è una sinfonia complessa, armonica, dove ogni nota – visiva e sonora – risuona con verità.
Certo, nella seconda metà il ritmo si fa più misurato, forse anche più scolastico, ma basta un frammento musicale, una nota suonata dal Maestro nella sua casa-studio, per riaccendere la magia. E allora torniamo a emozionarci con le melodie immortali di “Mission”, “C’era una volta in America”, “Per un pugno di dollari”, “Il buono, il brutto, il cattivo”. “Ennio” è più di un documentario, è una celebrazione della musica come linguaggio universale, è un viaggio dentro l’anima di un artista che ha rivoluzionato la grammatica del cinema. Ed è, senza dubbio, uno dei più riusciti e significativi lavori nella filmografia di Tornatore. Da vedere, rivedere, e magari studiare. Proprio come si fa con i grandi classici.