Recensione. “American Primeval”: una miniserie che trasforma la frontiera in incubo

Uscita a gennaio su Netflix, “American Primeval” è una miniserie western di sei episodi dalla durata variabile tra i 36 e i 52 minuti, scritta da Mark L. Smith (“The Revenant”) e diretta integralmente da Peter Berg, celebre autore di Friday Night Lights. Il risultato? Un’opera di grande impatto visivo e narrativo, che merita di essere annoverata tra le migliori esperienze seriali del genere negli ultimi anni.
Ambientata nelle lande selvagge dello Utah tra montagne innevate, boschi e corsi di fiumi ancora incontaminati, vede per protagonista Sara (Betty Gilpin), una donna in viaggio con il giovane figlio per ricongiungersi al marito oltre le montagne. Il suo percorso si trasformerà in un’odissea segnata da pericoli imprevisti e alleanze inattese. Il cast corale vede la presenza di figure emblematiche come Isaac (Taylor Kitsch), un solitario uomo dei boschi sopravvissuto a mille insidie, Bridger (Shea Whigham), comandante di un forte isolato, il governatore Young (Kim Coates), spietato stratega mormone con mire di potere assoluto e Abish (Saura Lightfoot-Leon), giovane moglie mormone alle prese con un destino tutt’altro che idilliaco. A fare da contorno alle vicende, anche la presenza delle tribù native americane degli Shoshoni. La serie si muove con una consapevolezza acuta della realtà storica che vuole raccontare: il selvaggio West è un crocevia di tensioni economiche, religiose e politiche, un territorio in cui l’autorità è frammentata e dove la legge è, nella migliore delle ipotesi, un concetto relativo. Culmine dei fatti è il massacro di Mountain Meadows, un evento storico in cui una colonna di migranti fu attaccata dalla milizia mormone con il supporto di alcune tribù native.
Tra gli elementi maggiormente distintivi di “American Primeval” spicca il suo approccio al realismo: la violenza è cruda, incessante e profondamente radicata nelle dinamiche del potere. Non si tratta di un vezzo estetico ma di una scelta narrativa che riflette la precarietà dell’esistenza in un ambiente ostile, dove la sopravvivenza si gioca su un equilibrio costantemente minacciato. Non è violenza fine a se stessa ma parte integrante degli eventi che si sviluppano nel corso dei sei episodi.
Non a caso, il vero antagonista della serie non è un singolo personaggio, ma il concetto della primitività insita nell’essere umano e nella natura stessa. Il fango, il freddo, i lupi, il fuoco: ogni elemento dell’ambiente è un nemico, una forza cieca e indomabile. In questo contesto, la moralità si fa fluida e ogni personaggio deve ridefinire i propri confini etici. “American Primeval” esplora il modo in cui la violenza permea i rapporti umani, mettendo in scena figure che oscillano tra la ferocia e la nobiltà, tra la brutalità e un residuo di ideale cavalleresco. La sceneggiatura riesce a bilanciare questi contrasti creando una galleria di personaggi che evolvono senza mai perdere autenticità.
La regia di Peter Berg è stata generalmente apprezzata per la capacità di immergere gli spettatori nell’atmosfera brutale e spietata del West del XIX secolo. Berg utilizza una fotografia cupa e realistica per rappresentare la durezza della vita di frontiera, enfatizzando le lotte interiori dei personaggi e le tensioni tra le diverse comunità. La sua esperienza in produzioni d’azione si riflette nelle sequenze dinamiche e intense che caratterizzano la serie. Il regista lavora con intelligenza sugli spazi e sulle interpretazioni attoriali, chiedendo ai suoi protagonisti di incarnare un’epoca in cui mostrarsi deboli equivale a condannarsi. La regia sfrutta con efficacia piani sequenza concitati, che aumentano l’immersione e il senso di pericolo imminente.
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Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, e riprese di “American Primeval” non si sono svolte nello Utah e neanche negli Stati Uniti ma in Nuova Zelanda, scelta per i suoi paesaggi incontaminati e la somiglianza con gli scenari del West americano del XIX secolo. Per quanto un buon prodotto, “American Primeval” non rivoluziona il genere ma lo onora con una narrazione solida e un comparto tecnico eccellente. Se amate il western nella sua forma più dura e autentica, questa miniserie fa per voi. Ma, comunque, una chance gli va data a prescindere.