Rea Silvia, la madre di Roma | ArcheoFame
Rea Silvia fu, secondo la leggenda, la madre dei gemelli Romolo e Remo, i mitici fondatori di Roma. Le sue vicende sono raccontate principalmente nel I libro “Ab urbe condita” di Tito Livio e in alcuni frammenti dagli “Annales” di Ennio. Di lei parla anche Ovidio:
“Marte guerriero, posa un momento lancia e scudo, libera dall’elmo i luminosi capelli e stammi vicino. Forse tu stesso ti chiedi cosa vi è in comune tra un poeta e Marte: è che il mese di cui adesso parlerò porta il tuo nome. E tu conosci bene le lotte sanguinose alle quali partecipa Minerva, senza per questo trascurare le arti più nobili; segui il suo esempio, prenditi tempo e deponi la lancia: avrai da fare anche disarmato. Eri disarmato anche allora, quando la sacerdotessa romana si unì a te, perché tu dessi a questa Città un seme eccezionale.” (Ovidio, Fasti, III 1-33).
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Il Mito di Rea Silvia
Secondo Livio, Rea Silvia era la figlia di Numitore, discendente diretto di Enea e re della mitica Alba Longa, fondata da Ascanio, il figlio dello stesso eroe troiano. Il fratello minore di Numitore, Amulio, usurpò il trono e uccise i suoi nipoti maschi, salvò però l’ unica figlia femmina di suo fratello, Rea Silvia, e la costrinse a diventare una sacerdotessa della Dea Vesta. Alle vestali infatti era proibito venire meno all’obbligo di castità per almeno trent’ anni. Rea Silvia però, sorpresa, partorisce due gemelli, Romolo e Remo.
Amulio va su tutte le furie e ordina di farli sparire. La serva a cui fu affidato il compito, tuttavia, ne ebbe pietà, li mise in una cesta e li affidò alle acque del Tevere. Un’altra versione della storia racconta invece che l’ordine di gettare i gemelli al fiume venne direttamente da Amulio. La cesta si arenò miracolosamente in un’ansa del fiume. I due gemelli furono qui ritrovati da una Lupa che li portò nella grotta dove stava la sua tana, qui li allattò, salvando loro la vita. Qualche giorno dopo, un pastore di nome Faustolo, passando di lì si accorse dei bambini e li portò alla moglie Acca Larentia, perché li facesse crescere. la “lupa” in effetti non sembra essere altri che la stessa Acca. L’equivoco si spiegherebbe con il fatto che in latino il termine lupa veniva usato proprio per indicare le prostitute (ovvero lupe della suburra).
Stando a Livio la giovane vestale venne stuprata. Per nascondere la vergogna della poverina e celare l’imbarazzo per l’accaduto, si decise di attribuire ad una divinità la paternità dei gemelli. Marte, quindi, si sarebbe invaghito della giovane, seducendola e costringendola a rompere il voto di castità.
Negli Annales di Ennio (versi 34-50) è riportato Il sogno di Ilia (nome troiano), in cui parla appunto Ilia, figlia di Enea e Lavinia e futura madre di Romolo e Remo (la Rea Silvia del racconto di Livio). Nonostante sia evidente il tentativo ruffiano di collegare direttamente le origini di Roma a Troia, il sogno della giovane preannuncia l’incontro con il Dio Marte, l’abbandono dei neonati Romolo e Remo fino alla loro salvezza.
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Innocente fino a prova contraria
In ogni caso, Rea Silvia viene punita. C’è chi racconta che sarebbe morta in prigione, dopo una vita di clausura. Chi afferma che fu gettata nel Tevere ma salvata e in seguito sposata, proprio dal dio del fiume (o dal dio dell’Aniene). Alcuni riportano che fu addirittura murata viva. Ma quale sarebbe la colpa di Rea Silvia? Da vestale, certo, non avrebbe dovuto infrangere il voto di castità, ma se è stata stuprata non è dipeso da lei. Se un dio la voleva, non sarebbe di certo stato facile opporsi. Se anche si fosse solo innamorata, certo, avrebbe potuto rimanere fedele ai suoi obblighi di sacerdotessa, ma il mondo non avrebbe avuto Roma. Alla fine da qualunque punto di vista si guardi questa storia, Rea Silvia ci lascia in eredità il più grande impero del mondo antico, a testimonianza che anche il più grave degli errori può essere il primo passo nella più luminosa delle vittorie. Ai posteri va sempre, alla fine, l’ardua sentenza.
Molti erroneamente pensano che Rea significhi semplicemente “colpevole” e indichi, giudicandola, quella donna che aveva ceduto all’adulterio in quel bosco vicino al Tevere, in un fatidico pomeriggio d’estate. Invece no. “Rea” era l’antico nome di una titanide della mitologia greca, madre degli dei dell’Olimpo (Zeus, Demetra, Ade…). Risulta probabile quindi che il nome della generatrice delle divinità greche fosse stato dato anche alla madre dei divini Romolo e Remo. Per quanto riguarda “Silvia”, è probabile che fosse una divinità già venerata presso il Lago di Albano, la cui voce si sentiva nelle selve, era detta infatti “Silvana”. I suoi ministri erano detti “Silvi” e furono proprio loro a trasformarsi poi nei primi re di Alba Longa.
Ph: Rubens, “Marte e Rea Silvia” (Dettaglio)
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