Recensione. Babygirl: Nicole Kidman sconvolge in un mancato thriller erotico
Nel panorama cinematografico contemporaneo, pochi generi suscitano tanto fascino e controversia quanto il thriller erotico. Con Babygirl, la regista Halina Reijn tenta di riportare in auge questo filone, ma il risultato finale si rivela un esperimento imperfetto, tra momenti di forte intensità attoriale e un tono che scivola inaspettatamente nel grottesco, o come i lettori più giovani direbbero più spontaneamente, nel “cringe“.
Nicole Kidman, Harris Dickinson e Antonio Banderas guidano un cast di talento, ma neanche le loro apprezzabilissime interpretazioni riescono a salvare del tutto un film che fallisce nel costruire una tensione autentica e appassionante.
La trama: tra desiderio e ambiguità morale
Babygirl racconta la storia di Romy Mathis (Nicole Kidman), una CEO di successo in un mondo aziendale ancora dominato dagli uomini, ma che aspira ad una società il più tecnologica possibile – dirige un’azienda di robotica per magazzini la cui resa sullo schermo rende il film ancora più distopico e surreale… ma su questo torneremo in seguito.
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Elegante, sicura di sé e abituata al controllo, Romy nasconde però un lato oscuro che emerge quando inizia una relazione con il giovane stagista Samuel (Harris Dickinson) – di cui scopriamo in realtà il nome solo dopo l’intervallo, grazie all’inquadramento di una chat.
L’attrazione tra i due si trasforma presto in una danza pericolosa di potere e sottomissione, mentre il marito di Romy, Jacob (un affascinante e ben invecchiato Antonio Banderas che si mette alla prova quasi quanto la sua coprotagonista), osserva gli eventi con un’ambigua passività e sincera preoccupazione per la donna che ama da diciannove anni.
Man mano che la storia procede, il confine tra desiderio, perversione e autodistruzione si assottiglia e si confonde con un continuo tentativo di manipolazione e ricatto psicologico (e concreto), e una confusione tra ambizione e moralità, portando a un finale scontato e poco incisivo.
Realismo o parodia? Quando il thriller erotico fa ridere
Uno dei problemi principali di Babygirl è la sua incapacità di mantenere un tono coerente. Se la regista Halina Reijn sembra ambire a un’estetica disturbante e provocatoria, il risultato è spesso involontariamente comico. Alcune scene, che dovrebbero essere cariche di tensione e mistero, finiscono per suscitare risate in sala (da parte di un pubblico misto di varie generazioni) a causa della loro messa in scena eccessiva e della mancanza di credibilità.
Un esempio lampante è la sequenza del primo incontro privato tra Romy e Samuel, in cui la tensione erotica scivola in un’interpretazione quasi caricaturale, con dialoghi che sembrano usciti da una soap opera piuttosto che da un film d’autore. In particolare, in una delle prime scene in cui i due dovrebbero abbandonarsi a perversioni sopra le righe, la messa in scena manca di credibilità, proprio perché sembra che proprio i due protagonisti siano i primi a non essere convinti di quello che stanno facendo – al punto che Nicole/Romy sembra non riuscire a trattenere il riso insieme al pubblico.
Lo stile mockumentary: ma perché?
L’elemento più insolito di Babygirl è la sua estetica da mockumentary, un’idea che sulla carta avrebbe potuto dare al film un tocco di realismo sporco e voyeuristico, ma che nella pratica si traduce in una messa in scena disorientante e che paradossalmente si allontana quanto più possibile dal realismo.
L’uso di telecamere a mano e inquadrature volutamente instabili dovrebbe dare l’impressione di un’indagine intima sulla psiche della protagonista, ma finisce per frammentare la narrazione e spezzare il coinvolgimento dello spettatore. Persino nelle scene in cui la superba intensità e audacia di Nicole Kidman nel simulare realisticamente momenti profondamente intimi, lo spettatore è distratto dalla mancata fermezza dell’inquadratura e dai movimenti della macchina da presa che sembrano però non seguire con l’immagine.
Colonna sonora ed effetti visivi: tra eleganza e confusione
La colonna sonora di Babygirl si muove tra melodie elettroniche minimali e brani orchestrali più intensi (apprezzabilissimo il ballo sulle note di Father Figure di George Michael), cercando di sottolineare il contrasto tra il desiderio freddo e calcolato di Romy e il suo progressivo abbandono alle emozioni. Tuttavia, la musica che spesso simula onomatopeicamente orgasmi, a tratti sovrasta l’azione, risultando più invasiva che evocativa.
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Stilisticamente Babygirl presenta un inizio promettente, in cui l’inquadratura sottosopra sembra preparare lo spettatore ad un film in cui le dinamiche sociali vengono ribaltate (la donna di potere che soggioga uno stagista e mette a rischio carriera e famiglia). Ma purtroppo, andando avanti, gli effetti visivi seppur raffinati non aggiungono molto alla narrazione e sembrano più un esercizio di stile che un elemento funzionale alla storia. Si pensi soprattutto al tentativo di aggiungere elementi thriller attraverso le opere realizzate da Jacob (Antonio Banderas), regista teatrale.
Una nota di merito va, invece, proprio al parallelismo tra il lavoro di Jacob e l’attitudine con cui il giovane Samuel dirige la scena in camera da letto (o in ufficio, in bagno, sul terrazzo, insomma dove capita), spostando Romy a suo piacimento, ma mettendo in evidenza la sua in realtà mancata sicurezza, nel tentare di costruire una “scena” che rispecchi un ideale di fantasia erotica. Ecco, forse è proprio qui che Helena Raijn non riesce a raggiungere il suo obiettivo di realizzare un thriller erotico: il personaggio di Samuel alterna continuamente un’attitudine eccessivamente spocchiosa e sprezzante delle dinamiche e dei ruoli sociali (con comportamenti poco realistici all’interno di un’azienda) al tentativo grottesco di imporsi nelle scene più intime e risultare convinto e credibile nel ruolo autoimpostosi.
Kidman e Banderas: interpretazioni estremamente forti in un film debole
Se c’è un aspetto che salva Babygirl dal completo naufragio, è la superba performance di Nicole Kidman. L’attrice abbraccia il lato più oscuro del suo personaggio con una recitazione intensa e senza paura, dimostrando ancora una volta il suo straordinario talento. Al punto che più volte la risata per il grottesco della scena lascia spazio al silenzio, mentre lo spettatore realizza quanto coraggiosa sia la messa in scena dell’attrice. La Kidman non solo si mette a nudo fisicamente (ma mai del tutto), ma anche e soprattutto si espone completamente in quanto donna, esplorando ogni sfumatura della psiche e dell’inconscio femminile nell’intimità.
Anche Antonio Banderas offre un’interpretazione magnetica e ambigua, riuscendo a dare profondità a un personaggio che purtroppo sulla carta risulta poco sviluppato e approfondito, mettendosi in gioco intimamente quasi quanto la sua coprotagonista.
Harris Dickinson, invece, sembra faticare a emergere, limitandosi a incarnare lo stereotipo dell’amante giovane e sfrontato. Un personaggio messo in scena intensamente, ma che difficilmente resta impresso nell’immaginario. Insomma, non un Christian Grey.
L’inesorabile confronto con Eyes Wide Shut
Il paragone con Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, in cui nel 1999 Nicole Kidman ha offerto una delle sue interpretazioni più memorabili, è inevitabile. Se nel capolavoro di Kubrick il desiderio era esplorato con lentezza e mistero, in Babygirl tutto appare affrettato e privo di sottigliezza.
Manca quella costruzione graduale della tensione erotica, quel senso di inquietudine che pervade ogni scena di Eyes Wide Shut, quella critica sociale che traspira da ogni scena e scelta stilistica, quella profondità che apre la ricerca della perversione ad un infinito potenziale di riflessioni sull’attualità. Invece di un viaggio psicologico denso di significati, Babygirl si limita a una serie di situazioni prevedibili e superficiali. Un film con un grande potenziale (merito soprattutto delle abilità del cast e dell’idea originale) che però non si applica.
Il ribaltamento dei ruoli sociali e il corpo che invecchia
Uno degli aspetti più interessanti del film è infatti il tentativo di ribaltare le dinamiche di potere tradizionali, mostrando una donna di successo che prende il controllo della propria sessualità senza remore. Tuttavia, questo tema, che avrebbe potuto essere esplorato con maggiore profondità, resta solo in superficie.
Inoltre, in un’epoca in cui opere come The Substance conquistano pubblico e critica, questo film affronta il rapporto con la bellezza e l’invecchiamento in maniera contraddittoria: Romy è un personaggio che sembra sfidare le convenzioni, eppure la sua insicurezza sul proprio aspetto – che caratterizza questa donna apparente forte ma in realtà fragilissima – non viene mai davvero approfondita. Vediamo punturine senza anestetico e trattamenti di bellezza che scatenano la spietata ilarità della figlia, alternati a scene di ipnosi (buttate lì, senza spiegazione) e poi Romy crollare nuda e spaventata tra le braccia di un ragazzo che cerca di convincerla della sua bellezza e sensualità.
La riflessione sull’accettazione del cambiamento di un corpo che invecchia, gli effetti della chirurgia estetica a lungo andare e il disperato tentativo di riappropriarsi di un corpo che ormai non si sente più completamente proprio, non è tanto affrontata esplicitamente da Babygirl. Sorge in realtà spontaneamente e inevitabilmente nello sguardo di chi osserva Nicole Kidman dietro la “maschera” della protagonista.
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Un film privo di sorpresa
Senza spoiler si può affermare che, dopo un’ora e mezza di alti e bassi, il finale di Babygirl arriva senza la forza necessaria per lasciare il segno. Le perversioni della protagonista, che avrebbero potuto condurre a un epilogo scioccante e coraggioso (al pubblico vengono in mente due probabili audaci finali), si dissolvono in una conclusione scontata, che purtroppo non aggiunge nulla di nuovo al genere.
Babygirl: un’occasione mancata
Babygirl aveva tutte le carte in regola per essere un thriller erotico avvincente e disturbante, ma purtroppo la sua esecuzione difettosa lo trasforma in un’opera discontinua e poco incisiva.
Nonostante le straordinarie interpretazioni di Nicole Kidman e Antonio Banderas, il film non riesce a trovare un’identità precisa, oscillando tra il dramma psicologico e la parodia involontaria. Halina Reijn dimostra coraggio nel voler esplorare il desiderio e il potere da una prospettiva femminile, ma il risultato finale lascia lo spettatore più confuso e divertito che affascinato.
In definitiva, Babygirl non sarà certo ricordato come un capolavoro del genere, ma rappresenta comunque un tentativo interessante (seppur non vincente) di rinnovare il thriller erotico. Un film che, nel suo sbagliare, riesce almeno a sollevare domande sul nostro rapporto con il desiderio, il potere e il tempo che passa.