Recensione. “Duse, The greatest”: il lavoro di ricerca di Sonia Bergamasco sulla Divina del teatro
Una gigantografia sulle scale del Piccolo di Milano: così inizia la passione di Sonia Bergamasco, allora allieva del corso di teatro, per Eleonora Duse. Una curiosità che diventa una “febbre”, quasi un’ossessione, che la porta a realizzare il documentario “Duse, The greatest“.
Presentato in anteprima alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma e probabilmente al cinema dal febbraio 2025 (non c’è ancora la data ufficiale), il documentario fa rivivere il mito della più grande attrice del teatro italiano, apprezzata in tutto il mondo come “La divina” – o “The greatest” secondo Charlie Chaplin – a cento anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 21 aprile 1924 durante una tournée negli Stati Uniti.
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“Duse, The greatest” è a tutti gli effetti un documentario, non solo sulla grande attrice che ha rivoluzionato ed elevato il mestiere stesso dell’attore, ispirando ancora oggi l’ennesima generazione di teatranti, ma anche sulla passione stessa di Sonia Bergamasco che si mette in gioco con la telecamera in mano.
Il documentario ci mostra infatti proprio il lavoro di ricerca dell’attrice italiana, a sua volta amatissima nel teatro e cinema contemporaneo, con tanto di spiegazioni in prima persona. La Bergamasco letteralmente ci conduce nei luoghi visitati (il mercato di Chioggia, gli archivi della Fondazioni Cini di Venezia, i grandi teatri che l’hanno ospitata e quelli che portano oggi il suo nome), raccontando i passaggi del suo viaggio sulle orme della Divina Duse.
Entra e esce dall’inquadratura della telecamera che porta in mano – ad un certo punto la persino vediamo riflessa in uno specchio – e con cui inquadra foto, libri, lettere e tutto il materiale che la stessa Sonia sfiora con cura e accarezza con dedicata passione. In questo senso, non mostrando le foto direttamente, ma le foto inquadrate e osservate dalla Bergamasco, il documentario non mostra solo il frutto delle ricerche della regista, ma tutto il lavoro fatto con spontanea curiosità e fame di dettagli.
“Assenza, più acuta presenza”
con questa parole di Bertolucci, citate nel documentario dallo storico del cinema Emiliano Morreale, si potrebbe perfettamente riassumere uno dei segreti del fascino che la figura di Eleonora Duse esercita ancora oggi.
Eleonora Duse, capocomica e attrice, moderna e femminista, anticipò i tempi anche come antidiva: della più grande attrice del teatro italiano, apprezzatissima in tutto il mondo nonostante non conoscesse altre lingue, abbiamo solo frammenti. Tante foto in posa o di scena ma quasi nessuna che colga la sua vera anima, ma nessuna intervista: la Divina riteneva “indelicato e volgare” che i giornali si interessassero alla propria vita, e si chiedeva
“Perché oggi l’artista dovrebbe svelare la donna?”
Forse perché odiava la sua infanzia e non voleva affrontare i suoi traumi, ipotizza la Bergamasco che si chiede come sia possibile che una donna di cui abbiamo a disposizione solo pochi frammenti in movimento e una manciata di foto riesca ancora oggi ad avere un’influenza così massiccia, soprattutto considerando che la stessa Duse non voleva lasciare traccia di sé e sembra avesse chiesto personalmente a sua figlia di bruciare le sue lettere private.
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Fortunatamente della grande attrice rimane un imponente epistolario fatto di lettere e bigliettini raccolti dai destinatari, un’autobiografia e molte testimonianze di chi l’ha conosciuta. Ma purtroppo nessuna traccia della sua voce: persino la registrazione di un suo monologo fatta da Thomas Edison è andata persa in un incendio. Come si fa a conoscere, valutare e studiare un’attrice di teatro se non se ne conosce la voce?
Il lavoro di Sonia Bergamasco diventa allora quello di un investigatore privato, quasi una detective story, sulle tracce di una figura così sfuggente ed evanescente, che resta comunque difficile da afferrare e inquadrare – letteralmente, ma ci arriveremo tra poco.
Per risolvere l’enigma – tra cui anche il mistero molto dibattuto circa una foto – la regista viaggia molto, perché tante testimonianze materiali (lettere, foto e biglietti) sono nelle mani di privati, eredi dei destinatari o acquirenti, come l’attore italiano Fabrizio Gifuni e l’attrice americana Ellen Burstyn, che possiede libri e gioielli della Duse che indossa per andare in scena.
Ma non mancano testimonianze dirette dai materiali d’archivio: dall’intervista a Luchino Visconti che ricorda come, da ragazzo, ebbe l’opportunità di vedere Eleonora Duse dal vivo provando un’impressione di sgomento a quella a Lee Strasberg, futuro fondatore dell’Actors Studio, fortemente influenzato dalla Divina per creare il proprio metodo.
Sonia Bergamasco si rivolge poi a studiosi ed esperti. Intervista Annamaria Andreoli, che dedicando i suoi studi a Gabriele d’Annunzio e Luigi Pirandello è spesso entrata a contatto con la figura di Eleonora Duse e afferma
“Le donne cambiavano vita dopo averla vista in scena”
e con Mirella Schino, autrice della nota biografia “Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale“.
Degno di nota il momento in cui Ferruccio Marotti, docente emerito dell’Università La Sapienza, si commuove analizzando il racconto della scena in cui la Duse avesse inscenato la morte della protagonista di “La dame aux camelias” con il solo movimento delle dita della mano destra, lasciando il pubblico “senza speranza“.
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Lo storico del cinema Emiliano Morreale analizza poi l’unica testimonianza in video che abbiamo di Eleonora Duse: il film muto datato 1916, “Cenere“, adattamento di un racconto di Grazia Deledda, in cui l’attrice appare con i capelli bianchissimi e fiera dei suoi quasi cinquant’anni – che sembrano molti, ma molti di più. Effettivamente “fiera” non è il termine più esatto: è impressionante notare come la più grande attrice – teatrale – di tutti i tempi fugga dalla macchina da presa, cercando di nascondere il suo volto o recitando “di tre quarti, ma dal lato sbagliato“. Quando la camera era ancora un oggetto estraneo da cui restare a debita distanza e il cinema spaventava per la sua potenza,
“Eleonora Duse aveva capito più di tutti il cinema. E ne aveva paura“
La Bergamasco si confronta anche con altre attrici: è ospite di Helen Mirren e di Valeria Bruni Tedeschi, che ha interpretato proprio la Divina nel biopic “Duse” di Pietro Marcello. E dialoga con le attrici Federica Fracassi, Elena Bucci, Caterina Sanvi e Giuditta Vasile tra le poltrone e il palco del Teatro Duse.
Il risultato finale un mosaico, o meglio la parete di un detective, in cui ognuno aggiunge un dettaglio che va a comporre un tentativo di identikit dell’attrice e del suo corpo con cui si esprimeva talentuosamente – anche in un film muto – e ha ridisegnato l’immagine della donna e del teatro.
Un lavoro meticoloso mosso evidentemente dal miglior motore che si potesse desiderare: la passione.
(Fonte foto: Festa del Cinema di Roma)